AFFANNI

Appena la brezza serale accennò a smettere di soffiare e il coperchio d’afa tornò a chiudersi sopra l’involucro aperto della serata, il viso riprese nuovamente a imperlarglisi di sudore lucido, e il caldo gli divampò dentro, improvviso e crescente, come un insopportabile irritazione sulla pelle che costringesse a strapparsi i vestiti di dosso.

Inclinò la leggera sedia in alluminio del giardino esterno all’indietro, e si sporse fuori dall’immaginario sbarramento fisico che l’edificio creava all’aria, sperando di trovare un certo refrigerio, in un occasionale e fortuito sbuffo di vento. Ma nemmeno il transito furioso di un tir sulla statale alle spalle del locale, riuscì a scuotere, il denso e oleoso e quasi vivo spazio, che come un calco, si era posato fra i corpi seduti ai tavoli. Anzi. Perfino il rombare dei motori lungo la discesa, giungeva attutito alle orecchie, come attenuato da un panno posto sopra la fonte.

Lasciò che le gocce di condensa esterne al bicchiere, gli si depositassero fra le dita e poi, dopo aver nuovamente allentato il colletto della camicia, si bagnò ai lati del collo, accarezzandolo con la mano e godendosi, quei brevi ed effimeri istanti di refrigerio.

Parlarono poco, in fondo non ne avevano necessità e motivo, in quanto avevano già assunto al rispettivo dovere, di accompagnarsi a vicenda nel locale. Ora che erano seduti e ora che era una vita che si conoscevano, sembrava a tutti superfluo, dover trovare per forza degli argomenti di dialogo, quando c’era così tanto da osservare. E le parole, anche il solo fatto di pensarle, sarebbero state una pericolosa fonte di distrazione.

Si passò l’indice della mano destra sopra il labbro superiore e lungo tutto l’incavo che lo separava dal naso. Con le gocce di sudore asportò anche lo strato cremoso del dopobarba, e un bruciore salato, inizio a solleticargli quei lembi di pelle.

Era un tipo preciso e curato e amava troppo la sensazione di fresco e pulito di una doccia gelata e quello stato di costrizione, patinato e appiccicoso, lo faceva sentire sporco, irritandolo al limite di un nervosismo, che riusciva a celare, solo per la piacevole e rilassata atmosfera che lo avvolgeva.

Entrò molta pelle nuda dentro il locale e fuori tra i tavolini all’aperto e si poteva tranquillamente dire che vi erano, più corpi che vestiti, e l’aria era un orgia raffinata ma imprecisa, di fragranze profumate e doposole e semplici sapori di colli e polsi e caviglie, ognuno con la sua combinazione personale di ingredienti, tutti così diversi, tutti cosi passionali, che l’ambiente pareva come in preda, ad uno stato di rilassamento post orgasmico e le bocche tutte intente a respirare l’aria di sesso consumato che si era sviluppata.

Era per lui impossibile, giudicare o scegliere, quale fra le donne del locale avesse preferito, nel caso avesse avuto un unica scelta.

Ma se le scelte fossero state almeno una decina, se ne poteva parlare.

Quello era uno dei suoi crucci recenti.

Impossibile trovarsi una persona fissa, quando non riesci nemmeno a scegliere quella da corteggiare. Lui aveva capito che il problema era semplice quanto irrisolvibile.

Gli piacevano tutte. O almeno una gran parte. Ognuna a modo suo, ognuna per una caratteristica prettamente personale.

Nel tempo aveva provato a capire, facendo mente locale sui vari aspetti che di volta in volta lo attraevano, se tra tutti quei visi e corpi diversi, vi fosse in fondo, un comun denominatore, un lineamento, una postura del corpo, una tonalità estetica più di un’altra, che fungessero da innesco.

E sforzandosi lo aveva trovato, ma non aveva diversamente intuito le parole per descrivere di cosa si trattasse, in quanto era più una proiezione d’immagine, che una parte prettamente fisica.

E quindi si trovò più a meno da capo, non per quanto lo riguardava personalmente, ma per quelle rade e inutili volte che qualcuno gli chiese, o in futuro lo avesse interrogato, sul suo ideale di donna.

Pensava che fosse molto stupido e abbastanza superficiale classificare il mondo femminile secondo delle caratteristiche prettamente fisiche.

Sarebbe stato come giudicare, con supponenza, un vino dall’etichetta della bottiglia, senza farselo prima scivolare sul palato e nella gola e verificarne lo stordimento nella testa.

A lui piacevano le gonne, le forme generose, i volti caserecci e le scollature profonde. A volte lo colpivano anche i profili eleganti e la classe ostentata, ma spesso queste ragazze avevano il viso ovale e le labbra arricciate in un continuo broncio.

E quindi smettevano presto di piacergli, se non per il tempo per cui perdurava, l’inganno visivo all’occhio.

Qualcuno parlò, attirando la sua attenzione verso l’interno del locale. Durante l’estate, con la veranda aperta, vi erano due ingressi.

Alcuni usufruivano dell’entrata classica, i più si aggiravano fra i tavolini e gli ombrelloni con la copertura in sottili steli di bambù, per poi entrare lateralmente al bancone.

La ragazza, era ferma in bilico, come in attesa di una decisione, sulla soglia fra interno e giardino.

Gli diede l’impressione, la stessa impressione impaurita, che gli danno gli occhi di una gazzella tra l’erba alta della savana, quando sente nell’aria, l’arrivo della leonessa.

La guardò, mentre con una certa leggera ansia, lei girava gli occhi attraverso il locale.

Deglutì con un certo sforzo per quanto era bella, anche se una parola tanto comune e tanto semplice, non rendeva affatto, ne idea, ne giustizia, a quanto stava osservando.

I loro occhi si incontrarono tra tutti gli altri del locale e il sorriso di lei si aprì abbagliandolo assieme agli occhi, come un lampeggiare di fari dietro una curva. Si sentì sbandare e perdere il controllo e i battiti iniziarono a pulsargli lungo le vene del collo. L’aria iniziò a rarefarsi e poi decisamente a mancargli, sotto i piedi e dentro lo stomaco, mentre lei si incamminava veloce verso di lui attraverso i tavoli guardandolo fisso in volto, e i passi agili e predatori si facevano sempre più vicini e nella sua testa era solo confusione e un gran ribaltone come se qualcuno stesse correndo di cassetto in cassetto, rovistando alla disperata ricerca di un foglio bianco, con incise le parole da dire.

Poi lei gli fu davanti, gli fu di fianco e infine passò oltre fino a raggiungere il tavolino alle loro spalle.

Un gruppo di ragazzi si era alzato in piedi e ora le gettavano a turno le braccia al collo e la baciavano salutandola e colmandola di feste e attenzioni.

Tutto tornò normale. Senti il respiro soffiargli di nuovo regolarmente e l’accelerazione dei battiti diminuire. Agito un po’ la camicia per far entrare dell’aria fresca e si passo il dorso della mano sulla fronte ad asciugare il sudore. Una sorta di rilassamento deluso lo assorse, mentre dalle spalle, il profumo di lei, continuava a stordirlo.

Bevette ancora dal bicchiere e amareggiato, inizio a fantasticare spudoratamente su quelle carni.

 

18 Risposte a “AFFANNI”

  1. ahahahah! mart caro al mattino ti vedo disconesso riguardo la concezione di “tempo”..forse più che “c’ero” era più “ci sarò”? ;Prrr

    baci

    ps: devo fare io o ci pensi tu per te? fammi sape, à plus

  2. hallo, passata per un salutino flasch.. buon inizio settimana un kiss e buona giornata (ps scusa se non ti commento il post ma questa settimana sarà tragica essendo l’ultima prima delle ferie!!!)

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