CALIFORNIA HERE WE COME

Scendiamo in otto, belli come il sole, (e difatti è buio fondo) nel parcheggio silenzioso che sa molto di orto degli ulivi.

Qualche pianta qua e la, distribuita a casaccio dentro una serie di piazzali polverosi, con l’erba fresca e breve di primavera, che spunta come toppe dal terreno sterrato. Sui vari livelli irregolari dei parcheggi e lungo la stradina piena di esse e spuntoni di roccia ai lati, macchine imbizzarrite sgommano alla ricerca di un angolo, dove scaricare gli impazienti viaggiatori del sabato sera.

Una parete rocciosa si staglia verticale, imponente e liscia alle spalle del locale, assottigliandosi e sfumando infine, nel punto di contatto con l’orizzonte della notte stellata.

La sua ombra invisibile, si getta come un mantello protettivo, dagli abissi del cielo giù alle teste calde degli avventori del locale. Il vento leggero del lago, risale la vallata alitando caldo, tra le fronde scarne degli ulivi. Delicate fragranze di piante in fiore miste a particelle di polvere di calcare, mi soffiano sulla faccia, arsa e arrossata dal pazzo sole di marzo, che mi ha picchiato addosso per tutta la giornata.

Pisciatina collettiva al riparo casuale, di una serie di macigni piantati al suolo come sementi, dal monte ciclopico che ci sovrasta con la sua immensa mole.

:-Ehi, capo, ti annaffiamo un po’ il raccolto se non disturba.

Ha una voce cupa e roca da blues man, come si confà a uno della sua stazza.

:- Ragazzi, dateci dentro mi raccomando.

:- Non ti deluderemo capo. Gli faccio, strizzando l’occhio con lo sguardo volto all’insù, a cercare il suo.

Mi fa okkey col pollicione, appena prima che lo veda scomparire, offuscato dall’orbita luminosa dell’ingresso.

 

 

Siamo otto animali da pub in trasferta.

In cerca di gloria e ristoro per le gole e per il corpo.

Il corpo si sa già, parte ad handicap. Punti di penalizzazione a iosa, ed una fatica maledetta a racimolare vittorie.

Gli occhi invece, dal canto loro, iniziano subito a nutrirsi, a partire dai primi due fianchi ondulanti, che mi ancheggiano davanti, contenuti, come una mano, dentro un guanto di lino bianco.

Per la gola.

Bhè, quella è prima in classifica dalla prima all’ultima giornata. Il campionato più prevedibile della storia.

Come dice F (unico astemio del gruppo, ma che si stordisce di litri di Coca Cola) in uno tra i suoi aforismi più apprezzati.

:- Ragazzi, trombare non tromberemo, ma di sicuro, di sete mai non moriremo.

Amen.

Siamo sempre in otto.

E se ci fossero delle donne non troppo esigenti, poco schizzinose, poco attente all’estetica, poco attente al contenuto, vogliose di una botta e via, vogliose di divertirsi, vogliose di uomini rudi di montagna, eccheccazzo saremmo la loro manna dal cielo. Il loro principe marrone.

Ma ditemi.

Mai incontrato donne di questo tipo?

Nemmeno noi vi dirò.

E quindi ci dedichiamo ad altro. Tipo, alla conquista del bancone. All’abbeveraggio. Alla soddisfazione visiva. Al turpiloquio.

A mali estremi, estremi rimedi.

C’è della gente nelle terrazze esterne, sotto gazebo estivi e panche e tavoli rustici, del tipo da piazzola di sosta sulle strade alpine. Passiamo tra due ali di fumatori, posti ai lati del vialetto di accesso. La fila rallenta. Il locale è un imbuto.

Sulla sinistra il bancone, stretto ma rifornito, dietro il quale, baristi indefessi, stappano, spinano, shakerano, mischiano, incassano.

Sulla destra i tavoli della pizzeria. Sparecchiati di piatti. Apparecchiati di.

Donne. Tante donne. Troppe donne. Da farci l’indigestione.

Un banchetto nuziale.

Mi strofino gli occhiali, come davanti a un miraggio. Non può essere. Sono tutte sui tavoli. Saltano, ballano cantano.

Vedo pelle nuda e curve e occhi truccati e labbra invitanti e sorrisi bianchi dappertutto.

Il disco rigido della mia memoria ottica va in fullsize e si pianta sotto l’inarrestabile processo di immagazzinamento dati e scannerizzazione dei profili, al quale sono costretto.

Premo CRL+ALT+CANC per riavviarmi e abbasso lo sguardo ad altezza d’uomo, in modo da ri-settare la vista, con la visione più consona degli avventori maschi accalcati al bancone.

Mi sento troppo esposto qua sul fondo, troppo visibile agli sguardi e del tutto indifeso.

Come dentro all’arena, immagino le ragazze imperatrici condannarmi con il pollice girato verso il basso.

:- A morte il buzzurro! Che siano liberati i leoni. Fate uscire i gladiatori. Le urla eccitate della folla in visibilio per la previsione del massacro mi stordiscono, rimbombandomi tra i timpani devianti, come il canto ingannevole di una sirena dagli scogli.

Giro a tratti gli occhi verso l’alto, per controllare la situazione. Solo brevi scatti laterali interlocutori. Non riesco a reggere gli sguardi. Non distinguo figure, solo movimenti frenetici ed eccitazione fisica.

Sono dentro un allucinazione e sono troppo presente. Ho bisogno di stordirmi.

Tempo pochi minuti e come barbari, caliamo sul bancone spazzando via gli inesperti e sorpresi avventori del luogo.

Non facciamo prigionieri. Passiamo di spada tutti quelli che fanno resistenza. Ma nella maggior parte dei casi, basta lo sguardo feroce e trucido.

Al terzo ordine nel giro di venti minuti, scatta il primo omaggio della casa. Mi infilo due bottigliette di liquido colorato nelle tasche dei jeans a mo’ di pistole nel cinturone, mentre mi faccio scivolare con gusto la terza giù, nel profondo della gola.

Ora sono pronto alla battaglia.

Adocchio, nel bendiDio generale, la mia gnocca della serata.

Ogni serata, ha la sua gnocca della serata. Questo è il primo comandamento.

Non deve essere per forza la migliore del locale. Ma quella che ti attizza personalmente lo sguardo. Quella che ogni tot secondi, cerchi con gli occhi sperando di incontrare i suoi. La madre dei tuoi figli.

Quella che ti faresti ovvio. Ma con romanticismo.

Nel mio standard, questa è al livello HEIDI.

Non perfetta fisicamente. Ben in carne. Rotondetta nei posti giusti. Ma elegante e curata. Altezza media. Viso solare, occhietto vispo e sorriso radioso. Si muove scatenata e priva di freni inibitori sopra il tavolo. La pelle nuda e lattiginosa del solco del seno mi manda in estasi.

La immagino morbida e abbondante fra le mie mani. Dentro una cucina tra farina, prosciutto, marmellata di albicocche e pastella per le crepes.

Naturalmente, tra la calca folle, ci sono tutti le altre categorie della serata.

Miss Grantette se ne sta nell’angolo dietro il forno delle pizze, a limonare con uno sconosciuto. Uno sconosciuto per me si intende.

Miss In Gambissima balla con una mini da urlo sopra le nostre testa, avvinghiata a una specie di LucaCorderodiMontezemolo di vent’anni. Quando, ubriaca, tentando goffamente di scendere dal tavolo, mostra il favoloso e invalicabile mondo del suo interno coscia a metà locale, F per attirare la mia attenzione, mi asporta con una gomitata, gran parte della milza.

Naturalmente ci sono anche Miss BegliOcchi, Miss Sedere a Mandolino (volgarmente detta CheCulo!), Miss Perizoma, (volgarmente detta ChePorca), MissCozza (i cessi nel locale sono obbligatori) e MissAcidona (quella che se la tira).

Un vero paradiso terrestre insomma. Con tanto di struscio involontario ma gratificante.

Sentire la pressione morbida dei seni sulla schiena arrossata dal sole, è la miglior crema dopo sole che abbia mai sperimentato.

Stranamente, tanto per cambiare, io e F abbiamo scelto la stessa Miss Serata. Capita di frequente. Questione di gusti.

F se la prende sempre.

:- Tu mi freghi sempre la donna!

In effetti, con gli occhi, gliene ho messe incinte un bel po’.

A fatti poi, perdiamo sempre entrambi. Io, perché non entro mai in azione, lui, perché pur entrando in azione, al massimo si becca due pive nel sacco.

F è un bravo ragazzo. Solo difetta in parte di finezza. E’ da sgrezzare.

Tipo se l’ideale standard fosse un asse levigata da pavimento, lui è ancora il tronco d’albero piantato sulla sommità di una vallata irraggiungibile.

Quindi c’è da lavorarci.

Questa sera lo vedo cambiare metodo. E’ gia bello assuefatto di cocacolaina e di conseguenza, niente lo può spaventare.

Offre da bere alla ragazza. Dalla distanza. Più che altro ci prova, sventolando in alto in sua direzione, una bottiglietta colorata di bacardi breezer.

Temo gli dica di no, visto che la bottiglia me la scolo io.

Povero F, tecnica da bocciare si direbbe. Ma si sta applicando. Prima o poi riuscirà. Almeno lui tenta.

E poi si prende le sue soddisfazioni in ogni modo.

Poco dopo la tipa gli sfila davanti con le amiche. Direzione, il bagno delle donne. La calca davanti al bancone, gente che balla. Gente che ordina. Non c’è posto per passare. Spingi qua, appoggiati la…e guarda a volte il caso. Tac. Una mano sul sedere quasi non si nota.

: – Com’era F?

Morbido e tenero. Da pollice all’insù.

 

 

Ormai siamo calati nella serata e la scena è tutta nostra. Quella del bancone si intende. Alle nostre spalle l’attività continua indefessa sui tavoli. Il titolare della baracca, un tipo alto in giacca e cravatta, prende giri e quota col passare del tempo e col passare dell’alcool nella sua gola. E’ anche il dee-jay del locale. Niente mixer o gruppi live. Un semplice impianto e la musica giusta passata al momento giusto. Un mix geniale di happy music, pezzi classici, rock, canzoni popolari e house.

Alla quinta ordinazione scatta “il giro della casa”. Sappiamo come farci benvolere.

Alla sesta ordinazione  scattano anche i primi cori e i primi esperimenti alcolici. Le cameriere sono super indaffarate, quindi non si possono pretendere mix troppo complicati. Ci arrangiamo da noi.

Redbull, vodka alla fragola, sambucca molinari, sprite, coca e una spruzzatina di birra.

Un insulto a qualsiasi barman. Ma davvero squisito.

Le sensazioni cominciano a farsi più offuscate, i tempi di reazione rallentano, le distanze sono spazi virtuali senza coordinate. Le presenze esterne sono annullate dal campo magnetico del gruppo.

Rimaniamo gli unici protagonisti, con i baristi come spettatori partecipanti e sparuti gruppi di sopravvissuti come pubblico.

Da un po’ le ragazze hanno abbandonato la posizione verticale sopra i tavoli, accaldate, cariche di eccitazione e annebbiate dall’alcool, per andare ad assumere quella orizzontale sopra qualche sedile reclinabile di una fortunata auto.

E di un fortunato possessore d’auto.

Come sempre non ci hanno chiamato. O forse eravamo troppo in altro affaccendati, per accorgercene.

Sarà per un’altra volta. Non eravamo qui per questo. E poi avevamo appena aspirato la macchina.

Al giro numero otto, scatta l’ennesima offerta della casa.

Questo è proprio amore a prima vista.

Agli angoli, strofinacci e scope hanno già iniziato a smantellare la serata. Il titolare ci concede ancora qualche canzone a cortese richiesta.

Albachiara. Quella che ultimamente vediamo troppo spesso.

Rotta per casa di Dio. Quella che non troveremo mai.

Non abbiamo più fiato e gambe per andare avanti.

Sorrisi e pacche sulle spalle e strette di mano.

E una promessa.

Torneremo.

Inalo a pieni polmoni, l’ossigeno puro dell’aria esterna, rischiando di soffocare per quanto è intenso. La brezza fresca è come un mare di acqua densa dentro il quale camminare. Ho addosso un effetto bagnato  che si mischia all’effetto stordente della stanchezza e dell’alcool.

La luna alle nostre spalle, proietta ombre pulite e apparentemente vive, tra l’erba giovane dalla consistenza plastica e sulla parete liscia, che sembra rovesciarcisi addosso per quanto è curva sopra le nostre teste.

Piegata in due dalle risate. Penso. O forse sta per vomitare.

I miei amici, in un attimo di lucidità religiosa, ricordandosi della Domenica della Palme, stanno deforestando gli alberelli del parcheggio, per portare alle loro mamme, ramoscelli d’ulivo, suppongo in segno di pace. O come souvenir della serata.

Naturalmente non posso essere da meno. Mi attacco a una fronda che mi piove davanti al naso. L’albero gira come una trottola e non ne vuol sapere di stare fermo. Fletto il ramoscello nel tentativo di spezzarlo, ma è primavera e il legno è ancora verde ed elastico.

Si carica a molla, tendendosi come la corda di un arco, per poi schioccare veloce, come un sibilo di frusta, sulla mia faccia.

Mi ricordo di essere nell’orto degli ulivi.

Porco Giuda.

15 Risposte a “CALIFORNIA HERE WE COME”

  1. bene, sei un pastore buzzurro che guarda Heidi…e io sono un’ochetta che si lascia condizionare da un nanetto bastardo che parla come i messaggini dei Baci Perugina…

    Bella coppia.

    (A…….ccipicchia. Pensavi….lcolista eh!!)invece no.

    bacio.

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