MA MEGLIO CHE NON SI FERMI SUL PIANEROTTOLO.

continua da "Il postino suona sempre.."

 

 

 

Quest’ultima era decisamente più luminosa del soggiorno e il sole pieno di mezzogiorno filtrava attraverso le imposte aperte e la tenda liscia e bianca, che pendeva verticale dal soffitto. Oltre, si potevano vedere, come attraverso un vetro satinato, i rami più alti dei faggi, posti ai due lati della strada e i tetti in coppi rossi delle villette bifamiliari poste di fronte.

Il corpo morto, scivolò leggero, sotto l’effetto della spinta, fino al centro dell’ampio letto, trovando poca resistenza d’attrito, nelle lenzuola di lino, di cui si distingueva il profumo fresco di bucato, nell’aria diversamente intrisa, di profumo femminile dai toni vanigliati.

Paul aveva già il primo problema. Non conosceva gli effetti esatti del cloroformio e conseguentemente, non era nemmeno al corrente della durata stordente, o anestetizzante, dello stesso.

Per ora la signorina Cole se la dormiva beata, emettendo leggeri respiri a lunghi intervalli. A tratti sembrava svenuta del tutto.

Qualche sera prima, senza troppa insistenza per non destare sospetti, aveva tentato di chiedere lumi ai suoi colleghi di sbronze, giù al pub. Questi, in quanto suoi colleghi di sbronze, erano già più sfatti di lui in prima serata, e quindi, le uniche risposte che aveva ottenuto, erano state:

Jonny B :- Cloroformio?Hei senti Paul, io di droghe non ne voglio sapere. Chiaro? Mi basta un goccetto d’alcool e sono contento. Non mi tirare in brutti giri che poi Pauline me le suona quando torno a casa.

Alfredo lo Sbavone (Verso il barista):-Ehi Jack. Due bicchieri di cloroformio, uno per me e uno per Paul. Metti sul mio conto!

Alkar il turco :- (un sonoro rutto in faccia).

Aveva provato anche a cercare tra gli scaffali di casa qualche vecchio dizionario di scuola, ma l’unica scoperta interessante che aveva fatto, era stato un vecchio numero di Penthouse, dimenticato tra i cassetti del ripostiglio.

Quindi ora se ne stava lì, a montare il treppiede della sua videocamera, estratto con foga dallo scatolone utilizzato per la finta consegna, con il sudore che gli colava copioso dalla fronte, e gli occhi, che a brevissimi intervalli, correvano sul letto, a verificare lo stato della vittima.

Si tolse la camicia passandosela sulla faccia e sotto alle ascelle, per ricomporsi un po’.

C’era una signora bene che lo aspettava impaziente a letto. Non poteva presentarsi in quelle condizioni.

:-Grandissima sgualdrina : Bestemmio quando si accorse, sfilandole la gonna, che la ragazza non portava gli slip.

:-E cosi pensavi di andare a fare un giretto per città, per far prendere aria alla tua amichetta è? O magari c’era qualcuno che ti aspettava per una cosetta veloce? Magari qualche vecchio amante, un padre di famiglia in pausa pranzo? O magari ti bruciava per l’astinenza?

:- Bhe cara. Sono la soluzione di tutti i tuoi problemi. Sono il soddisfatore delle tue esigenze più recondite.

Così dicendo, schiaccio il tasto play del piccolo telecomando che teneva fra le dita, e inizio a darci dentro come una furia.

Quel corpo assente, se da un certo punto di vista era alquanto passivo, aveva l’aspetto positivo di non tirarsi mai indietro, concedendosi alle posizioni più torbide e alle richieste più perverse.

La signorina Elizabeth Cole, si dimostrò particolarmente disponibile. Non c’è che dire. Niente di cui lamentarsi.

Passo più di mezz’ora, prima che, i rantoli di piacere di Paul, si diffondessero nell’aria, satura ora, dei toni salini del sudore e delle fragranze dense di sesso e corpi accaldati.

L’attore protagonista, Big Ben Piggy (questo era il nome d’arte che si era scelto), rotolò su un fianco, concedendosi qualche minuto di fissa osservazione del soffitto, mentre recuperava la normalità delle frequenze del respiro e dei battiti cardiaci.

Infilò una mano fra le gambe della ragazza, stringendole l’interno coscia a mo’ di buffetto gentile.

:-Sei stata una favola figliola. Una gran cavalcata. Spero sia stato anche di tuo gradimento.

Paul ora aveva un secondo problema. Un grosso problema.

Quasi più grosso della sua pancia pelosa e nuda, che si stagliava in contrasto, come un bubbone pestilenziale, sul bianco candido delle lenzuola.

Il problema era si grosso, ma semplice.

Doveva fare fuori la gentile signorina, lì distesa al suo fianco.

Per un attimo, pensò, di farsi altri due salti prima. Ma poi si senti stanco. E poi si senti anche sufficientemente soddisfatto.

Così, la soffocò, premendole il cuscino sul volto. Prima, per prendere coraggio, si scolò un paio di bottiglie di Bud, che aveva infilato, in previsione, nello scatolone.

La cosa, cioè, il fatto di farla fuori, non lo toccò più di tanto.

In effetti, non c’era particolare differenza, tra il corpo passivo sul quale aveva sbavato e quello morto, che ora giaceva, ordinato, sotto le coperte.

Si diede una sistematina in bagno, infilò tutte le sue cose nuovamente nello scatolone postale, controllò attraverso lo spioncino che il vano scale fosse libero e ritorno quatto quatto e agile come un pachiderma, verso il furgoncino, parcheggiato nel vicolo dietro l’angolo.

L’abitacolo era una sauna, in sosta com’era da più di un ora sotto il sole a picco di mezzogiorno.

Senti i vestiti appiccicarsi addosso e per quanto si asciugasse e tentasse di farsi aria, il sudore lo ricopriva interamente, facendolo luccicare controluce, come una patatina estratta dalla friggitrice.

Sulla pelle, appena percettibile, tra l’aria viziata come di grassi e unti da festa campestre, il profumo elegante di lei.

Paul resto in preda a un eccitazione febbrile per le successive quarantotto ore, incapace di connettere le proprie frequenze su qualcosa di diverso dal ricordo dei momenti e dei movimenti e dei moventi di quanto successo nell’appartamento della Signorina Cole.

 

 

I flashback gli intasavano gli occhi e il cervello mentre era al lavoro, sotto forma di diapositive di fermo immagine o scene in movimento su pellicola. E quando rientrava in casa, completava l’assuefazione davanti alla tivù, passando al videoregistratore in continuos play, il filmato che aveva girato.

 

 

Per circa due giorni rimase sobrio ( ingurgitare tutto quello che per casa, aveva la parvenza di alcolico, non gli inumidì nemmeno la corazza superficiale del fegato) ma ubriacato dagli eventi, come con in circolo, la peggiore delle sbronze.

 

 

 

Aveva fatto il suo ingresso a grandi passi, nel mondo puzzolente del crimine, e lui e il crimine, erano da subito, diventati ottimi amici.

 

 

 

La notizia di un omicidio, seppur in un quartiere abbastanza rinomato, passò quasi del tutto indisturbata nel caos cosmico di una metropoli cittadina troppo confusa di se, come era Londra.

Il trafiletto del ritrovamento del cadavere apparve nell’angolo di fondo della pagina della cronaca nera di alcuni quotidiani locali, solo parecchi giorni dopo.

Paul, non seppe, o non riuscì a capire, se essere felice o meno di tutto ciò.

Non si era preoccupato affatto, per la verità, dei dettagli.

Tipo di evitare di lasciare tracce, impronte, indizi e balle varie. C’erano più residui organici suoi, sulla scena del crimine, che sul suo, per altro immenso, corpo.

Ma alla polizia, tutto quel ben di dio, era inutile. Il signor Paul Piggy era fino ad allora stato, un bravo ragazzo e di conseguenza, i suoi dati non erano schedati.

:- Non c’è traccia di questo maledettissimo DNA in nessuno degli archivi del fottutissimo Regno Unito. Disse l’ispettore Blood Closet al Tenente Capo Berry Mcfarley.

:- Un DNA pulito, lindo e stirato come una camicia della domenica, tanto puro da poterlo clonare.. e nessun maledettissimo proprietario.

:- Fanculo. Tre in un mese. Vediamo di fare stare zitti questi stronzi di giornalisti almeno. Meno risalto ha la notizia, e più possibilità abbiamo di non essere cacciati a calci nel sedere dal dipartimento, per mancanza di risultati.

:-Ora me ne esco un po’. Qua si soffoca.

Questo comunicato, raccolse e infilò sottobraccio, l’immancabile impermeabile pastello. ll doppiopetto gessato grigio, indossato sopra la camicia rosa e la cravatta con l’inconfondibile stampa della Union Jack, gli pressurizzava il calore sul corpo, barricandolo all’interno, come dentro lo scafandro di un palombaro.

L’intero dipartimento si chiedeva, anche se nessuno era ormai più sorpreso dalle bizzarre abitudini dell’ispettore, come facesse a resistere in piena estate, con tutto quell’armamentario addosso.

La bottiglietta di whiskey da sessanta centilitri scivolo dalla tasca destra dell’impermeabile, frantumandosi sul pavimento in centinaia di cocci.

Le facce si girarono lentamente, come in un azione al rallentatore, verso di lui, aspettandone l’esplosione d’ira.

:- Siete fortunati che era vuota. Maledettamente fortunati. E maledettamente vuota.

 

 

 

A Paul la cosa non andò molto giù.

Della mancanza di risalto verso i suoi crimini, si intende. Gli sarebbe dispiaciuto anche per la bottiglietta. Se fosse stata piena.

Più che altro, assimilato l’entusiasmo iniziale per le riprese e dato prova a se stesso delle sue infinite capacita di regista-attore del cinema hard, inizio a rodergli dentro, l’impossibilità di mostrare a qualcuno, le proprie performance.

Che dico a qualcuno. Tutto Londra, tutta l’Inghilterra doveva poter ammirare le prestazione di Big Ben Piggy.

E fu lì, anzi, fu esattamente una notte di mercoledì, in cui torno a casa più sbronzo del solito ( Il West Ham era stato fatto fuori dalla Federation Cup da quei pivelli del Bòro) che decise che avrebbe sfidato la polizia, con il più estremo degli sberleffi.

Avrebbe mandato al dipartimento, le registrazioni dei suoi incontri ravvicinati, con le vittime.

:- Hei. Fermi un attimo. Non avrete mica pensato che. Sbronzo si. Ma mica fesso. Ovviamente non avrebbe mandato i filmati integrali.

Passò l’intero weekend chiuso in camera. Con una riserva d’alcool degna di un battaglione di hooligans in trasferta.

Telecomando in mano, videocamera accesa, nastro pronto a videoregistrare.

Trasferì su nuova pellicola, tutte le scene in cui, il suo faccione paonazzo e sudaticcio non era visibile. Praticamente una compilation nella quale, le sue chiappe bianche e pelose, la facevano da padrone, ballonzolando come due budini, sotto le spinte di bacino. A conti fatti, meglio da questo profilo che di faccia si sarebbe potuto dire. A voler essere onesti.

 

 

 

Giù alla centrale scoppiarono in grasse risate quando videro le prime scene. Tutti radunati nella sala filmati, a godersi lo spettacolo. Interruzione completa di pubblico servizio si sarebbe potuto dire. Anche il Tenente Capo Berry Mcfarley non potè astenersi dal buttar lì qualche commento idiota.

E giù a ridere.

E urla di scherno. E applausi di incoraggiamento.

Poi il solito pignolo del gruppo, il rompicoglioni di turno, fece notare che la faccia della protagonista, strapazzata a destra e a manca, sopra e sotto, rigirata come una bambola gonfiabile da quel tipo ciccione, assomigliava molto a una delle vittime degli ultimi delitti irrisolti.

E gli sguardi si fecero perplessi. Calò un certo silenzio.

Poi gli sguardi si fecero cupi. La gente tornò al proprio posto.

E quando arrivarono, nelle settimane a seguire, spedite da diversi angoli della città, altre quattro cassette, (in tutti quattro i casi ancora prima che si scoprissero i cadaveri), nessuno aveva più voglia di ridere.

Giravano certe brutte cere fra i laboratori e parecchie orecchie basse e code fra le gambe.

 

 

 

L’ispettore Closet era tra quelli messi peggio. Moralmente. Ma anche fisicamente. Nelle ultime settimane aveva passato più tempo in sede o suoi luoghi del delitto, che in tutta la sua carriera.

E questo voleva dire, lavorare, colleghi impiccioni sempre a fianco, superiori ai quali fare rapporto, giornalisti alle calcagna. E ovviamente risultati da ottenere.

E tutto questo aveva un prezzo. Comportava delle rinunce..

Zero alcool per necessità di mantenersi lucidi e zero movimento con le solite amichette, per mancanza di tempo.

Quel che si sarebbe detto uno schifo di vita.

Ma quel giorno si era preso il pomeriggio libero. Aveva bisogno di rifiatare. Ubriacarsi e andare a donne. Non necessariamente nell’ordine. Meglio contemporaneamente.

Aveva scelto Rose Ventosa. E del vino italiano a pranzo. Molto abbondante.

Poi durante il tragitto fin giù nei vicoli di Soho, aveva inaugurato la bottiglietta nuova. E a metà delle rampe di scale che portavano su al tredicesimo piano dell’appartamento, ne aveva inaugurata un’altra. Whisky scozzese. Così per variare.

Arrivare su nel minilocale di Rose, era una vera sfacchinata.

Le scale erano verticali, con le pedate corte e senza pianerottoli intermedi, solo uno spazio angusto pianeggiante davanti alla porta di casa, sul quale si doveva rimanere in equilibrio mentre si apriva la porta, verso l’esterno, o si suonava il campanello. Due rampe compresse in un budello rettangolare di muri perimetrali, dentro un edificio popolare alto e stretto.

E la Signorina Ventosa (non era il suo cognome, era una delle sue caratteristiche peculiari), dannazione, abitava proprio all’ultimo piano.

:- Amore di un ispettore! Ti stavo aspettando. Quanto tempo non ci si vedeva! Sei stato occupato o mi tradivi con un’altra?

Ora anche le mignotte sono gelose. Pensò il capitano. E io che non ho preso moglie apposta.

:- No tesoro. Solo che se non ti trasferisci al più presto al piano terra, te lo puoi scordare che torno fin quassù. Sono distrutto e senza fiato.

:- Su su che un po’ di attività ti fa bene. E poi meglio se sei già stanco. Che l’ultima volta mi hai sbattuta come un tappeto.  E io ho ancora una serie di amichetti da soddisfare prima di sera e dopo di te.

Questo detto, lo prese per una mano trascinandolo in casa. Gli si attaccò al collo con quelle due labbra gonfie come canotti, aspirandogli come un vampiro, gli ultimi residui di energia che gli rimanevano in corpo.

 

 

 

L’impiegato postale Paul Piggy, aveva notato la signorina Rose Kelly Lee, qualche giorno prima, quando, giunta all’ufficio postale per pagare un nugolo di bollette, ed avvicinatasi alla divisoria del bancone per sentire meglio dalla sua bocca impastata d’alcool, l’importo del pagamento, aveva lasciato, appoggiandosi inavvertitamente con quelle due enormi labbra, un netto segno di rossetto sul vetro.

Cristo. Aveva pensato. Con questa bocca qui, questa ti deve aspirare anche i calzini.

Ehi pupa, te lo hai mai detto nessuno che potresti avere un futuro nel mondo della prostituzione? Bhe, magari ce lo hai già. Bhe probabile di no, altrimenti ci saremmo gia incontrati.

Ma credo ci sia ancora tempo per rimediare. Pensò ancora sogghignando.

Si annotò, come ormai era solito fare, sbirciando tra fatture e ricevute, tutti i dati necessari.

Rose Kelly Lee, Perlington Road number 78 – 13/6, Soho LONDON.

 

 

Quando arrivò davanti al portone del numero 78, sperò vivamente che il tredici che si era annotato, non fosse il numero del piano. Tutte le sue speranze, diventarono incubi, quando, nell’ingresso, alzo la testa verso l’alto, vedendo le gradinate, sfuocare ripide verso l’alto ed unirsi in un punto nero sul soffitto.

Pensò per un attimo di rinunciare. Il pacco gli pesava come un macinio fra le braccia e la camicia inzuppata di sudore, gli aderiva sulla schiena come una seconda pelle abrasiva, limitandogli i movimenti.

Ma il ricordo di quelle labbra invitanti, lo convinsero a salire.

Si era gia memorizzato una serie di scene memorabili da mettere in pratica e riprendere, con protagonista quel succoso e maturo frutto rosso.

Non ebbe il coraggio di fermarsi lungo l’ascesa per paura di essere riconosciuto.

Salì rampa dopo rampa, cercando di indovinare ogni successivo appoggio del piede, su quei gradini resi levigati e scivolosi dall’intenso uso. Non riusciva a vedere davanti a se, per via dello scatolone tenuto sollevato.

Ma con la coda dell’occhio riuscì a leggere PIANO 12, interno 6, quando uno degli ingressi, gli scivolò a fianco.

Coraggio Paul, ancora un piano e poi avrai la tua meritata ricompensa.

 

 

 

Il letto di Rose Ventosa cigolava forte e sbatteva contro la divisoria, come si conviene ad un letto di una prostituta.

Tra respiri affannati e gemiti e imprecazioni, l’ispettore Closet ci mise del tempo a rendersi conto del telefono che squillava.

Naturalmente era il Tenente Capo Berry Mcfarley.

:- Blood. Disturbo? Non gli lasciò il tempo di rispondere. Senti, lo so che è il tuo pomeriggio libero ma, bhè…quel bastardo ne ha fatta fuori un’altra. Trovata dalla vicina. Giù nel quartiere di Islington. Morta da una settimana. Dobbiamo andare a dare un occhiata subito. La videocassetta non è ancora arrivata.

Rose gli era attaccata, appunto, come una ventosa e con sommo dispiacere gli toccò scrollarsela di dosso. Emise un rumore tipo bottiglia di Champagne stappata al momento di rotolare stizzita, su un fianco.

L’ispettore era già in piedi e si stava infilando la camicia dentro i calzoni, mentre, aiutandosi con i piedi, tentava di infilarsi le scarpe.

:- Passerò presto per versare il dovuto dolcezza. Disse, strizzandole l’occhio. Lei gli mostrò simpaticamente il dito medio.

Prese l’impermeabile sotto braccio e si avviò di corsa per il corridoio, verso l’uscita.

La porta d’ingresso si spalancò facilmente sotto la sua spinta, sul vano scale esterno. Il movimento veloce trovò resistenza, circa a metà del percorso di apertura, in un tale che saliva con uno scatolone in mano.

L’ispettore non fece in tempo ad arrestare il movimento.

La porta spalancata travolse lo scatolone, sbilanciando all’indietro il povero fattorino delle poste, che si trovava in precario equilibrio, sugli ultimi gradini prima del pianerottolo.

Vide lo scatolone proiettarsi all’indietro e fluttuare leggero e rotante, nell’aria del vano, ricadere qualche metro più indietro squarciandosi e sparpagliando tutto il suo contenuto all’esterno.

Il corpo grasso del fattorino cadde di schiena e iniziò a roteare in una serie di capriole su se stesso, investendo e mandando in frantumi, come la peggiore delle valanghe, gli oggetti fuoriusciti dallo scatolone.

Si arrestò solo una trentina di gradini più in basso, senza dare più apparenti segnali di vita.

 

 

 

La videocamera con il display laterale a colori e il treppiede retrattile, giacevano, fra cocci di bottiglie di birra, a circa metà del percorso che separava Blood Closet dal corpo tozzo, rannicchiato in una posizione innaturale, sul fondo della scala.

 

 

 

Però, fottuto bastardo. Pensò l’ispettore. Avevamo gli stessi gusti.

 

 

 

Si sfilò dalla tasca dell’impermeabile la bottiglietta riversandosene in gola un lauto sorso e chiamò il Tenente Capo Berry Mcfarley.

:- Tenente Capo Berry Mcfarley ? Perlington Road number 78 – 13/6. Il caso è chiuso. Ci vediamo domani.

Poi infilò una mano sul sedere di Rose, che nel frattempo era uscita sul pianerottolo di casa, richiamata dal frastuono della caduta

:-Cara. Credo che possiamo riprendere da dove avevamo interrotto. E visto quanto ti è andata bene, credo offrirai tu vero?

Si chiuse la porta alle spalle entrando.

 

 

 

 

19 Risposte a “MA MEGLIO CHE NON SI FERMI SUL PIANEROTTOLO.”

  1. perchè il morso mart?ho capito.. non reggi più la vena poetica eheh.. scappo causa sorella in crisi e carico pazzesco di lavoro!! buona giornata un kiss dolce dolce pure a te!!(l’altro l’ho mandato a xandria!!)

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