KLARISSA. LA STAZIONE DI VARSAVIA IL GIORNO DELLE PARTENZE PER IL MARE.




Due cose ricordavo di Klarissa. La prima, dolorosa a suo modo non meno della seconda, corrispondeva a quell’umana sensazione che comunemente veniva riassunta con il termine “attrazione”. Quella sorta di bisogno fisico e mentale dell’altro, accumunato al pensiero immaginario di un futuro, possibilmente lungo, possibilmente intenso, da trascorrersi unitamente nella complicità e nella felicità più smisurate. Non m’era una sensazione del tutto nuova, ma abbastanza rada perché finissi per rendermene conto con rapidità, nel momento in cui mi ci ritrovai, affondato, a piè pari. Come in poche altre simili occasioni, rammentai a me stesso che quelle frequentazioni temporanee stavano diventando una parentesi troppo lieta, da non sottovalutare. La sottovalutai del tutto, ovviamente, abbandonandomi a quei piaceri ogni volta che mi fu possibile.  D’altronde sin li le mie giornate erano state così ridicolmente asciutte, che anche una sola singola goccia d’acqua si sarebbe potuta dire dissetante. Klarissa si rivelò un tale piacevole rinfrescante acquazzone estivo, che non potei far altro che lasciarmelo scorrere addosso dal primo all’ultimo scroscio, senza pensare ad un riparo, senza curarmi delle conseguenze. Semplicemente mi ammalai immediatamente dopo.

La seconda cosa che ricordavo, intensa quanto i vuoti nello stomaco causati dalla prima, era il senso d’inadeguatezza che per confronto, Klarissa aveva finito col farmi insorgere. Avevamo, per così dire, una sorta di comune punto di partenza, per quanto riguardava luoghi, tempi e modi. Ma tutto si esauriva li. Gli sviluppi verso i quali, dal quel momento, innanzi, avevamo diretto (o si erano dirette) le nostre vite, erano totalmente estranei l’uno all’altro, e assolutamente non paragonabili. Il confronto mi era parso impietoso da subito ed in ogni occasione in cui, per narrazione, finivamo per tornarci, toccava deglutire con difficoltà un amarissimo boccone. Sapeva essenzialmente di tempo dilapidato, d’inattività, di stupidità, di scalogna in parte, molto di ritardo. Klarissa mi palesava esattamente questo: non tanto il fatto di quanto fossero stati eccelsi quei suoi anni di cui mi raccontava, ma di quanto  miseri e inutilizzati fossero stati i miei. Se lei non aveva fatto nulla d’eccezionale, il sottoscritto per paragone era semplicemente rimasto lì a prendere polvere senza nemmeno prendersi la briga di scrollarsela dalle spalle. Avevo poco più di trent’anni, avevo imparato a camminare e a mettere assieme qualche frase. Tra l’altro nemmeno fra le più pregevoli. Seppur distratto qual ero in questo tirar le semplicissime somme, mi parve comunque un idea sana il tentare di saltare al volo su questo treno che per le circostanze casuali dell’esistenza, si era trovato a transitarmi così prossimo. Ricordo di aver fatto tutto quanto era nelle mie possibilità: potevo dirmi molto migliorato e finalmente svezzato grazie agli errori accumulati. O comunque in rapida evoluzione. Ma malauguratamente avevo accumulato talmente tanto ritardo, che quando infine fui pronto e giunsi, lo trovai si, ancora in attesa, ma pieno.

E mi fu del tutto impossibile  salire.

3 Risposte a “KLARISSA. LA STAZIONE DI VARSAVIA IL GIORNO DELLE PARTENZE PER IL MARE.”

  1. ti lascio un invito di lettura visto che ti leggo, mi sono rubato un testo di umberto palazzo perché il sito dei santoniente non funziona più e usi la stessa mia dizione per le cose importanti. forse anche comune e molto stupida, ma che io prima non avevo mai trovato: v.i.t.

    😉 a presto.

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