FRIDAY BLOODY FRIDAY

Venerdì sera e mi scrollo di dosso l’ufficio con ben cinque minuti di straordinari, dovuti alla distrazione e alla mancata sensazione del tempo che passa. Ero impegnato. Assorto. Concentrato. Nella lettura di un post.

Metto al sicuro il lavoro, mentre un vento caldo e speziato, mi lecca alla base del collo con la lingua ruvida.

La sera è già buia di un nero molle, come il terreno al disgelo, nel quale affondo, imprecando, le scarpe da tennis.

Illuminazione naturale. Riverbero di prati e cime nevosi.

Ho una innaturale voglia d’alcool. Insolita. Solo per l’orario. Roteo la lingua dentro il palato desiderando ardentemente, sapori fruttati e pastosi di vino rosso. Basi nocciolate di vino bianco. Composti dolci industriali di bottigliette bevi e getta. Granuli grezzi di zucchero di canna intrisi di rhum.

Citofono agli amici per organizzare la serata e liberarmi da quest’astinenza.

E che cazzo! Anche questo venerdì sera se ne stanno già preferendo una gelida pista da sci. Cristo! Non li riconosco più!

Qualcuno me li ha plagiati. Non è possibile. Cosa c’è di meglio al venerdì sera, del caldo e avvolgente abbraccio del bancone di un pub? Protettivo e rassicurante come il petto di una tata casereccia di mezza età.

Avvilito per un istante, penso ad un venerdì di riposo, tra le calde mura domestiche.

Ma la gola arida chiede piogge. Piogge ristoratrici.

Telefono ad A. Amico seminuovo ma fidato della palestra.

In quanto a procurarmi amicizie maschili, sono un vero maestro. In compenso la cosa si equilibria, per non dire sprofonda drammaticamente, con i risultati del tutto assenti, con l’altro sesso.

Ma per la serata che mi serve, le donne sono superflue.

Mettiamola così.

Quando non riesci ad avere una cosa, diventando questa irraggiungibile, l’assuefazione alla mancanza, te ne fa perdere il senso di necessità.

A. accetta di buon grado l’invito. Vedo il suo sorriso di soddisfazione e sollievo per la consapevolezza di avere qualcuno che lo distrarrà dai tentacoli opprimenti, dalle manette ai polsi, dai controlli polizieschi della fidanzata F.

A. è classificabile in quella categoria di uomini per cui la fidanzata, ha una pura utilità fisica.

E conseguentemente una assoluta inutilità per la vita sociale. Inutilità per non dire danno.

Suppongo, conoscendo A., che le donne abbiano di lui la stessa considerazione, dato che, al di là della presenza fisica, non vi sarebbe molto altro su cui fare conto.

Ma per la serata che mi serve, gli uomini intelligenti sono superflui.

Sistemata la faccenda, ho qualche ora di tempo per rilassarmi e darmi una necessaria, revisione generale.

Il bagno caldo, è tra i dieci migliori piaceri di questa vita terrena. Nella mia classifica personale, segue il bagno caldo in vasca olimpica, con fidanzata. (non ancora sperimentato).

Abbasso le luci e faccio gorgogliare l’acqua calda e fumante sopra i disegnini che ho dipinto sul fondo della vasca con gli spruzzi verdi del bagnoschiuma. L’incenso alla vaniglia si fonde con i vapori muschiati dell’acqua, depositandosi in goccioline sulle pareti piastrellate, e risalendomi in testa, attraverso le narici raffreddate.

Mi infilo nel mare insopportabilmente caldo che brucia e screzia le caviglie di rosso.

Rimango sollevato sulle punte fino quando il calore, non risulta accettabile.

Scivolo sul fondo laccato della vasca con la pelle che fa un leggero rumore d’attrito. Le ossa sembrano assorbire l’energia vitale dell’acqua ed estendersi robuste e infrangibili. I muscoli si sciolgono diventando flessuosi veli di seta rossi.

Piccoli pesci colorati mi solleticano ruvidi a fianco, mentre mi muovo fra un fondale di coralli.

 

La musica è idealmente buona, ai toni e volumi adatti per non disturbare e non passare inosservata. Il locale è pieno, caldo di presenza fisica. La mancanza della nebbiolina fumosa delle sigarette sospesa  a mezz’aria è salutare per il respiro, ma in parte se ne perde in atmosfera. Le facce da sbarbare del venerdì, si distinguono nitide nei lineamenti, fino all’orizzonte.

A., da bravo fidanzatino, ha portato anche F.

F non è affatto male.

F è solo un troppo rigida, poco sciolta. In perenne bilico sul precipizio della noia  personal cosmica.

Per intenderci.

Non la ragazza da portarsi a una festa per fare baldoria. La classica ragazza da accompagnare per vetrine.

Ecco.

F. è la ragazza ideale per chi non avrà altro Dio all’infuori di Lei. E io non sono un tipo molto religioso.

Sta di fatto che approfittando della sua distrazione, il sottoscritto, A. e compagnia bella, hanno indossato gli abiti da giudice di gara ed ora stanno provvedendo, all’elezione di Miss Grangnocca della Serata.

Cristo Santo! Al giorno d’oggi le ragazzine se ne vanno in giro come delle bombe ormonali, a stimolare l’incremento delle nascite nazionali.

 – Cazzo! guarda queste!

Due minorenni con pantalone bianco e perizoma nero ascellare, nonché tette strabilianti, strizzate a livello del mento, sbaragliano fisicamente la concorrenza di venticinque trentenni che popola il locale.

Fortunatamente col passaggio alla maggiore età, la caduta gravitazionale dei tessuti, è accompagnata da un sostanziale aggiornamento del sale in zucca. Quindi, nel complesso generale, la sfida se ne va via in pari.

Finita la parte divertente,  mi metto a discorrere con F., dato che nessuno le sta prestando un filo di attenzione.

A parte il sorriso dall’aspetto sempre forzato, i suoi occhi scuri e indomati, mi guardano dal basso trapassandomi di troppa intensità, attraverso le lame taglienti delle ciglia nere e lunghissime.

Cerco di sostenere il suo sguardo. La cosa mi imbarazza.

Lei mi infila un biglietto in tasca e torna da A.

 

Suppongo “Voglio scoparti 340/4696*** non sia una frase romantica stralciata da una qualche raccolta di poesie di Gibran.

Suppongo proprio di no.

Porca troia! (aggettivo mai mi parve più adatto sul momento).

Mi rovescio in gola il bicchiere di vino tutto intero. A volte troppa lucidità può creare problemi di vista.

Rileggo.

Il biglietto è sempre lo stesso.

F. è a qualche metro da me. La sua testa si gira a fissarmi a scatti brevi di novanta gradi, come il meccanismo inceppato di un robottino elettrico.

Qualcuno sotto di me si è parecchio ringalluzzito e già si sta pregustando l’inattesa festicciola.

          Ehi amico! Un pò di contegno dico! E poi, poi cazzo. E’ la ragazza di un buon amico. Credo proprio che dovremo dirglielo sai.

       Si insomma una cosa del tipo…Ehi A. lo sai? La tua tipa è un pò zoccola!  Stacci attento!

          Come dici? Non è che siamo poi cosi amici? Uhm…beh, beh..non hai mica tutti i torti in effetti..poi anche lui secondo me, la ha gia pure tradita…ti ricordi quella volta cosa a detto? Il rischio di tradire F. vale la posta in gioco, se fatto con una migliore di lei. Come? Anche secondo te di meglio ne ha gia trovate? Anche di peggio ti dirò..

          Sai che..quasi quasi..

          Si ma però…

          Però cosa?

          Non possiamo!

          Perché?

          Guardala. E’ piatta! Una parete verticale senza agganci. Una tavola da stiro! Liscia e scivolosa come una piastrella del bagno.

          E allora?

          Lo sai dai no! Io sotto la terza non ci riesco. Non ce al faccio assolutamente! Proprio non c’è amore.

          Cazzo già..me ne ero scordato..

          Gli ideali nella vita vanno rispettati. Se si perdono anche quelli amico..è la fine.

          Gia..si…….va…teniamo duro anche stavolta. (aggettivo mai mi parve più adatto sul momento).

          Bene, bravo, sono convinto che stiamo facendo la scelta giusta.

          Si, si, dai..lascia perdere…meglio così. Ci saranno altre occasioni.

          …Ok..torniamocene a letto va..

 

Sono circa la quattro del mattino quando accosto a sinistra a fianco del porticato, sotto la casa in centro di F, di ritorno dalla terrazza panoramica sotto il castello, dove ci siamo appartati.

La notte sta prendendo luce e ogni piccolo rumore, tra i palazzoni affiancati e le vie pedonali lastricate in pietra, sembra il riecheggiare nel vuoto, di un tuono estivo.

La luce arancione metallica dei lampioni di illuminazione, ha un qualcosa di marziano e innaturale.

Anche io ho un vago aspetto marziano.

Non sono riuscito ad allacciarmi nemmeno un bottone nell’asola corretta, ho gli occhiali storti per la gomitata che mi ha rifilato lei, spero involontariamente. Sono appiccicoso di uno strano caldo ed ho come la sensazione sulla faccia, di trucco sbavato.

Se ne sta al mio fianco, come assorta in un’altra dimensione, a fischiettare il motivetto stupido della radio e scrivere messaggini al cellulare al ritmo di una telegrafista dell’esercito in guerra sotto assedio.

I piedi incrociati sul cruscotto.

E’ fresca come una rosa.

Comincio ad avere qualche dubbio sulla qualità della mia prestazione.

Scendo e faccio il giro della macchina per aprirle la portiera.

Lei sgattaiola fuori con l’agilità di un leprotto.

Il rumore secco e leggero della portiera che si chiude, si sovrappone al tonfo sordo e pesante del portone in rovere a due ante, che si ripiega su se stesso, dietro di lei e davanti a me, protettivo e invalicabile.

Mi da tanto l’idea di un ponte levatoio alzato repentinamente davanti al nemico.

Aspetto solo che un coccodrillo scivoli silenzioso fuori dal fossato ad azzannarmi e trascinarmi giù, sul fondo torbido delle acque stagnanti.

Ho del tutto seri dubbi sulla qualità della mia prestazione.

Rimango lì fisso, con le mani affondate nelle tasche a guardare all’insù, sulla facciata, una luce che si è accesa nell’angolo. Il vento non è più la calda lingua del pomeriggio, soffia intenso e gelido dal fondo della via, infilandosi fra le pieghe disordinate della camicia e avvolgendomi la pelle nuda, in una pellicola viscida dalla densità acquosa.

Tremo di freddo. Mi strofino le mani per scaldarmi. Scivolano su se stesse come spalmate di sapone.

 

Cazzo! Cazzo! Cazzo!

Mi sono addormentato dentro la vasca da bagno.

Mi tiro in piedi con un balzo, come aggrappato ad uno scoglio e scampato all’affogamento.

Sono di un pallore mortale, la pelle è raggrinzita dalla permanenza prolungata in acqua e bianca come il latte freddo. Tremo in un movimento incontrollabile che si scarica alle estremità.

Mi getto addosso un asciugamano mentre riempio di nuovo la vasca di acqua fumante.

Rimango immerso fino a quando la temperatura corporea, non ha superato i livelli normali.

 

Entro nel caldo della cucina rilassato e con un nuovo piacevole tepore addosso. Le tre ore di immersione hanno avuto il loro effetto, ma la serata tanto agoniata, è andata in fumo. Non mi prendo nemmeno il disturbo di rovistare nel televisore per trovare qualcosa di guardabile. Dal comodino prelevo “Koba il terribile” di Martin Amis e mi affondo nella sedia dondolo di vimini, con i piedi nudi sul bordo del tavolo.

In questa sera in cui troppo tempo è scivolato via incontrollato, una sana lettura non potrà che farlo continuare sulla stessa strada.

La sete mi attanaglia come la disidratazione, nel deserto, un viandante disperso.

Nella vetrinetta di fronte a me, ho il miraggio di una bottiglia di rhum cubano, souvenir di una vacanza della sister.

Se ne sta li imbronciata, nella sua falsa funzione da soprammobile.

          Ehi pupa! Sono qui per riabilitarti! Sono qui per farti onore.

Generalmente non sono per i superalcolici, a meno che non siano mischiati con cura e dedizione, in parti idonee dentro colorati e dolci cocktail.

Ma questa sera pare abbastanza particolare per fare uno strappo alla regola.

Nella vetrina trovo pure il bicchiere adatto allo scopo, basso e largo, col fondo spesso. Mi concedo pure il piattino argentato col sottobicchiere lavorato all’uncinetto.

Trovo rabbrividiti nel freezer, anche spauriti cubetti di ghiaccio. Ma la convivenza prolungata col minestrone della valle degli orti e i cosciotti di capriolo surgelati, li fanno più assomigliare nel sapore, a un cubetto di dado knorr.

Desisto.

Vorrà dire che lo berremo liscio. Non si può avere tutto nella vita.

Luce soffusa quel tanto che basta per leggere e primi sorsi che scivolano nella gola.

Mi pare assolutamente insapore. Sa di fuoco. Tossisco come il più pivello dei bevitori. Brucia nello stomaco in vampate incendiarie. Ho una temperatura incontrollabile. Penso che mi scioglierò allo stato liquido. Mi sfilo i pantaloni di cotone della tuta alla ricerca di fresco.

Inizio a leggere. Pagina 71.

Esistono molti termini per definire quanto accadde in Germania e in Polonia nei primi anni Quaranta. Olocausto, Shoah, Vento di Morte. In romanè si chiama Porreimos (Divoratore). Non ce n’è nemmeno uno per quanto accadde in Unione Sovietica tra il 1917 e il 1953 (anche se i russi parlano, totemicamente, dei venti milioni, e di Stalinscina, il periodo del regime di Stalin). Come dovremmo chiamarlo? Decimazione, Fratricidio, Strage di menti? No. Chiamiamolo Zacto?” Chiamiamolo Perché?

Al secondo bicchiere mi trovo già più a mio agio, i sorsi scivolano giù quasi indifferenti e inizio a distinguere i toni del sapore, sulla volta del palato. Le parole scorrono più nitide, dentro al mente ricettiva.

Pagina 105.

“Le due frasi più memorabili di Stalin sono: La morte risolve tutti i problemi. Nessun uomo, nessun problema e (consigliando ai giudici istruttori il modo migliore per ottenere una determinata confessione) Picchiate, picchiate e picchiate ancora.”

La bottiglia ora sembra più a suo agio e mi sorride gentile. Ti credo. Mica si è fatta un viaggio transoceanico per poi starsene lì su un ripiano, bella piena e immacolata. Era qui per scaldare cuori e menti in notti di perdizione. L’alma de Cuba.

          Beh ciccia…qua non è proprio Cuba, ma farò del mio meglio.

Pagina 115

E tuttavia, a differenza di Hitler, che annuncio i suoi obiettivi nel 1933 e, con un senso del diritto particolarmente ripugnante, arrivò quasi a raggiungerli, Stalin va considerato un personaggio costantemente soggiogato dal fascino, non del successo, ma del fallimento.

La bottiglia e mezza piena e mezza vuota. Gli occhi cominciano a cedere,calando sulle parole come lame di ghigliottina. Gli spezzoni sanguinanti di lettere, frasi e parole, si uniscono disordinatamente fra di loro, plasmando una nuova lingua sconosciuta e illeggibile. Trascino gli occhi per le ultime righe.

Pagina 126

Ma Stalin era un uomo nuovo: era sbocciato in tutta la sua spaventosità. Deteneva un potere senza precedenti, e l’aveva usato per lanciare un esperimento. L’esperimento era fallito (trasformandosi in una guerra di sterminio mossa contro le cavie). Ora nelle campagne, invece di ingrassare nelle allegre e leali aziende cerealicole vagheggiate da un filosofo tedesco, i contadini si divoravano l’un l’altro, e stavano divorando se stessi.

 

Libro sottobraccio, mi avvio in camera.

E’ fredda nella luce bianca accecante della lampadina.

Mi faccio schermo degli occhi con la mano, come in un saluto militare.

Nel letto la mano voluttuosa di F. scosta le coperte invitandomi ad entrare.

Si passa la lingua rosa in tondo, sull’interno delle labbra rosse, gonfie come gommoni, con un gesto provocante e volgare.

Le riesce poco naturale.

5 Risposte a “FRIDAY BLOODY FRIDAY”

  1. capita anche a me di uscire dalla vasca stile salma da obitorio..spesso ho pure la cuffietta da bagno, molto salma…Non farmi la battuta -ma le sirene non stanno nell’acqua- che è scontatissima ehehe…per il rhum approvo, approvo appieno…

    un sorriso.

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