I TRUCCHI DEL MESTIERE CHE NON E’ PRECISAMENTE IL MIO.

Ci stavo dando dentro forte con i trucchi, quel periodo. I trucchi di mia sorella. Si era sposata, se ne era uscita di casa. Ne aveva lasciati alcuni, nuovi, mai utilizzati, probabilmente non di suo gradimento, nel secondo cassetto. Aveva lasciato un bel tot di cianfrusaglie a pensarci. D’altronde non mi sembravo aver alternative. Una società resa sempre più irreale, non poteva lasciare spazio alle imperfezioni. Le imperfezioni richiamano la realtà e lo standard le vieta severamente. Ma ogni età dopo la spensierata giovinezza, fa della decadenza fisica il suo cavallo di battaglia. Ero caduto pressoche subito, da quel pauroso animale. Avrei voluto – dovuto –  esimermi dall’adeguarmi, perlomeno per il modo di vedere le cose che avevo maturato. Ma, bè, diciamo, uhm, sapete com’è. Non riuscendoci, sentendomi a disagio nel non farlo, auspicavo a me stesso si trattasse di una sorta di  obbedienza all’arcaica regola del mens sana in corpore sano. Mantenere un aspetto e una presenza precisi ed ordinati, rasentanti la perfezione raggiungibile, poteva essere altresì inteso come un tentativo di rappresentazione di caratteristiche esclusive personali. Stavo quindi tentando di dimostrare al mondo la mia propensione per l’ordine, la pulizia e la precisione? Poteva essere, ma nemmeno io ne ero del tutto convinto. Forse, forse era solo una sensazione d’obbligo acquisita. In ogni modo, da quando non porto più i capelli, perlomeno ho smesso di controllare la mia acconciatura ad ogni vetrina, ad ogni superficie riflettente disponibile. Per il momento, è la mia prima e unica risposta alla globalizzazione dell’estetica.

L’emarginazione sociale della pelle non idratata è un male in rapida espansione.

Entrare nei cuori delle persone comporta anticipatamente invadere il loro campo visivo. Se gli occhi ti riconoscono esteriormente come un loro simile, solo allora puoi sperare ti venga concesso l’ingresso al club privè. Il problema di questa generazione di tavoli riservati, è che per la selezione agli ingressi ci affidiamo ad un PR di Milano Marittima. Dove è finita l’autonomia di scelta e di pensiero? Non c’è più soggettività, solo oggetti dentro un soggetto scritto in fac simile per la massa. Le persone non ti concedono più un briciolo di realtà per il semplice motivo che l’hanno persa, per l’inavvertito fatto che ne sono stati  – derubati ma non privati –  il tutto precisamente sostituito con un falso d’autore.

In ogni modo quella sera sarei dovuto semplicemente uscire, presenziare l’ennesima serata del weekend, tanto per farsi vedere, tanto per porre la firma in calce al libro dei visitatori.

Già conscio del risultato finale, disincantato dalla speranza di portare a casa qualche nuova conoscenza, due chiacchiere interessanti, una rissa, un gesto galante, un salvataggio eroico, mi ero comunque preparato a puntino.

Ci avevo dato dentro discretamente coi trucchi quella sera. Delle strane perdite petrolifere rossastre stavano chiazzando la superficie della mia faccia. Sembravo passato dietro lo schermo di un rivelatore di calore. La tinta unita della mia pelle era andata a farsi fottere. L’avevo lavorata meglio che potevo, con un composto di creme animali, sabbie del deserto e fissativi vinilici, eppur non ero convinto. Sull’orlo della disperazione, ero tentato di rimanermene in casa. Il rasoio elettrico inoltre, mi aveva provocato squarci come crepacci su tutto il collo. Sembravo sopravvissuto ad un tentativo di accoltellamento. La matita per i piccoli problemi di rasatura si dimostrava del tutto inutile. In preda ad attacchi di nausea, credevo che riparare a letto fosse l’unica soluzione. Solo lo specchio del corridoio, più piccolo e meno pignolo, tentava debolmente di convincermi ad uscire. Per ringraziarlo, provai su di lui il mio sguardo migliore. "Ora mettiti qualcosa di carino e vai a spaccare il mondo ragazzo," lo sentii dire canzonando un qualsiasi film americano.

Il golfino nero con lo scollo a V che avevo scelto era pronto per essere indossato. Lo sfilai dall’appendino e con orrore notai che c’erano almeno tre o quattro enormi penne d’oca, uscite probabilmente dall’imbottitura del giaccone invernale. Riuscii a controllarmi solo grazie al fatto che avevo una spazzola adesiva per i pelucchi a portata di mano. Poi lo infilai.

Temetti di svenire per la disperazione. Il dramma che affligge noi ragazzi dalle spalle ampie, si era materializzato nella sua forma più estrema, e ora mi abbagliava come un lampeggiante, dall’altra parte dello specchio. Alle mie spalle una folla di persone chiccosissime mi indicava con indici abnormi piegati in due dalle risate. Due protuberanze di tessuto, spuntavano come foruncoli simmetrici lungo il percorso in perfetta piega che dal girocollo scendeva verso l’esterno spalla. Dannati appendi-abiti per smidollati, maschi invertebrati dalle spalle cadenti! Stavano deformando il mio guardaroba. Non riuscivo a darmi pace. Non capivo come nel ventesimo secolo non fosse possibile realizzare dei porta abiti per persone con una sana costituzione. Sentivo la rabbia montare. Tentai disperatamente di stirare con il palmo della mano quello scempio. Poi scoppiai a piangere.

9 Risposte a “I TRUCCHI DEL MESTIERE CHE NON E’ PRECISAMENTE IL MIO.”

  1. caro Mart ti voto sulla fiducia! 😉

    ma ti do un consiglio: attento alle spalle, specie quando scendi le scale del Senato che sti vecchietti sò arzilli, burloni e spiritosi e ti fanno lo sgambetto …da dietro

  2. ‘giorno ‘Mart

    piacevole questa anomalia come autosuggestione di essere normale

    perché tutti devono essere normali e aderire ad uno standard anche fosse estetico e per essere qualcuno devi rifarti qualcosa (tette culo lifting)

    power lifting 😉

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