FUORI ORARIO. (COSE TROPPO SPESSO VISTE)




Non brillavamo certo per tempismo, io e Salvatore.

Salvatore poi, di cognome, faceva Ultimo. Ultimo! Salvatore Ultimo.

Mi diceva spesso: chi cazzo vuoi salvare se arrivi che gli altri son già tutti andati via?

Da pisciarsi addosso dalle risate. Se non ti vengono buoni motivi per odiare i genitori oltre a quello di averti messo al mondo, spesso il nome che ti hanno affibbiato può essere una buona scusa per iniziare. Un gran personaggio Salvatore.

Io sono stato chiamato, Pasquale. 

Sono nato nella seconda metà di febbraio e quell’anno, Pasqua, era la ricorrenza più vicina. I miei erano, e continuano ad essere, molto credenti.

Mi dissero: era appena passato San Valentino, ma ritenevamo entrambi, fosse ormai diventata una festa troppo pagana, per onorarla con la tua nascita. Grazie. Davvero troppo premurosi. Tra l’altro, il giorno in cui sono nato, il santo ricorrente è un certo Sergio. Sergio, un nome, privo di riferimenti, che mi sarebbe calzato a pennello.

Mamma e papa a me e Salvatore ci hanno fatto prendere un ritardo sulla corriera dell’esistenza, non quantificabile. Quando i nostri compagni di scuola si erano ormai stufati di uscire alla sera e rimanevano in casa a dilettarsi con i primi videogames, a noi fu finalmente dato il permesso per rimanere fuori fino a tardi. Tardi, erano le ventuno. Non che i tempi fossero maturi, a detta dei nostri: fu solo dovuto al fatto che, la messa serale venne, tra lo sdegno popolare, annullata.

Fortunatamente, i preti, iniziavano a scarseggiare.

Io e Salvatore, finimmo quindi per ritrovarci a godere di quella libertà tardivamente conquistata, soli ed inesperti, puri di cuore e bisognosi di conoscenza, senza in giro, uno straccio di ciccione teppista, che ci desse due dritte.

Ciccio De Paola, il nostro compagno pluripetente, al quale tutti, per la sua millantata esperienza e per il suo coraggio sfrontato di diciottenne fuori corso, guardavamo come un maestro di vita, era ormai scomparso dalla scena. Risucchiato in torbide storie con compagnie più grandi, gente con la macchina, di lui si seppe via via sempre meno. Le sue ultime notizie le leggemmo sul giornale, quella volta degli scontri allo stadio, nella trasferta di Bargatella. Noi, Bargatella, non sapevamo nemmeno dove fosse: credemmo, stupidamente per molto tempo, ci volesse l’aereo, per andarci. Bargatella, era a quaranta chilometri da Ludomastro, che era poi, il paese dove abitavamo.

Finite le medie, i nostri ci mandarono per le scuole superiori nel capoluogo di provincia: restavamo per due settimane, naturalmente in un collegio di preti, e poi, al sabato, prendevamo questa corriera piena di vecchi che tornavano dal mercato  e dagli ospedali, e ci arrampicavamo fino a casa.

Al paese, in quelle trenta ore scarse di libertà, c’era sempre molto da fare: i compiti, aiutare in campagna, la messa, e quasi sempre, un qualche parente in visita.

Io e Salvatore non riuscivamo praticamente a vederci.

Toccava, oltre ai vari impegni, fare appunto da guardiani ad una certa orda di cugini lattanti, mentre, in cucina, i rispettivi genitori, srotolavano a vicenda, noiose narrazioni di vita quotidiana.  Questo, accadeva in genere, alla domenica. Salvatore, me lo raccontò solo molti anni dopo, aveva una cugina della sua età che saliva a volte, da Salina Al Mare. Le stavano crescendo le prime tette e, mi confidò,  gliele fece toccare, in più occasioni, senza dover nemmeno insistere troppo, mentre si baciavano con la lingua. Disse, che se avessero avuto le occasioni per vedersi più spesso, lei lo avrebbe voluto fare.

Si ma cosa?

La domenica sera, i nostri genitori, facevano a turno per riaccompagnarci con la macchina. Loro, al ritorno, si fermavano in pizzeria: Pizzeria al Cervo. Sull’insegna, campeggia a tutt’oggi, appunto, un cervo. Quello della famiglia degli ungulati, per intenderci. Ci passo ancora dinnanzi, di tanto in tanto. E’ chiusa. In un posto di mare, con un nome così, non ci si poteva aspettare una gran sorte. Io in pizzeria, non ci ero mai stato. Dopo che mi avevano riportato in collegio, li guardavo andar via e rimanevo spesso ai margini dell’ennesima partitella fra figli abbandonati, a immaginare i miei, alle prese con menù lunghissimi di pizze fumanti e combinazioni, vergognose, dei più impensabili ingredienti. Ne sentivo il profumo, di quelle pizze e solo, la preghiera notturna delle ventidue, aveva il potere, di distogliermi, da tali, languide, fantasticherie.

Al collegio, io e Salvatore, finimmo presto per passare per degli extraterrestri. Sembrava arrivassimo da un altro pianeta o da un epoca, molto antecedente. Finimmo per essere vittima, per l’ennesima volta, dopo le medie e dopo le elementari, per quanto ci ostinavamo ad essere sprovveduti, degli scherzi di camerata e delle angherie dei più grandi.

E mentre gli altri ragazzi si riunivano in gruppi eversivi, nei quali si fumavano sigarette fabbricate con gli ingredienti più originali e si parlava di ragazze, molto brave, a loro dire, nella tecnica del pompino, noi, che il pompino non sapevamo cosa fosse, eravamo facilmente accalappiati dai preti per fare i chierichetti nella messa – facoltativa – delle diciassette.

Nemmeno quando, arrivammo alla classe quinta, e la maggiore età era già bell’e conquistata, si poté veramente dire ci fossimo portati in pari coi tempi. Tornati al paese, tronfi delle lodi che le nostre famiglie tessevano per le nostre maturità, conquistate, a pieni voti, ci trovammo, se possibile, più soli di quando, cinque anni prima, ce ne andammo.

I vecchi compagni di classe, che non avevano subito la malaugurata penitenza del collegio, erano tutti impegnati in attività, che ai nostri occhi, finirono per sembrare, degli obiettivi, irraggiungibili. Un Eldorado. Gli Stati Uniti D’America. C’era chi giocava a pallone nella squadra locale, l’F.C. Panamense, in prima categoria, quasi professionisti!, ti dicevano, chi suonava nei Temptation Trolley, chi aveva fatto la firma al militare.

Ma i più invidiati, erano quelli che passavano tutte le sere del weekend al Rosmarino. Fino all’alba. Il Rosmarino, era la discoteca di Saline Al Mare. Aveva una pista sulla spiaggia, e quelli che ci andavano, mettevano dei vestiti, elegantissimi e moderni, e delle ciabattine che chiamavano, infradito, che noi non avremmo saputo, nemmeno dove comprare. Si ritrovavano verso le ventuno, nella piazza del paese, dopo aver fatto, l’aperitivo, e partivano, con un nugolo di ragazze al seguito, sulle loro macchine, sportive e chiassose di canzoni, che non avevamo mai sentito.

Noi Madonna, la conoscevamo, solo che, non era quella che cantava Like a Virgin.

Salvatore, ci rimase molto male, quando seppe, non so da quale informatore, che sua cugina, giù alla discoteca di Saline Al Mare, se la erano praticamente fatta tutti. I nostri propositi di andarci prima o poi, furono così rapidamente accantonati e ci rimasero, per ulteriore lungo tempo, il bar di Gennaro, nella piazzetta, e il Cinema, Poseidone, a Marina di Pietrassunta. Entrambi con i loro vetusti frequentatori che ben si accompagnavano alle nostre figure di giovani vecchi inconsapevoli, fessi. 

Ad una decina di anni di distanza, io e Salvatore possiamo dirci cambiati. Il tempo ci ha portati finalmente al passo con se stesso. Per certi versi, ne siamo, probabilmente, addirittura avvantaggiati. Siamo andati oltre. Continuiamo però a brillare per mancanza di tempismo, in certi campi. Ultimamente ci capita con le donne. Ma forse questa è una puntualità che non si può imparare, nè con l’arguzia, nè con la pratica nel tempo. Essere al posto giusto nel momento giusto, o la persona giusta al momento giusto.

Ci vuole anche culo, mi dice Salvatore.

O forse non bisogna credere troppo agli occhi, compassionevoli, di una femmina, gli dico.

Pasquà, ribatte. Tanti auguri! E’ la sua battuta preferita.

Beati gli Ultimi, lo schernisco a mia volta.

L’altra sera, mentre stavo su una panchina a Castelbello a chiacchierare con una tizia, passa un tizio ciccione. Spinge una carrozzina, alla sua destra saltella una ragazzina con una bambola, dietro, a qualche metro, lo segue una ragazza, bruttina, con un cane e una faccia, piena di brufoli.

Era Ciccio De Paola.

L’ho riconosciuto subito. Il mio compagno, pluriripentente delle medie.

Ci siamo guardati un attimo, poi lui ha guardato indietro verso sua moglie, mi ha guardato nuovamente di sfuggita. Ha abbassato la testa e ha proseguito, senza salutare.

4 Risposte a “FUORI ORARIO. (COSE TROPPO SPESSO VISTE)”

  1. Noi Madonna, la conoscevamo, solo che, non era quella che cantava Like a Virgin.

    Salvatore, ci rimase molto male, quando seppe, non so da quale informatore, che sua cugina, giù alla discoteca di Saline Al Mare, se la erano praticamente fatta tutti.

    🙂 ora però mi toccherà cercare sulla cartina le località sopracitate.

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