DOMENICA. (GIANDOMENICO PANE)




Mi sono così rimesso in gioco nella ricerca di queste persone che, ora che,  – con una punta d’orgoglio e logica e certo della sofferenza – riesco se non a farne a meno, perlomeno a sorvolare sull’assenza, be ecco – mi capisci? –  mi chiedo: e allora tanto valeva che manco iniziassi? E’ così pretenzioso questo pianeta perdio. Ti succhia il midollo dalle ossa e poi te le suona come un flauto. Il moto perpetuo. La ciclicità. Le vecchie regole dell’altalena. Spingo io e poi tocca a te. La gente se ne frega. Ti tocca sempre sudare le ascelle anche per la più banale delle esigenze. E io mica lo credevo, che sarebbe stata così. Me ne stavo a marcire su un divano o al seguito di certa gentaglia, e allora si, come darti torto, uno non ha il diritto di lamentarsi dei suoi mali. Non ho niente da obbiettare, nossignore. Ma cristo, una volta messo in circolo il sangue buono e sfregate le mani e arrotolata la camicia fino a stringere sul bicipite, una volta che hai fatto il dovuto e più del dovuto per portanti in pari, ti aspetti, come dire, se non una ricompensa, ma almeno la riconoscenza, un pari e patta.  L’occhio per l’occhio, il dente per il dente. E invece eccoci qua. Sei mesi, un anno, due anni dopo, nuovamente a fare a meno di tutti. Per scelta. Tanto vale risparmiarsi. Divorzista con qualche ferita che brucia certo, in taluni casi brucia anche il culo, ma tutto sommato, – guardami, –  sconfitto, rinunciatario, arrendevole, ma fondamentalmente sereno. Disposto a ridare indietro tutto. Si fa anche presto, vorrei dire a essere un tot offensivo. Non voglio accusare che è niente, anticaglia, bigiotteria, facilmente restituibili. E’ quel che mi sono meritato. Devo esser rimasto l’unico coglione a dare più di quel che la gente si merita. O forse me lo immagino soltanto. Roba semplice e originale, onesta e sudata, lo sanno, mi hanno guardato a faticare. Così impegnato che non ho nemmeno alzato gli occhi per vedere che faccia si portavano appresso. Probabile avessero descritte della simpatia e della pena, tra gli zigomi alti e il mento allungato. Molto probabile mio caro. Lanciarsi a testa bassa ti fa fare la figura del fesso una volta e mezza su due. L’altra mezza ti passano per santo, sai che onore. Adesso non ho bisogno di nessuno. Chiedo tregua. Nella pace finale ci sono vincitori e vinti. Nella quiete dopo la tempesta non ti puoi dimenticare la tempesta, voglio dire. La conta dei danni. Farsi cullare dalla deriva trasportati a dorso dopo un naufragio non è la stessa cosa che abbandonarsi tra materasso e soffitto dopo un orgasmo. Ce le hai mica le pareti della stanza e un corpo compagno che ti danno dei limiti. La pace che segue la resa è come il bacio di Giuda. Resta sempre il bacio di un uomo con la barba da fare.

(Il sole delle sei pomeridiane trafigge l’acqua della corsia numero otto con una lama di luce. Doppiamente fratturata dalla parete vetrata e dal liquido, arriva comunque sul fondo, in prossimità della linea, blu, che dovrei seguire. Quota meno uno e ottanta a salire. C’è’ azzurro caraibico sotto il pelo, seppur sia semplice ceramica venti per dieci che riflette e spande tonalità. Pieno giorno negli abissi ma niente banchi di pesce sul fondale. In corsia sette un mammifero femmina della specie umana, si muove agile nonostante la gravidanza. In due nuotano forte e fatico a stare al passo. Probabile sia un’amatrice. Un’ex professionista. Una brava amatrice a giudicare dalle attenzioni che le riserva il marito. Nuoto solitario, una, due, dieci, venti vasche. Niente male per essere alla prima uscita fuori dal corso. Nessuno degli ulteriori utenti della piscina sembra voler scivolare dentro la mia corsia. Probabile quella confinante al bordo sia riservata ai brocchi, o forse, ho la faccia di uno che non desidera compagnia. Un paio di volte mi trovo aggrappato a rifiatare sotto la pedana delle partenze in contemporanea alla mia vicina. Mi guarda, la guardo, non so che dire. Il marito fa a gara con un ulteriore figlio, già svezzato e decisamente bravo, all’altro capo della vasca. Signora mi perdoni. E’ molto bella ma sono di poche parole. Veramente. La gravidanza la rende molto sensuale, mi creda. Sto però leggendo dei racconti di Marco Lodoli, davvero superbi. Ha presente quando per coincidenza ci si ritrova nelle caratteristiche di un personaggio? Ecco. Insomma. Cose così. Me ne andrei a casa ora, stia bene, arrivederci)

 

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