L’INVERNO DI SAN MARTINO. (O L’INFERNO)




Quando ero ancora un bravo ragazzo di cristo, menischi premuti dolorosamente su un inginocchiatoio qualunque, mi raccontarono l’ennesima favoletta. Era tempo di grasse bugie quello: la realtà aleggiava spettrale attorno alla mia vita. Suppongo, nello sconquasso, l’incoscienza finì per sembrarmi, un imballaggio davvero confortevole. Da fuori, nessuno tentò di scoppiare con i pollici, le bolle d’aria e nylon che garantivano la mia incolumità dinnanzi alle palesi verità. Begli amici.

Uno dei tanti preti, mi raccontò di questo cavaliere dal cuore d’oro che sulla strada di Tours, colto da sublime sentimento di pietà, tagliò con la spada il suo mantello rosso, per darlo ad uno straccione che stava tutto intirizzito, lì sul ciglio ad aspettare di morire. O una roba simile. Tra l’altro se non ricordo male – non perché fossi distratto quel giorno, ma per il tempo trascorso dall’ultima frequentazione clericale –  il poveraccio credette lì per lì che il buon Martino, una volta sfoderata la spada, lo avrebbe fatto secco.

Che scherzi del cazzo.

Ve lo vedete uno che si chiama Martino, che sgozza qualcuno? Al massimo uno con un nome simile, può pestare accidentalmente una cacca sul marciapiede e poi tornare indietro a chiederle scusa.

Venendo al nocciolo della questione, alla morale della favola, nostro signore onnipotente dei cieli, sciolto come un ghiacciolo dall’ umanità del cavaliere, oltre a passargli la pensione di santo, decise, in memoria all’accaduto, – in modo che nessuno subisse più i rigori del clima in quella giornata –  di regalarci per l’undici novembre, una giornata mite e soleggiata. Da lì all’eternità.

Ma chi scrive testi e trame a Dio?

Questa mattina, era nuvolo, la temperatura, stava sui quattro gradi. Pian piano, se ne sono usciti il sole e suo fratello un po’ sbiadito, il cielo azzurrino. Bianchiccio, l’alito pesante, la solita scusa di aver fatto l’alba. Ogni undici novembre, io ci bado alle condizioni meteo.

I dogmi, le teorie, gli insegnamenti e i bigottismi religiosi, per quanti San Patrignano tu possa frequentare, sono come l’herpes. Per sempre. Ti rimangono sotto pelle silenti, puoi spalmarti le labbra di Zovirax ogni giorno, ma prima o poi la febbre ti prende. Una febbre malarica, delirante.

Dagli anni di addomesticamento, mi sono rimasti un paio di traumi: rapidi fotogrammi delle immagini del sacro cuore di gesù e del volto sulla sindone, per iniziare. Di tanto in tanto mi si visualizzano con terrore al buio: ad esempio alla sera, quando controllo attraverso lo spioncino di aver spento la luce sul vano scale. Gesù sta lì, col suo mantello rosso, il cuore spinato in mano. Di chi diavolo è quel cuore?

E poi, appunto, la curiosità climatica per la giornata odierna.

L’undici novembre ha piovuto più di una volta, non dubiterei che abbia fatto anche della neve. Alluvioni con morti, trombe d’aria, gente arrostita per un fulmine. Ma forse il buono omaggio vale solo per le brave pecorelle. Chi si allontana dal gregge, si becca le bizze del tempo. Come tutti i club esclusivi, ci sono regole da rispettare e trasgressori da puntare con l’indice, nelle chiese come al Billionaire, sul sagrato come al Club del Golf.

Si finisce per diventare selettivi e discriminanti, quando si suppone di stare dalla parte giusta: non è molto coerente, se fai il predicatore e incoraggi alla fratellanza, all’uguaglianza. Al massimo puoi fare il moschettiere.

Gesù si che era buono con tutti.

Gli andavano a genio pure le piè donne, un po’ come me, un po’ come a tutti. Sono davvero le uniche rimaste a non fare distinzioni, nel loro donare amore, le piè donne. Eppure debbono stare ai margini della società, meglio se su lunghi viali di periferia. Hanno sempre qualche crociata alle spalle dalla quale guardarsi.

Gesù dalla croce non si è guardato, si è fatto prendere la mano dall’enfasi. Dal finale glorioso. Peccato. Avrebbe dovuto prendere tempo e scrivere un’autobiografia come si deve. Ma nessuno è perfetto, manco se inesistente. Diranno sempre, un po’ impalpabile, il ragazzo.

Quando sono gli altri a raccontarti, finisci sempre per essere travisato o peggio, usato per una qualche scopo. Le ex fidanzate ad esempio, millantano la nostra cattiveria, insensibilità e impotenza, per trovarsi qualcuno di migliore. Ma funziona anche all’opposto. Esaltate, create un dio per costringere ad essergli superiore. Quando trovate un amichetta, non lesinate mai sul numero dei vostri rapporti con la precedente partner. Si lavava i denti sei volte al giorno!

La realtà è terribile, tutti se ne vogliono tenere al largo. La realtà va utilizzata solo a scopo di lucro, di minaccia, si impara presto. Non c’è peggior violenza che tirare fuori qualcuno per la collottola, da un bel paio di cosce accoglienti. L’illusione è un estate di San Martino dalla durata segnata. Il giorno dopo è il dodici novembre e c’è il serio rischio che tutto precipiti.

5 Risposte a “L’INVERNO DI SAN MARTINO. (O L’INFERNO)”

  1. mi hai lasciato un gran bel commento, ma penso di non saper fare altrettanto.

    e non ho neanche la scusa del giorno. o sì? cosa sarà il 18 novembre?! qualche giorno fa mi dicevan che era la festa dei cornuti.

    ma mica a me lo dicevano, eh, così per scherzare.

    Nessuno vuol esser cervo, a primavera come d’autunno.

  2. eh ma qui stiamo scrivendo un saggio di antropologia 😀

    a parte gli scherzi mi sembrano posizioni molto vicine a quelle di Fueurbach: l’uomo produce Dio ma ad un certo punto viene distratto dalla donna, ….Fueurbach non ha tenuto conto del ruolo fondamentale delle cosce accoglienti

    qualora occorresse, buona settimana Mart

  3. Se Dio non è un tuo problema, lascia che lo sia per altri. Perché ne scrivi sempre ?

    Hai da incolpare qualcuno !?

    (rido, e sto provocatoriamente scherzando)

    Buon fine settimana Mart e fa il bravo, se no vai all’inferno (tanto lo so che ridi anche tu, che credi !)

    Smuà.

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