ESSENZIALMENTE TRISTE.


Erano settimane che gareggiavo al – chi è più triste – con una palma. La palma stava in un cortile e il suo svantaggio era, come per tutte le cose fuori luogo, che quello non era lo spiazzo di un caseggiato fronte mare, di un condominio a vista costa, l’angolo verde dell’entroterra dissanguato al limite degli ultimi tiri di salsedine: no cari miei. La triste palma stava e sta tutt’ora, fin quando non gli concederanno con la morte, la giustizia di tornare fra i suoi simili, quassù al nord. In un’aiuola due per due, fianco a fianco e culo a culo con un filare di viti e il nastro d’asfalto verso il garage, giusto sotto l’ombra incombente di quattro piani di scrostatezza, condominio anni settanta, confinante a condomini anni ottanta, novanta, anni duemila e rotti, e tutte le grane che essi comportano.
Ebbene sì, è toccato in sorte allo sfortunato arbusto, il più disgraziato dei quartieri popolari di periferia, – negri, vecchi, paki e transessuali – , per quanto si possa essere disgraziati in una ricca regione autonoma di montagna, per quanto possa chiamarsi disgrazia, l’immigrazione lavoratrice e quindi necessaria e la diversità che essa porta e comporta. Ma questi son altri discorsi, sui quali si vuole nel caso soprassedere, perché di altra tristezza qui si narra.

E concludendo quindi, al di la dell’etica e della deplorevole gestione urbanistica, di chi c’è e di chi non vorrebbe esserci, la tristezza dell’istantanea, ogni volta che alzo gli occhi transitandoci a fianco, sta nel concetto che essa avrebbe –  suppongo nell’intenzione del piantatore  – voluto significare ed illustrare ai posteri. Una cazzo di palma in una regione sub-alpina, pre-alpina, o alpina e basta. Un angolo di tropicalità nel rigore nordico. La spensieratezza equatoriale davanti alle linee rette. La speranza a tutti i costi, l’ottimismo, la tecnica del sorriso.

Odio anche il carnevale, e la palma non migliorerà neanche con fiorire della primavera, con le vernici dell’estate e i toni sfumati dell’autunno. Starà sempre lì, eretta e senza stile, come un vibratore per addii al nubilato. Continuerò a sfilarci sotto, guardandola sempre meno, più o meno vincente, più o meno perdente, e se un giorno mi prenderò un cane, gliela farò pisciare.

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