COME UNA GROSSA E PERENNE SBRONZA.

Da un paio di giorni a questa parte, sono ubriaco fradicio.

Un continuo. Un crescendo.

Mi carburo durante l’orario d’ufficio, mantengo durante la sera, smaltisco nel sonno. Per poi ricominciare il mattino seguente.

Credetemi. E’ impegnativo.

E non lo faccio di mia volontà. E’ un percorso naturale. Ingurgito, accumulo, scarico, immetto nella gola, in circolo nel corpo, fino allo stordimento. Fisico e mentale. Fino a non riuscire più a mettere in fila due pensieri consecutivi uno all’altro. Al punto di dover riflettere sul significato dei termini, prima di emetterli sottoforma di suoni.

Aspetta, aspetta, come si chiama questa tipa premurosa che mi fa il pranzo. Ah, si. Mam-ma. Ripeti. Mam-ma.

E questo coso al quale sto scrivendo? Compu-ter. Com-puter? Che parolone.

Incredibile. Sono talmente ebbro che devo pensare la costruzione grammaticale di una frase. Come se tentassi di parlare una lingua straniera.

Oh, I want here a beautiful girl under mi desk.

In inglese potrei improvvisare. La lingua impastata mi faciliterebbe la pronuncia. E’ un sabato notte perenne. Anzi, un risveglio domenicale mi pare più idoneo.

Durante la fase notturna, dentro nella sbronza, le parole escono fluide, al pari dei liquidi ingeriti. Okkey, magari ti capita di sbagliare i congiuntivi, di ripetere le stesse cose per tutta la serata, di incespicare su un termine zeppo di consonanti, di non riuscire a pronunciare la parola RADLER. Ma il dialogo è quasi ossessivo, e le idee ti allagano la mente, come un calice che trabocca sul bancone.

La mattina dopo invece è uno strazio. Il post ubriacatura. I postumi fisici innanzitutto. Ma quelli mentali? Vogliamo mettere? Come se ti avessero risucchiato la facoltà di intendere e volere.

Suppongo l’alcool diluisca l’intelletto.

La domenica a mezzogiorno mi guardo allo specchio con aria pensosa. La mano che strofina il mento. Le altre mani che rovistano nella testa, come dentro un cassetto. Alla ricerca di un paio di mutande pulite. Alla ricerca di una forma di vita. Che diavolo ci faccio in bagno? A che serve un bagno? Già, devo pisciare! L’alcool è veramente un invenzione tosta. E’ come la nebbia per la pianura. Mette tutti sullo stesso piano. Rallentati e impotenti. Sia quello con la Ferrari, che quello con la Panda. Hai un sacco di cavalli? Bè, ora sono inutilizzabili.

Ragazzi, spero di aver reso l’idea. Ho una grossissima e persistente sbronza. Solo che non è d’alcool. E’ di stress lavorativo.

Me ne sono scolato un paio di casse tutte d’un fiato. Me le sono trovate qui, a portata di mano. Fanno sinceramente schifo. Come gusto, si intende. Diciamo sapore anonimo per non essere troppo estremisti. Tipo acqua. Incolore e insapore. E in-effetto.

Per necessità, dovere, obbligo contrattuale, ho dovuto trangugiarne, una bottiglia in fila all’altra. E’ una sostanza gasata per di più. Gonfia lo stomaco di un senso di pesantezza. Tutto l’inverno passato in siccità e poi, senza preavviso, una consegna da un giorno all’altro. Una camionata intera. Eccheccazzo. Nemmeno le braccia erano pronte. Troppa inattività. Solo lo scaricare, è stata un impresa. Ma dovevo aspettarmelo. Sapevo sarebbe successo prima o poi.

Sé vabbè domani! mi dicevo. E’ che poi, domani, arriva.

Sono qui a lavorare. Suppongo tra le righe si fosse capito. Un lavoro di un intensità folle. Folle se rapportata al nulla di prima. Per un lavoratore costante, sarebbe stato come per un ciclista provetto, un aumento di pendenza appena insignificante, dato dallo scollinare sopra un cavalcavia.

Ma se mai il sottoscritto fosse salito in bici, da gennaio ad oggi, avrebbe fatto solo discese su discese.

Di quelle facili tra l’altro. Carreggiate a quattro corsie, con l’asfalto nuovo, nero e di buona aderenza, e la segnaletica orizzontale, lucida nel suo bianco plastico. Di quelle discese veloci nelle quali non serve nemmeno pedalare. Se provi a inseguire le ruote, le gambe ti mulinano a vuoto.

Di conseguenza, l’attività lavorativa, ora mi si sbarra davanti come le asperità di un passo dolomitico, materializzatosi all’improvviso allo sguardo, quaggiù nei pedalabili pianeggianti chilometri del fondovalle.

 

 

Gestione delle commesse, ordini d’acquisto, contratti, subappalti da dichiarare, preventivi da richiedere, consegne da programmare, valutazioni economiche dell’appalto.

Un mix alcolico stordente. Difficile da reggere. Che taglia i cavi di connessione tra i vari settori, che argina come una diga, ogni tentativo estraneo e ulteriore di ragionamento, di esposizione del pensiero.

Che accorcia il fiato alle parole, piegandole in due su se stesse, con la lingua disidratata a penzoloni.

Avrei voluto raccontarvi in questi giorni, di un sabato matrimoniale davvero intenso, iniziato, tutto preciso e molto uomo nel mio vestito elegante, ma pesante e gravoso sotto il sole. E finito con ore di ballo sconsiderato, con la camicia aperta sul petto e la cravatta allentata che sobbalzava a ritmo. In mezzo, un pranzo troppo veloce, con gli occhi infilati nella scollatura vertiginosa della testimone. Avrei voluto raccontarvi di questo, dei tentativi di approccio eleganti, tentati, e poi sospesi, per manifesta impraticabilità del campo. Dirvi della cugina della sposa, procace ed invitante, seguita nei balli, ma poi lasciata sola sui divanetti, col dubbio irrisolto nella testa, se sedermi al suo fianco e infilarle una mano sotto la gonna, o perseverare nell’astinenza.

Questo e altro ci sarebbe stato da scrivere, dedicando righe su righe, frasi su frasi.

Ma il lavoro mi ha essiccato la mente, come il peggiore dei periodi di siccità.

Ho formulato solo pensieri elementari, col grembiulino nero e il fiocco azzurro dei primi anni di scuola. Pensierini che non sono nemmeno finiti sul quaderno a quadretti.

Si sono rattrappiti, disidratati, ripiegati su se stessi.

Il tempo è stato tiranno, un vero despota incline alla soggiogazione. Ha ridotto in povertà le idee, i pensieri, le costruzioni, che generalmente fioriscono e gozzovigliano numerosi dentro la mia mente.

Mi sento vuoto, come aspirato di ogni sostanza che non contempli, la pura, mera e lucrosa attività lavorativa.

Penso a questo problemino che ho con le ragazze.

Ultimamente le vedo interessate.

Ma io non riesco ad interessarmi a loro oltre il limite del semplice dialogo.

Sarò malato. Forse sono di legno.

Cristo! Forse mio padre è Geppetto. E io sono un Pinocchio senza sentimento.

Avrei voluto fare qualche considerazione anche su questo.

Assomiglia a un problema. A una sorta di difetto tecnico. Ma per la verità lo vivo parecchio bene.

Il passo oltre, non mi attizza. Forse mi spaventa? In effetti questa libertà cucita addosso, è spiacevole da svestire. Il cruccio, la questione, è che non ho idea degli abiti che potrei andare a vestire, dentro una relazione. Potrebbero rivelarsi estremamente confortevoli e piacevoli alla vista. Chissà.

Un interessante argomento, che merita valutazione. Magari più avanti. Quando i giorni saranno meno intensi e la mente più lucida per scriverne. Adesso non è tempo. L’amore si mescola con la produzione. Rischio di chiamare qualche magazzino per ordinare qualche fornitura di sentimento e immaginare strani giochi erotici a base di nutella e cemento. 

E’ necessario far defluire dalla testa, l’ingorgo di traffico che si è formato. Un ora di punta continua.

Il weekend sembra giungere a puntino, pronto ad applicarsi alla causa.

Un bagno di sole, l’aria fresca del lago, un po’ di pelle nuda da sbirciare sopra gli asciugamani e una discreta sbronza alcolica alla sera. E’ quel che mi ci vuole.

Perché le parole ricomincino a fluire nel percorso testa-dita-tastiera-schermo. Perché possa scrollarmi questa puzza d’ufficio di dosso. Perché sento la mia testa ingabbiata. Come un inutile leone in gabbia. Roarrrr.

 

 

18 Risposte a “COME UNA GROSSA E PERENNE SBRONZA.”

  1. mart ciao

    copiato di corsa solo quest’ultimo post uffaaaaaaaa

    sai che novita’!!! tutto di corsa ultimamente!! 🙁

    ti prego se vai avanti col giallo mandamelo in posta o segnalamelo nn posso perdermi di perdermelo

  2. MAAAAAAAAAAAAARTTTTTTTTTTT!!!

    cazzo, mi tengono prigioniera in questo ufficio!!! meno male che per rallegrarmi un po’ ieri sera ho scelto la RIUNIONE DI CONDIMINIO.

    ah, ma domani me ne vado al mare e chi s’è visto s’è visto, e chi no.. chi se ne fotte.

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