IL RIPORTO E' DI SINISTRA.




Quando i mie prodi iniziarono ad abbandonarmi – la mattina li trovavo esanimi sul cuscino, sparsi, confusi, una vista aerea di un bosco invernale dopo una tempesta di vento – cominciai seriamente a preoccuparmi. Per la verità, mi feci prendere dal panico, dall’angoscia, dalla disperazione. Lo sconforto arrivò, a giochi fatti, solo più tardi.

Non mi distinguevo per avvenenza, di quei tempi. Una calvizie non mi sembrava affatto, lì per lì, un grande aiuto per migliorare la mia situazione. In un impeto di orgoglio e per nulla arrendevole alle leggi della natura, mi affidai inerme ed indifeso come mi sentivo, alle mani vellutate e sensuali di una tricologa veneta, che ai tempi bazzicava lo studio della mia parrucchiera. Le sue dita affusolate fra i mie capelli sempre meno folti e i gli effetti miracolosi che i suoi prodotti millantavano verso la mia capigliatura, mi provocavano lunghi brividi di piacere dalla nuca, giù lungo tutta la schiena.

In un periodo in cui gli orgasmi erano un’irraggiungibile chimera, sapevamo accontentarci.

Perdere i capelli in giovane età, non solo ti mette in imbarazzo nei confronti dell’universo femminile: i più spietati, finiscono per essere gli amici. Quell’inutile ciccione di Tavano, dall’alto della sua arruffata chioma grigia da venticinquenne, non perdeva occasione per farmi notare gli ampi spazi rosei che alla luce o al buio, si notavano fra la mia capigliatura. Un affronto simile, era quanto di peggio si potesse subire ai fini dell’autostima.

Non ricordo per quanto trascinai questa debolezza, che improvvisamente era divenuta il fulcro di tutte le mie attenzioni e delle mie insicurezze, sostituendosi e facendo passare in secondo luogo, tutte le altre difettosità che nel corso degli anni, avevo catalogato sul mio poco pregevole viso.

Mesi, ma più probabilmente anni.

La soluzione è arrivata poi con la crescita: non ricrescita in termini di bulbi, di reimpianti artificiali, di parrucche di pelo. Ma con il più economico ed efficace transito nell’età adulta.

La maturità ti porta a più profonde ed utili valutazioni sull’uso e l’abuso dell’oggetto corpo. Al diavolo le imposizioni sociali. Nella mia testa si era infine messo in fermento un manipolo di manigoldi, che se ne era sino ad allora stato, disoccupato e silente. I fottuti meccanismi dell’esperienza pazientano sempre finché non si ritengono sufficientemente oleati.

La loro azione portò una grossa boccata d’ossigeno alle aree sottostanti la mia cute. Lo stesso che avrebbe dovuto fare il fantomatico prodotto –  Crescina. Non mi spuntò un solo capello aggiuntivo in tutto quel rivitalizzarsi, ma molte cose mi furono più chiare. Compresa la mia testa, che decisi, in un impeto di coraggio, di rasare completamente. Risolvere il problema, alla radice. Quando passi al livello superiore, te ne rendi conto per il solo fatto che tutto quanto hai realizzato in precedenza, ti sembra infantile. Come il disegno stilizzato con la casetta e i genitori sproporzionatissimi che facevi verso i sei anni.

Ho iniziato a frequentare il Circolo Mao, da qualche mese.

Una cantina sotto il livello dell’umano terreno, nel centro della città. Un laboratorio culturale, così si definiscono, gestito da alcuni ragazzi molto propositivi, idee interessanti, artisti da far conoscere, impegno da vendere, scopo – da definire.

Ci vado, con la speranza, inizialmente fondata, di conoscere delle persone interessanti. All’ultimo giovedì sera, suona un cantante che vanta delle collaborazioni famose, mi presento puntuale per le ventidue, arrivo in anticipo che sono praticamente il primo. Ho la mia testa lucidissima appena rasata, un giubbotto nero e delle scarpe da tennis.

Lì per lì, non mi rendo conto dell’equivoco.

I gestori mi sembrano freddini, quasi più del solito, quasi più dello scantinato, umido che ci si potrebbe conservare la birra. Mostro la tessera, mi prendo un bicchiere di vino e mi siedo in un angolo, su un divano rosso, al sole di una lampada.

Ho freddo. Nessuno mi rivolge la parola, nessuno si avvicina, la mia voglia di interscambio, rimane tale per tutta la serata. Solamente un tale, che mi da l’idea di essere capitato lì per sbaglio in cerca di tutt’altro locale, mi chiede come va il lavoro. Gli rispondo, ma poi resosi conto dell’errore, lui si defila con stile.

Il circolo si riempie man mano, di giovani e meno giovani, abituè e clienti occasionali. Tutti indistintamente, mi sembrano però foderare la loro presenza scenica, con un qualcosa di alternativo, che l’ambiente di sinistra, sembra richiedere. Un pantalone di velluto, una giacca da sera, i capelli arruffati, la barba incolta, una maglietta colorata, un foulard. Cose così. Non c’è nessuno che abbia i capelli rasati, me ne accorgo con stupore, e mi domando se non sia l’ottemperare al decalogo del bravo militante, in termini di abbigliamento e frequentazioni, la vera e reale soluzione al problema delle calvizie.

Credo di condividere alcune idee, taluni concetti – soprattutto sociali – con queste persone, forse addirittura in maniera più approfondita ed elevata rispetto a loro, ma mi vesto in maniera tale che potrei essere tranquillamente scambiato per un facinoroso di destra. Questo è un grosso e pauroso equivoco. Ma schierare il golfino firmato o la barba di una settimana, non fa per me. O per lo meno, potrei fare entrambi, indistintamente. Continuo a credere che l’essenza delle persone vada indagata, se interessati, ad una certa profondità. Almeno sotto il vestiario, per iniziare. Per questo bisogna darsi tempo. Per questo per fare l’amore, bisogna svestirsi.

Purtroppo è normale che in un epoca sempre più frettolosa e schematizzata, in cui tutto deve essere facilmente catalogabile e rintracciabile, l’aspetto visivo mantenga e accresca la sua funzione di primo selezionatore. Per questo le belle fiche continuano ad avere successo. L’occhio vuole sempre la sua grossa parte, sta sul settantacinque percento.

Avevo sperato scioccamente, che nell’ambiente intellettuale o presunto tale, si desse appunto un tantino più importanza a.

Ma continuo ostinatamente ad avere troppa fiducia, a dare troppe possibilità. Ci piace prenderlo nel sedere, continua a mantenere, pur nella ripetitività, quel non so che di emozionante.

Alla fine del concerto, aspetto che la gente sfolli e me ne risalgo in superficie. Fuori dall’ingresso una cinquantina di persone si attardano in chiacchiere e sigarette. Quando apro il portone che da sulla strada mi sento i loro occhi addosso e non è solo una sensazione. Sono smarrito,  solo. Tento un saluto al titolare del circolo per rompere il gelo che è sceso, ma questi non mi degna di una parola. Bella solidarietà socialista. Mi guardo velocemente in giro in cerca di facce note, ma ne individuo solo di ostili. Mi allontano. Deluso. Vorrei urlare a questi compagni che non è con il loro essere rigidamente alternativi e contrari, che si cambiano le cose, ne tanto più si fanno le rivoluzioni. Al massimo si finirà per rimanere nella storia, come i paninari, i nerd e i metallari, mode per distinguersi, fare gruppo con un’utilità puramente fine a se stessa.

Ma non mi giro nemmeno e allungo il passo. Per la prossima volta mi faccio crescere i capelli e mi presento con il riporto e la dolcevita.

Inizia a piovere, non uso mai l’ombrello, senza capelli le gocce ti scivolano velocemente giù lungo il collo, e dentro negli occhi. La tricologa mi diceva, che la calvizie, è ereditaria per una buona parte. Al resto ci avrebbe pensato lo stress dei tempi moderni. Guardavo mio padre, pensavo alle ore davanti al pc, e mi si chiudeva la gola. Adesso, che il problema è superato, mi sono convinto che i miei capelli, se ne siano andati per tutt’altro motivo: erano semplicemente stufi di sentirmi ragionare.

Anita, quella bella quarantenne veneta, adesso che ci penso, è stata la prima e unica donna a infilarmi le mani fra  i capelli. Peccato non avere più motivo d’incontrarla.

3 Risposte a “IL RIPORTO E' DI SINISTRA.”

  1. i compagni sono una bella massa di merdosi.

    e se non hai una scusa per parlarci e rompergli le palle non si schiodano dalle geometrie mentali preesistenti.

    tra l’altro son tale e quale io, molto ozioso dal punto di vista dei rapporti interpersonali.

    ma mart, il riportone manco a citarlo!

  2. look&feel – come sempre una scrittura egregia,ampio uso di dimostrazioni e di applicazioni….un’analisi di rigore quasi matematico, per via delle conseguenze che se ne ricavano dalla lettura.

    come dire …è difficile “essere” se si deve scegliere tra percore anarchiche o mosche diligenti

    eheheh…il fascino della shampista è un mito duro a morire 🙂

    un nebuloso WE si prospetta, ma un buon augurio lo lascio, ciao Mart

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