FOTOGRAFIA DI UN CAMBIAMENTO. (DI PER SE, EPOCALE.)




Quando finisci per scrivere con una certa eccessiva frequenza degli stessi argomenti, deve sorgerti con puntuale tempismo, qualche dubbio. La fortuna sarà, che con uguale celerità, avrai già le risposte al quesito. Risposte fra le quali orientarti, sulle quali specchiarti e infine, scegliere. Chiaramente, i motivi non possono che essere due. O hai poche idee, e un punto d’osservazione sulla ricchezza d’accadimenti del pianeta, quantomeno limitato, o la cosa ti sta davvero a cuore. Stare a cuore, tra l’altro, è uno di quei modi di dire, che una discreta tecnica di scrittura, prevedrebbe di evitare. Il cuore, nella sua versione non muscolare, è un termine così logorato dall’uso, da essere ormai totalmente svilito di ogni significato.

La cosa che mi sta sul culo quindi, è questa irrefrenabile e dilagante, poca propensione, ma forse meglio dire, repellenza, al contatto sociale. La comunicazione per dio! Ci risiamo. L’argomento mi picchia proprio forte in testa, al pari della giornaliera fascia d’emicrania, tanto che il sospetto che i due eventi siano in correlazione, sta divenendo più che un’ipotesi. L’ipotesi è femmina? (Ho scelto la risposta SI, perché “ipotesi” mi fa pensare ad “indecisione”, ed “indecisione”, qui non ci sono dubbi, è femmina tutta la vita. Il cromosoma femmina in questa correlazione è ereditario).

Al corso di fotografia la dea bendata è stata benevola al limite dello sperpero, in quanto a composizione del gruppo e scelta degli iscritti. Quattro maschi, sedici femmine. Da stropicciarsi gli occhi e pettinarsi il pelo sugli avambracci. Facile all’entusiasmo, il ragazzo è però presto stato rispedito sulla terra, causa prevedibilissima foratura delle prospettive.  (Questo, si badi, è un discorso che va al di la, anzi, non entra proprio, nell’ottica della conquista sentimentale e/o sessuale. Qui si dibatte di  rapporti senza scambi di fluidi vitali). Al termine di ciascuna delle prime tre lezioni, l’invito dell’insegnante a fermarsi per il goccio della buonanotte, due chiacchere, una spiegazione aggiuntiva, è passato inascoltato, dritto per dritto, come un giro di vento in una fila di pioppi maldisposti.  Per tre volte, la scena ripetuta con coraggio, si è risolta con i medesimi tre sparuti avventori, un locale minimal per aperitivi, arredo in bianco, discorsi rapidi ad esaurirsi e al divenire ripetitivi. Io, l’insegnante, l’amico di lui. Il cinquanta percento dei maschi ha dato forfait. Questo è forse più sorprendente della totale assenza delle ragazze. Valori lontani dalla più pessimistica delle medie sociali, in ogni modo. Dieci di sera e un coprifuoco che neanche in tempi di crisi bellica. Dopo il secondo incontro ho smesso di sorprendermi. Noto dalla non partecipazione alle lezioni, – aliti asciutti che mi gravano sulle spalle, movimenti nervosi sulle sedie e pochi altri segnali di vita – una totale assenza di entusiasmo. So a partire da che cosa ma non fino a che cosa. Siamo qui, avviate pure la mungitrice automatica e dateci la soia sul nastro. E’ tutto un assorbire nozioni, passivo, tra sbadigli trattenuti e aria che va via via viziandosi. Eppure mi dico, è stata una libera scelta, quella di voler apprendere, consci della conseguenza, di doverlo fare in un gruppo. Eppure, ancor di più, il voler imparare delle nozioni di fotografia, mi farebbe presumere un certo interesse per la comunicazione, seppur in una delle sue forme più silenti. Invece nulla. L’immagine non si coniuga con l’uso del verbo a quanto sembra. Anzi, è probabile che ne sia una voluta alternativa. Tempi di crisi e di rarefazione. Mea culpa. Traviso gli obiettivi. Forse l’utilizzo delle medesime forme d’espressione si ferma alla pura, casuale, comune scelta della tecnica e non da adito a punti di contatto extra, dati dalla coincidenza della scelta. Forse, il primordiale bisogno del gruppo sociale a scopo protettivo, sta venendo meno. L’individuo ritesse lentamente il suo bozzolo, mummificandosi all’interno.

Alla fine della quarta lezione la scena è stata riprovata, riuscendo nella sua versione peggiore. Piove, un velluto di nebbia, lampioni scheletrici, toni d’arancio e sabbia, strade lucide di pioggia. Una gran fotografia ma per il solito copione. Anzi, ci manca pure il terzo, e in due si fa presto a decidere, di tornarcene mestamente a casa, asciutti e puntuali.

Nella composizione di una fotografia, vi sono quattro punti di forza, in cui il soggetto va preferibilmente posto, dati dall’incrocio di due linee verticali e due orizzontali, ipoteticamente tracciate ad eguale distanza, in modo da dividere, l’immagine visualizzata in nove spazi.

Attenzione però. Per quanto seguiate le regole, di questi tempi è alquanto difficile trovare soggetti con carattere.

Una risposta a “FOTOGRAFIA DI UN CAMBIAMENTO. (DI PER SE, EPOCALE.)”

  1. Paradosso della "comunicazione" contemporanea:
    Sentirsi soli in mezzo a gente uguale a te, con le stesse emozioni, stesse reazioni, stesse immagini standard.
    Sentirsi uno standard unico tra standard di massa.

    Se rileggo cosa ho scritto mi vengono le bolle.

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