MAXIME.

Ti è concesso tutto. La pelle e ciò che ricopre. Che è in eccesso sopra ogni normale tua precedente conoscenza. Proprio come avevi capito. Proprio come avevi temuto. Lo so che non c’è nessuno alla mia altezza – dice. E’ un dato di fatto ragazza, parlo per me. Non ti sono concessi baci però. L’attenzione che di tanto in tanto è altrove, una certa impazienza finale per i titoli di coda. Regista ti prego. Fa che non esca THE END. See you soon – se fosse possibile. Sei secondo a qualcuno, te lo dice, riesce-sempre-a-dire-tutte-le-cose, a differenza tua. Lo annusavi nell’aria, lo avevi intuito tra quello che non era stato detto. Pare tu riesca con successo in questo campo. Sei posteriore a qualcuno. Ti ha abbondantemente preceduto una volta quando non esistevi, ti ha anticipato di poco una seconda. Legittimo diritto di priorità, per le seconde chanches abbiamo sempre un entrata di emergenza ottusamente predisposta con speranza, anche nel più strenuo dei bunker di oblio. Il dimenticare è tanto fragile quanto fu duro e impossibile. Ho delle sostanze nuove in circolo dentro il corpo, di derivazione vegetale, di derivazione umana, e solo dopo averle smaltite, o forse solo dopo averne preso la prima abitudine, riesco a chiedermi come mai. Nonostante tutto ho avuto la mia abbondantissima parte. Sono forse qualcuno? O solo uno di quei corpi? Temo di non averlo compreso e ora sono fuori tempo massimo per le spiegazioni. Ritardi, ancora ritardi. Non c’è che dire. Il tempo ci condiziona la vita, ma non riesco a trovargli un solo aspetto vantaggioso. Ho passato i momenti buoni per le domande, ad osservare perturbazioni atmosferiche sul soffitto della camera. Nuvolosità regolare, cielo lattiginoso e liscio. Nemmeno una stella, solo qualche tono più grigio e movimentato di una nuvola più carica delle altre. Eppure deve avermelo detto. Probabilmente ero assordato dai suoni della grancassa. Tum-tum-tum. Non era quella del concerto. Il concerto era già finito. Per esclusione sono portato a pensare si sia trattato di quel solito muscolo cardiaco, alquanto imbizzarrito. Forse c’erano anche delle interferenze causate dalla più classica delle decompressioni allo stomaco. Canali audio interrotti. Mi guardo all’altezza della pancia, non ho nemmeno la maglietta, eppure del foro di entrata ed uscita della palla di cannone, nessun segnale. In compenso non ho il benché minimo appetito. Non ho mai mangiato così poco. Gli orari si sfasano, le attenzioni sono altrove, ho dei cali di zuccheri, ho delle crisi di fame. Mente e fisico non riescono a mettersi d’accordo sull’argomento. Hanno divergenze contrastanti sul concetto di alimentazione. Io so da che parte stare. Strizzo l’occhio alla psiche, lei mi mostra il pollice alto. Ho preso questa insana abitudine a causa dell’andamento storico della mia evoluzione. La privazione fisica dapprima involontaria è poi divenuta una scelta, seppur dettata da una mente sessualmente attivissima. Qualcosa non torna. Come se le inibizioni e la morale agissero come un terzo elemento dotato di vita propria e fuori da ogni controllo. Giuro, non mi so spiegare come tu abbia fatto – dice. Cioè, voglio dire –aggiunge.  Pare io abbia – abbia avuto – le possibilità per evitarmi cotanto.Inutile. Tenace. Patire. E’ una risposta che non so dare nemmeno a me stesso. Ma ormai non è più necessaria. Non so se poi, sia stata una lezione. L’approfittare del puro corpo. Fa che non sia così. Fa che sia una scelta dettata anche dalla presenza. Avevo del sentimento in circolo, ma probabile sia stato corroso dalle sostanze, dall’attesa, dall’impazienza, dall’inesperienza. C’era dell’egoismo. Un sasso troppo grande nella scarpa e l’urgenza di toglierlo. Oh, I forgot to be a lover, I forgot to be a lover maybe, baby. C’è dell’egoismo, ma non c’è ugualmente dell’egoismo nel sentimento quando lo si aspira troppo ravvicinato alla perfezione? C’è una donna che cammina per strada con un cappello bianco. La disposizione a scacchiera della viabilità cittadina facilita le opportunità di perdersi. Sono un gioco studiato, la provocazione di rossetto rosso fiammante sulle labbra e l’incavo dei seni ampio e scoperto sotto un collo, movente di delitti efferati. Puoi permetterti la presenza scenica solo se hai gli argomenti per supportarla. Nell’era dello standard fisico, dei profili al silicone, il segno distintivo è essere morti dentro il meno possibile. Ci vuole il talento per emergere, la bravura lenisce la fatica, con la normalità è necessario ingegnarsi. Sentirsi inadempienti nei confronti del vissuto, ti fa rammaricare sul tempo perso, ma ti aiuterà a sprecarne meno in futuro. C’è sempre qualcosa da imparare dalle sconfitte, a meno che non ti capiti di morirci durante. La luce della piazza notturna entra attraverso le ante in legno chiuse sull’esterno, anchilosate e sgraziate dal tempo nel loro grigio di vernice su legno ormai stopposo. Sul soffitto della camera la tastiera di uno xilofono prende forma. L’inclinazione dal basso verso l’alto della luce in entrata, fa si che una serie di quindici, forse venti, rettangoli luminosi, si stampi sul soffitto quasi nero. Una figura che si allunga verso il fondo della camera come stirata per i due angoli più estremi. Più ci si allontana, più aumentano le dimensioni degli elementi e aumenta l’interasse fra di loro. La osservo con le mani dietro la nuca cercando di regolarizzare il respiro. Non ho nemmeno la maglietta, eppure del foro di entrata ed uscita della palla di cannone, ancora nessun segnale. La figura mi si materializza ora diversamente. Traversine di binari. Treni. (Viaggi. Incontri. Scoperte. Conferme. Condivisione. Contatti. Deragliamenti). Non potrebbe essere altrimenti con la stazione dirimpetto – penso. Un imperfezione nell’anta fa si che uno dei rettangoli luminosi sia mancante, proprio nel centro del percorso. Un interruzione netta nera. I due percorsi sono separati. Separati ma unibili con uno sforzo d’immaginazione. O uniti e separati dall’imperfezione. Chi lo sa. Tutto ugualmente torna. Improvvisamente la vista si fa imperfetta, satinata e a pochi pixel di definizione. Collirica e collerica. Ti rendi conto dell’importanza delle cose quando le stai per perdere. O meno riduttivamente, importanza è direttamente proporzionale all’ aumento della distanza. C’è una ragazza con un tubino rosso che suona fuori luogo, un pianoforte sintetizzato in una bolgia di rock&roll. Qualcuno la vedrebbe meglio sul lungo fiume, ad accompagnare i pranzi dei turisti di metà pomeriggio. Un ragazzotto alcolico e pieno di slogan urla – meno poesia, più tette – e la battuta gli riesce bene e la gente ride. Probabile una leggera tossicodipendenza, sia la soluzione, anche se di ripiego, al dolore incorreggibile della vita.

10 Risposte a “MAXIME.”

  1. “sei posteriore a qualcuno” è una delle frasi che non vorrei mai sentirmi dire.

    Sei inferiore a qualcuno andrebbe già meglio. Ma posteriore, che già di per sè ci indicano altra roba.. proprio no.

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