BUON ANNIVERSARIO.

Il dolore per le perdite, è proporzionale ai lasciti del partente. Assunzioni in corso e acquisizioni successive, sorte dal rimuginare costante. Avremmo nella nostra destinazione, una parte originale non contaminata dall’ambiente di crescita. Ma spesso la radiazione esterna è così forte da far si che necessitiamo di una guida per riscoprire anche la direzione principale. Diluente per preconcetti, blocchi di cemento per catene. Ora sarei molto più pronto. Il tempo non è che lucidità che va accumulandosi. Pulito dalle intemperie, lucido allo stato originale. Ora sono. No. La predisposizione è tutta altra cosa. Il tempo come macchina anti-errore è materia per avvocati che non possono sbagliare. La preparazione corrompe gli istinti. Così siamo animali addomesticati dall’abitudine, snaturati dalla ciotola e per la ciotola. Solo la sofferenza ci migliora. Quindi l’uomo non soffre ancora abbastanza, è evidente. I brevi, pochi piaceri dell’esistenza sono legati ad assolute casualità di eventi. Non esiste un destino, è il caos naturale della creazione che rotola su se stesso di continuo, dall’origine. Una tipologia di moto che a volte sembra assumere una regolarità, questo è quello che ci fotte. La sicurezza che richiediamo alla vita è il calo di tensione che prima o poi ci fa cogliere impreparati. Aspettarsi nulla o aspettarsi tutto, mai qualcosa, questo è il segreto. I rapporti fra gli esseri hanno lo scopo di ammazzare il tedio del nulla o sopportare la violenza del tutto. Non sono fatti per frizzanti vie intermedie. Generalizzando il problema delle donne è che tendono a sprecare la loro meravigliosa sensibilità per fatti assolutamente insignificanti. Generalizzando il problema degli uomini è l’oblio della sensibilità. Il problema vero è che per persone realmente sensibili, incontrarsi nel caos, è deleterio. Troppo vibrazioni, troppo rumore. Il problema sta all’origine. “Problema di programmazione di base”.

5 Risposte a “BUON ANNIVERSARIO.”

  1. non mi riferivo a un riposo ma a un progetto di vita…anche se sai che il mio lavoro lo adoro e quindi non parlo di quello solo che lo voglio fare come e quando io voglio…poi alla fine due costumi uguali, uno marrone e uno bianco…che immaginazione bacio di buon we nina

  2. bello bello bello questo concetto di vita di vita che si muove nel fango del tempo …chi va a piedi nudi, chi ha gli stivali, chi ha paura a macchiarsi la camicia bianca …questioni di sensibilitàappunto.

    o anche retrospettive

    :-)) visto che qui c’è la fine Pista regista che salutammo

  3. Heimat

    Ambientato a Schabbach, villaggio immaginario dell’Hunsrück (Germania sudoccidentale), terra natale del regista, questo sceneggiato per la TV – prodotto, scritto (con Peter Steinbach) e diretto da Reitz – traccia, attraverso le vicende di tre famiglie (Simon, Wiegand, Glasich), un affresco di storia contemporanea tedesca dal 1919 ai primi anni ’80. È diviso in 11 parti: 1) Nostalgia di terre lontane (1919-28); 2) Il centro del mondo (1929-33); 3) Natale come mai fino allora (1935); 4) Reichshohenstrasse-Via delle Alture del Reich (1938); 5) Scappato via e ritornato (1938-39); 6) Fronte interno (1943); 7) L’amore dei soldati (1944); 8) L’americano (1945-47); 9) Hermännchen (1955-56); 10) Gli anni ruggenti (1967-69); 11) La festa dei vivi e dei morti (1982). In tedesco Heimat sta per luogo natale e di residenza, paese d’origine e casa paterna. Tra gli intenti di Reitz in questa “cronaca” fluviale profonda, complessa eppure semplice c’è quello di fare di Schabbach una sineddoche della Germania e di mettere a fuoco un’“anima” tedesca da riscoprire nelle sue regioni rurali dove, secondo il regista, la separazione tra Pubblico e Privato è più marcata che altrove. Con Berlin Alexanderplatz (1980) di Fassbinder, Heimat è stato uno dei due grandi eventi cinetelevisivi del decennio 1980-89, e non soltanto in ambito germanico. Nella sua affascinante semplicità, frutto di una decantata e controllata combinazione di molti elementi, è un’opera in cui i valori simbolici e le tensioni metaforiche sono concretamente calati in una epica del quotidiano di puntiglioso realismo. Poco più della metà del materiale montato è a colori e nella 1ª parte la preponderanza è del bianconero (fotografia di Gernot Roll), ma anche per altri aspetti stilistici il linguaggio di Reitz s’impone con autorevolezza nella sua varietà. Nel personaggio di Hermann, ultimo figlio di Maria Simon, l’artista che prende coscienza della propria diversità e si allontana dalla Heimat, si può vedere un alter ego dell’autore. Non a caso sarà uno dei personaggi principali di Die zweite Heimat.

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