A MILANO C’ERA LA NEVE E I NEGRI. ( ANDATE TUTTI… A BOLZANO)




Dai biblici tempi di Adamo ed Eva, da quella nevicata eccezionale della quale nessuno poté pre-allertarli e che fu causa del peccato originale dell’uomo (non avere le catene da neve), il clima, le sue bizzarrie, la sua prevedibilità ed il suo essere lascivo a tal punto da finire sulla bocca di tutti, divenne, è divenuto, argomento principe con il quale rompere il ghiaccio sceso sulla comunicazione sociale.

In alternativa ci sono La Rai Per Il Sociale o il sale marino.

Può capitare che una nevicata ridicola, ma un freddo pungente, possano mettere in difficoltà una delle prerogative dell’essere moderno, che è il trasporto di se stesso su mezzi che evitino la fatica. I tecnici li chiamerebbero, mezzi di trasporto, veicoli a motore, a rotaia, volatili e pescivendoli. 

Ebbene, il risultato veramente clamoroso di questo evento atmosferico nemmeno troppo clamoroso, non è l’essere riuscito a mettere ancora una volta in ridicolo, la presunta superiorità della tecnica sulla natura, ma l’aver distratto e il continuare a farlo a distanza di giorni, la nazione, o almeno, il suo terzo a nord, da qualsiasi altra forma – di vita – , con del chiacchiericcio, del questionare, del dibattere, del fotografare e del filmare, in merito.

In questa collettiva invidia del pene, in questo confrontarsi e vantarsi a chi ce l’ha più freddo e a chi ce lo ha più alto (il manto nevoso), su un intercity interpadano in ritardo di cento minuti, io ho incontrato la signora Rosa.

La chiameremo Rosa per la sua somiglianza, non solo fisica, con la signora Rosa Bazzi, celebre personaggio della mediatica strage di Erba.

Ho attaccato filotto con Rosa, nell’angusto spazio davanti all’uscita del vagone, nel quale, con una liceale uguale alla Dellera, ma bionda, ci eravamo tutti e tre spostati con sin troppo premuroso anticipo, in vista della frettolosa discesa, per una coincidenza da prendere al volo.

Nella mia insicurezza di viaggiatore poco avvezzo, volevo solo avere un’ulteriore conferma – quella del capotreno non mi dava fiducia, era stato troppo cortese e bendisposto –  circa la presenza del fatidico incrocio per il nord. Come succede in questi casi, in queste tragedie collettive, contagi globali dall’istantanea diffusione, dalla semplice domanda, si è passati allo svelarsi aneddoti, esperienze di vita, ipotesi tecniche (mie, naturalmente), previsioni catastrofiche a medio e lungo termine.

Così, mentre osservo le labbra carnose di una giovane Francesca e i suoi riccioli, forse tinti, immaginandone la folgorante carriera in campi non prettamente televisivi, la signora Rosa, non so per quali percorsi della mente, per quali stop e precedenze saltati, ci sta raccontando del suo dividersi fra Bolzano e Milano. Di come il dovere coniugale la costringa vicino al consorte nella metropoli, anche in periodi nei quali, come nel torrido luglio, la montagna la farebbe stare così bene, davvero bene.

 – Oddio, come mi manca. Torno appena posso.

 – Perché sapete, a Bolzano ci sono le piscine. Lidi, li chiamano. Hanno l’erba vera, verde e tagliata a misura.

 – A Milano quando fa caldo, non puoi frequentare le piscine pubbliche.

 – Ci sono tutti. Tutti quegli. Stranieri.

 – A Bolzano gli stranieri lavorano. 

 – A Milano si riuniscono in crocchi e quando passi, li senti mormorare non so quali commenti.

-C he ti vien voglia di dirgli. Guarda non so. Vaffanculo!

-Ecco forse l’estate prossima andrò in uno di quei club con la piscina privata. Quelli che bisogna iscriversi e entra solo la gente per bene.


(Silenzio)


E’ incredibile come ci voglia poco, per far scendere il gelo su una comunicazione in corso. Guardo la goffa signora Rosa, nemmeno troppo storto, e chiudo ogni ulteriore e ipotizzabile discorso con il più classico degli – “ehhh” – . Così, tanto per resistere alla tentazione di gettarla dal treno, così, perché il qualunquismo è facile a farsi ed è veloce anche a darti le risposte, ma per controbattere con senno, ci vuole capacità immediata e lingua pronta, oppure tempo. E a me, le risposte giuste, in genere vengono sempre dopo. Molto dopo. Così finisco spesso, per stare zitto, che è sempre una discreta soluzione.

Lasciate i cretini col dubbio, prenderanno paura.

Siamo quasi in arrivo, e osservo per un ultimo momento la procace liceale, a sua volta diventata molto silenziosa. Provo ad immaginare quale possa essere stato il suo pensiero. La sua borsa laccata Baci & Abbracci Milano e il suo vestire ad una moda il cui stile non mi fa supporre alcuna appartenenza o schieramento, mi fanno credere che forse sia ancora troppo giovane, per essersi fatta delle idee in merito. Forse è giusto così, forse pure a lei gli stranieri danno fastidio e adesso sta solo pensando al compito di latino di domani, o alle mani del suo fidanzato di città, dentro le sue mutandine, quel pomeriggio.

La signora Rosa è lì, pronta sull’uscita, pera in un rivestimento di pile caldo, e fascetta per le orecchie. Sguardo gioviale da contadinotta, che della città ha assimilato solo gli effetti dello smog. Col cazzo che l’aiuterò a scendere la valigia.


(Più tardi, troppo tardi dannazione, ad una qualche ora della notte, mi sovvengono immagini di maschi occidentali, su spiagge caraibiche o in capitali dell’est europeo, alle prese con la fauna locale. Sono in crocchio e non lavorano, chi l’avrebbe mai detto. Ne posso facilmente intuire, attenzioni e commenti. Come immaginavo, non è un problema di negri, quindi, ma un problema di maschi, decisamente. L’ignoranza tende a vedere scuro se di chiaro ha già la pelle. A fine scena mi passa davanti il fotogramma di un ambiente molto luminoso, accappatoi bianchi, ambienti accoglienti ed esclusivi. E nell’angolo di destra, una balenottera bianchiccia e molle in costume, spiaggiata fra gli scogli.

Buon Natale signora Rosa, e come si dice in questi casi, vaffanculo.)

Lascia un commento

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.