IO E LE LESBICHE ABBIAMO UNA PASSIONE IN COMUNE.

Le passioni, un po’ come quella di Cristo, servono a dare sale alla vita. Che ne sarebbe dei nostri giorni senza un qualche vivo interesse? Che ne sarebbe stato del buon Gesù senza l’immolazione finale alla causa?Bè, noi ne avremmo tratto sicuramente del benessere, ma a lui sarebbero sicuramente rimasti i magazzini pieni di merchandising; una vera disdetta. Certo, tra il votarsi ad una vita di santità e il collezionare francobolli corre qualche differenza. Provate voi a far salire in camera vostra una ragazza con la scusa di mostrarle la vostra collezione di atti di misericordia. Vuoi salire? Ti faccio vedere le mie rinunzie. No grazie, rinunzio!
Ci ho messo qualche anno a riprendermi dall’esperienza del collegio: sarà stata l’alimentazione ciclica, la vista che andava indebolendosi rapidamente, quel timore della macchia originale sempre pronta a imbrattarti il golfino della festa. Il fiato pesante dei preti sul collo; ero ritenuto una buona preda. La prima passione dopo il collegio credo sia stata, come ogni brufoloso ragazzo nell’età puberale, quella delle pippe. Alla fine degli anni ottanta, rimaterializzato nel paese natale come uno sconosciuto dopo gli anni del collegio in città,  mi ritrovai solo, senza uno straccio d’amico e per varie vicissitudini familiari nella casa di campagna dei nonni materni. La sessualità era un assoluto tabù e alle pareti madonne e santi dipinte ad olio vegliavano sulla mia innocenza. Il nonno spegneva la tv imbestialito ogni qual volta appariva sullo schermo anche la più classica e artistica delle scene romantiche. Nonostante tutto mi dedicai all’autoerotismo con dovizia e frequenza, discrezione, e fantasie raccapezzate alla bell’e meglio dati i ridotti contatti col mondo femminile. La sorella del nonno, una ragazza madre della seconda guerra, viveva da sola al piano superiore. Era vestita sempre in blu scuro, aveva a suo dire sempre una qualche magagna. I giorni dispari prendeva la corriera e si recava al paese in farmacia oppure in città, chissà per quali ignote commissioni. Mi comprava il Topolino ogni settimana e ricordo che a volte sgattaiolavo nella sua camera a cercarlo, prima che me lo offrisse di sua spontanea volontà. Sulla sinistra della porta di ingresso, fra due scatole di scarpe. Ora che ci penso era una bella donna, alta, sinuosa, senza una ruga, con due grosse mammelle bianchissime e i capelli neri, lunghi, sempre raccolti in un crocchio, dietro la testa. Una volta la avevo spiata dal buco della serratura nel bagno. Ero già ventenne, ero ritornato al paese, ad una vita familiare normale, ma le cose non erano un granché cambiate. Di tanto in tanto, i pomeriggi, tornavo con la bicicletta nella casa di campagna dei nonni. Nello spiazzo sopra la casa, avevo costruito un canestro e una porta per il football contro la legnaia. Ci si giocava con i cugini, al sabato e alla domenica pomeriggio, durante le riunioni parentali. Con alcune cugine invece, preferivo giocare ai primi palpeggiamenti e ai primi baci. Avevo una cugina della mia stessa età, ora ovviamente insopportabile, con la quale passavamo ore solitarie nelle camere del secondo piano con la scusa della lettura o dello sport domenicale. Zia Paolina ci concedeva l’uso della sua tv in bianco e nero. Stava su un letto singolo di fronte al suo letto singolo; nessuno sembrava badarsi di noi, a parte qualche cugino più giovane che di tanto in tanto saliva a scocciare. Di sotto i nostri genitori e un numero imprecisato di zii erano occupati al chiacchiericcio sulla terrazza, al fresco della vigna; i maschi davanti al televisore della cucina per una qualche classica domenicale del ciclismo nelle Fiandre. La nostra tv stava sopra un piano instabile fatto di grosse coperte di lana pizzicante. Sotto quelle coperte stava ben ripiegato il tesoro della zia. Tutto il suo abbigliamento intimo in pizzo: ricordo di averlo tastato ed annusato e ripiegato con cura decine di volte. Non ricordo di averlo provato. Nella casa c’era un ulteriore stanza degna di nota: dava sulla terrazza e si raggiungeva tramite un breve poggiolo. Era la camera dei due fratelli di mia madre. Era un locale basso, con il tetto in lamiera, un appendice esterna all’intero fabbricato. Alla finestra una veneziana rossa e sul soffitto, una lampadina, dipinta di rosso a sua volta: c’erano due letti sui lati lunghi, separati al centro da un unico comodino. Quando iniziano i mie ricordi di quel luogo, credo gli zii fossero già sposati e la camera disabitata da lungo tempo. A ripensarci oggi, ci doveva essere una meravigliosa aria degli anni 70, foto di facce con baffi e capelli arruffati, pantaloni a zampa, cene di classe e prime utilitarie rombanti, residui di musica e odori di tabacco, sigarette e dopobarba. A quanto ne so, in quanto maschi, loro erano gli unici due ai quali era consentita una qualche concessione e sgarro alle rigide regole del nonno. A valutarli adesso, da quarantenni inoltrati, li trovo in perenne bilico, fra le libertà dell’epoca moderna e rigurgiti della severità di loro padre. Era rimasto un cassettone con qualche loro vestito, altre cianfrusaglie depositate, sul comodino un autoradio riadattata per la diffusione casalinga. Non ricordo fino a che età frequentai quelle camere: mi sdraiavo su quei letti dalla rete sfondata, inghiottito dai vecchi piumoni, cercando di raggiungere con discrezione i seni piatti di mia cugina, vedendo se lei si sarebbe scostata o meno. Non ricordo soprattutto se al tempo mi rendevo conto della stessa atmosfera che ora mi si ricrea agli occhi e alle narici. La casa è stata completamente ristrutturata. Si finisce per lanciarsi nei ricordi con ritardo, quando non si ha più niente di tangibile e materiale da passare ai sensi del tatto e dell’olfatto. Ed è sempre troppo tardi. Furono anni decisamente confusi quelli e difficili da valutare per quanto riguarda le passioni; non credo di averne avuta nessuna in particolare. Ero in un certo senso così distante dalla conoscenza e dalle informazioni, dalla vita reale e dalle sue possibilità, annacquato dalla vita modesta del paese, da non potermi in effetti invaghire di nulla in particolare. Da li in poi la mia vita ha preso una direzione decisamente più regolare, sin troppo, e molto più individuabile dal punto di vista degli interessi: ma ancora niente che prevedesse una sorta di accanimento, un folle dedicarsi, una ricerca spasmodica. Ricordo di essere passato fra periodi dedicati alternativamente ma esclusivamente ad interessi mai particolarmente originali, ma pur abbastanza distinti. Fra gli alcuni posso chiaramente ricordare il periodo dei primi programmi della Gialappas’s band, in cui ogni sketch, televisivo o radiofonico, era motivo di ilare discussione – nonché registrazione assidua– con alcuni amici del liceo. Poi il periodo del primo mito musicale – assolutamente tardivo – una esclusivissima (ed ora posso dire noiosissima) passione per Bruce Springsteen. In successione sono seguite l’età delle prime e assidue letture, aimè con soli romanzi di Wilbur Smith, il periodo dei tornei di freccette, un breve e vago periodo dedicato ai graffitimurales realizzati rigorosamente su carta, (in ossequio ad una mia innata ma non ben definita capacità grafico artistica) un ulteriore periodo di smania musicale dedicato prima alla dance più spocchiosamente commerciale e poi alla house. Infine sono arrivati prima i tempi delle chat e poi del blog. Non vere passioni, ma più che altro possibilità obbligate e sfruttate per la ricerca di quel bisogno di comunicazione che mi è parso sempre mancante e probabilmente sempre troppo complicato da porre in atto ai livelli della realtà. E dovendo tirare le somme delle passioni qui ricordate, di quelle sicuramente dimenticate, semmai sia possibile che una passione porti dei risultati, dei miglioramenti, e non sola e semplice distrazione dallo stato reale delle cose, è innegabile che l’impegno profuso nel e verso il mondo virtuale sia stato quello, nel caso del sottoscritto, con una certa dose di redditività.
Questo voleva per la verità essere un post con una certa dose di commiato, nel senso che la mia produttività letteraria legata a questo blog, mi sembrava esaurita e i doveri nei suoi confronti, troppo pressanti per il mio modo di intendere una passione. Volevo farla finita come altre volte, più di altre volte. Ma tutto sommato scrivendo queste righe mi sono reso conto che qualcosa da raccontare salta sempre fuori. Non so a che intervalli, ma non siamo scrittori, non abbiamo scadenze. Siamo amanti, arriviamo quando il legittimo proprietario è in trasferta. Questo illeggibile template nero è stato fonte di interessanti conoscenze, di scambi commerciali e culturali, di piacevoli scambi d’opinione sotto le lenzuola, di evoluzione personale. Non lo avrei fatto fuori comunque, avevo pensato di tenerlo sul comodino, oppure come una spilla infilzata orgogliosa sul petto. Ma siamo animali con una dose d’affetto e romanticheria. Siamo i migliori amici del cane.

16 Risposte a “IO E LE LESBICHE ABBIAMO UNA PASSIONE IN COMUNE.”

  1. fantastico e lo sai poi che ti dico? mi piaci perchè non cambi un beso

    @Ubikindred: anche noi abbiamo dei dubbi davanti alla scelta della birra. aggiungi il vestito…ecco perchè la nostra vita è moolto complicata…

    nina

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