CITY.

La nuova frontiera del costruire, dicono gli architetti, è la verticalità. Le cinture delle metropoli si stanno sempre più allargando. Popolo di obesi in città obese. Le periferie sconfinano ormai in altri stati, tendenzialmente più poveri: per raggiungere il centro della mia città devo acquistare una vacanza mordi e fuggi di tre giorni. Gli appartamenti ai piani più alti delle nuovi torri antisismiche in travi di legno e facciate vetro alluminio dovranno essere riservate ai credenti cristiani. E’ l’unico modo per non farli sentire traditi prima che anche loro finiscano sotto un metro di terra. Questa è l’ascensione baby. Giunto in centro mi sono seduto sul marciapiede a fianco della pensilina del metrobus. Il lastricato in pietra mi trasmette il freddo della terra attraverso i jeans, le chiappe, la scala a pioli dorsale, fino nel cervello. Ho guardato prima i miei compagni di viaggio. Nonne locali con nipoti sudamericani importati, badanti ucraine con la pellicica e i capelli biondi. Cotonati, profumatissime, morbide, fiere e rassicuranti. Impiegati amministrativi, giacca cravatta e basette a punta. Minorenni con la canotta sopra la maglietta, tette grosse che pulsano al ritmo dell’ ipod, il culo che inizia già a sformarsi. Nel cestino dei rifiuti un bicchiere rosso e bianco di cartone da mezzolitro, coperchio trasparente e cannuccia. Sul pavimento un kleenex macchiato di ketchup.  – Ke skifo la vita –  qualcuno ha scritto con un pennarello giallo sul palo del lampione. Poi è passata una tizia con gli stivali da cavallerizza, un vestitino a fiori trasparente, degli occhiali da sole avvolgenti e un baschetto di lana bianca con un bozzolo natalizio. Tutti si sono voltati a guardarle il sedere che ancheggiava al ritmo dei passi. Un tizio dei balcani che stava al posto passeggero dentro una vecchia Fiat Tipo ha abbassato il finestrino e ha chiesto qualcosa alla ragazza. Aveva i sorriso convinto di uno che crede di potersi scopare chiunque, anche se è brutto e triste come la fame e la sera sua madre lo aspetta col minestrone per le sei e quarantacinque precise. La squinzia ha continuato a guardare dritta davanti senza battere ciglio e i due con la Tipo hanno tamponato una berlina tedesca nuova fiammante in coda al semaforo. E’ arrivato un trambus che non era il mio e ho raccolto le gambe per far passare una ragazza finalmente bella come si deve e ci siamo sorrisi per la cortesia. Bisogna sapersi accontentare delle piccole attenzioni perché quelle lunghe e durature finiscono per essere forzate. Al semaforo un tipo sulla cinquantina è sceso dalla berlina tamponata e si è messo a chiamare qualcuno al cellulare mentre camminava qua e la in mezzo alla carreggiata, tirando da una sigaretta mentre il traffico evitava dignitosamente di investirlo. Due vigili a cavallo sono prontamente intervenuti sul luogo dell’incidente ed hanno iniziato a darci sotto con i due serbi. Documenti, spiegazioni, minacce. Il tipo che poco prima faceva il ganzo ora sembrava seriamente preoccupato di fare tardi a cena. Uno dei cavalli ha cagato abbondantemente in mezzo alla corsia proprio mentre stava transitando un salutista in mountain bike; l’imprenditore ha fatto segno a uno dei due vigili di pazientare un minuto – ha alzato l’indice della sinistra – il tempo di finire la telefonata. Accanto a me nel frattempo si è seduto un tizio di colore con una borsa di nylon di un grande magazzino piena di pacchettini di cd masterizzati. I negri hanno sempre questi fisici straordinari e asciutti, costruiti e mantenuti a forza di fare la fame; la cosa tecnicamente non torna. Gli ho chiesto di farmi vedere i ciddì e il primo di testa era un album della Pausini con la copertina lisa. Mi sa che era finita la cartuccia. Fortunatamente è arrivato il suo numero e il negro mi ha detto che doveva scappare proprio. Gli ho ridato la pirateria e una pacchetta di saluto sulla spalla come a dire vai. Lui è andato. Aveva un paio di pantaloni militari finti con scritto U.S. ARMY. Magari da piccolo lo hanno bombardato quelli. La fica che era passata poco prima è ripassata nel senso contrario e questa volta dato che era di petto, tutti le hanno guardato le tette. Il tizio serbo era distratto a firmare qualcosa sulla cartelletta del vigile e se l’è persa. In alto ho sentito passare un biplano e così ho guardato verso il cielo e di fronte a me, un po’ arancione di tramonto, ho notato un grattacielo appena ultimato. Più che nuovo, era una sorta di sormonto moderno sopra una vecchia struttura in muratura alta già una decina di piani. Un vero scempio se avessi dovuto giudicare in base ad un criterio. Ma poi mi sono guardato attorno, gli altri edifici, le forme, i colori, il rumore, il movimento e mi sono reso conto che grazieaddio in città vi è almeno una possibilità di caos ed è giusto che sia perpetrata. E’ difficile togliersi di dosso la rigidità delle montagne quando il freddo ti è ormai entrato nelle ossa. La mente ci mette sempre una decina di chilometri prima di iniziare a soffiare pensieri caldi. Sopra il tetto piano di un palazzo commerciale sulla destra stava un cartellone pubblicitario di dieci metri per otto, sfondo bianchissimo con una scritta rossa centrale. “L’amore è una pubblicità ingannevole.” In basso, in nero, più sottile: “Infine, non fatevi cogliere impreparati – Pompe funebri Giorgio Vitale tel, fax, email-.”

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