ANCORA AL DIAVOLO.

“Fiuu” disse Andrew Barrymore alla ragazza, mordendo gli incisivi sul labbro inferiore.

“Questa deve proprio essere la mia zona erogena per eccellenza.”

Lei gli sorrise, stirando le labbra sottili ai lati e continuando ad accarezzargli, con le dita affusolate che scorrevano sulla pelle, il muscolo dell’addome, che dal fianco destro risaltava restringendosi verso il centro del basso ventre. Il movimento dei polpastrelli era leggero e continuo, avanti e indietro come sui tasti di un pianoforte.

Lui reclinò la testa all’indietro sul velluto usurato dei divanetti. Aveva la faccia contratta, con gli occhi socchiusi e il respiro espulso fra i denti. Sul viso era dipinta l’espressione come di uno che stesse tentando di sopportare un qualche dolore. Ecco, si sarebbe detto, un paziente durante una cura dentaria, nell’atto di resistere ad un otturazione.

Invece erano solo schegge impazzite di piacere, che gli risalivano dal basso, conficcandosi come aghi, nei ricettori sensoriali della mente.

Come sempre, quando finiva in quei posti e con quei tipi di ragazze, era troppo ubriaco. Abbastanza ubriaco per essere loquace al punto giusto, ma troppo sbronzo per poter riuscire a badare ai dettagli e riuscire poi a ricordarsene, quando e semmai ne avesse avuto voglia.

Quella sera erano usciti lui, il Grigio, Willye e Sad Bear, per un paio di bicchieri e qualche pollastrella da rimorchiare. Ma di ragazze non se ne sarebbe vista l’ombra, per loro, questo lo si sapeva di già in partenza. Ma certo di sete non sarebbero morti. Erano degli ottimi bevitori. E questo li toglieva spesso da un sacco di pasticci. Erano passati in principio nel locale italiano su in periferia, e al fresco della veranda con l’aria della sera che scendeva fresca tra i filari di viti terrazzati sui fianchi delle colline e con le cameriere che erano state contente di rivederli dopo un po’ d’assenza, avevano bevuto dell’ottimo vino bianco seguito da un daiquiri gelato, ma eccessivamente dolce, che aveva fatto accender ancor più la voglia di bere. Solo più tardi si erano avviati lungo lo stradone deserto che costeggia l’autostrada, passando sotto l’ombra notturna delle pareti rocciose delle montagne poste a ovest della città, per raggiungere la festa degli immigrati, nella settimana del festival latino americano, giù negli spazi della nuova area sportiva.

Era un sera di luglio, con l’aria mitigata dai temporali della settimana e il vento leggero che scivolava in anse, a livello del terreno, come un fiume oleoso scarso d’acqua e dal movimento impercettibile, tra le gambe scoperte e le gonne vaporose delle ballerine brasiliane e i bicchieri di plastica accartocciati nella sabbia di mare, trasportata e stesa per l’occasione.

Era un sera di luglio dalle musiche, dai profili e dalle lingue anomale e il mojito scorreva comunque piacevole nella gola, pieno del suo aroma di menta fresca di stagione, nonostante venisse bonariamente servito in contenitori poco consoni al bere. E era tutto ugualmente buono, anche un gintonic dopo l’altro, come contagiato dall’euforia di quella gente poco portata a riempirsi la mente di pensieri e  scocciature, e così caratterialmente dedita all’allegria continua e al sorriso, anche dietro gli occhi più disperati.

Era tutto contagioso, dannatamente contagioso, che alla fine, seppur nessuno di loro ne avesse fatto cenno, la tristezza lì colse, silenziosi e disperati, nella loro solitudine ed estraneità alla festa, che col trascorrere delle ore lì avviluppò, relegandoli al bancone, col bicchiere scricchiolante fra le dita e gli occhi cacciatori senza speranza, lontani nella folla ormai rada della tarda notte.

Della ragazza stava osservando poco, se non che per accarezzare ogni sua curva, gli necessitava una mano completamente aperta. Era un corpo tonico, abbondante ma armonioso, e sdraiati su un fianco lungo il divano, si sarebbe detto un ottimo posto, ove affogare i pensieri. Ma c’erano troppe regole da rispettare nel locale e troppi limiti da non poter oltrepassare. O meglio il regolamento era poi interpretabile per eccesso o per difetto dalle ragazze.

Quelle del sud erano in media più libertine, e gli era capitato in passato di poter divertirsi un bel po’ e notare che anche loro avevano più desiderio di spassarsela che di eseguire un vero e proprio lavoro. 

Diversamente, certe sere, tipo questa sera che era stato troppo sbronzo per poter scegliere, o semplicemente farne a meno, gli era capitata una dell’est. Erano decisamente le più belle, ma spesso troppo rigide e a volte anche di cattivo umore e per nulla ben disposte. Ma questa sera l’alcool aveva scelto tutto sommato bene al posto suo, anche se le era capitata una tipa dell’est.

Ma era un tipa davvero notevole e davvero morbida, con un sacco di posti semplici dove mettere le mani, senza indispettirla. E quando gli aveva detto quella cosa, perché poi alla fine, finiva per confidarsi un bel po’, lei era rimasta stupita e come spesso gli accadeva, ci volle tutta la sua faccia più rassicurante e sincera per convincerla che non la stesse scherzando o solamente prendendosi gioco di lei. Era diventata molto dolce dopo di quello, o semplicemente stava fingendo che la cosa gli piacesse o gli potesse interessare.

“Se non ci fosse quel finto David di Michelangelo che ci scruta con gli occhi da guardone e i riverberi arancio sugli specchi, fossero in realtà le fiamme crepitanti di un camino acceso, questo divano sarebbe un gran bel posto dove passare la vita, non credi?” disse lui.

“Già, e potremmo fare un sacco all’amore” aggiunse lei.

“Questo è un buon dire. E ho un gran bisogno di baciarti”.

“Qui non si può. Il regolamento”.

“Dannato regolamento, c’è qualcuno che lo fa rispettare?”

"Lui”, disse la ragazza, indicando un tipo giovane e grosso della security appostato all’ingresso della zona privata.

“Chiudi gli occhi, e immagina che lui non ci sia”, lui gli propose.

“Sei molto sciocco e molto dolce” disse lei, tirandolo a se.

“Sono sciocco, dolce e ho una gran voglia di baciarti” aggiunse lui.

“Un giorno fuori di qui, mi accompagnerai a cena in un posto dove non ci sarà nessuno che potrà fare la spia. E mangeremo bene e berremo dell’ottimo vino bianco”

“E poi ti potrò baciare?” chiese lui.

“Non bacio mai così tanto per baciare.”

“Fai molto bene, c’è in giro un sacco di gente immeritevole” aggiunse lui. 

Poi si congedandò, perché era ormai notte fonda e quelli non erano posti in cui era consigliabile attardarsi più del dovuto. Usci fuori nell’ampia sala ormai deserta, e non trovando traccia del Grigio e di Willye, salì le scale che riportavano in superficie, fermandosi alla cassa. Passò la carta di credito, infilando la mano attraverso la fessura circolare nel vetro.

“Dannazione, quanto mi costa questo amore” si disse.

“Cristo, hai una strana concezione dell’amore allora” si rispose sottovoce.

“Dovresti perlomeno sapere cos’è l’amore per poter dire se questo lo è o no”, ribatte lui indispettito verso la sua parte più dubitante.

“Bene, cos’è allora l’amore?”

“Questa è per me la cosa che più fin’ora ci si è avvicinata.”

“Questo è amore quanto gli scacchi sono uno sport.”

“Bè, negli scacchi ci sono un paio di regole e limitazioni di troppo e manca il contatto fisico. Ma per il resto..”

“Al diavolo”, si disse. “Non ci sai nemmeno giocare a scacchi.”

 

(…da “Ci sono anche queste vite”  – Martin T. T. Write)

28 Risposte a “ANCORA AL DIAVOLO.”

  1. no, papiMarT… sbagli… non è che tu inventi proverbi e poi scopri che esistono già… tu SCOPIAZZI…. e sono due cose diverse… ;o))

    anche se ammetto che andare a pescare proprio un proverbio dello Zaire doveva costarti un bel pò di fatica…

    PS: ascolta, ti può interessare una Mondeo SW del 98, con seggiolini bimbi già incorporati?

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