(MEMORIE.) L’EVOLUZIONE DEL GRUPPO ORIGINARIO.

Di quei tempi il sottoscritto e Van Dick (Eugenij) se la passavano proprio male in quanto a rapporti col mondo femminile. Quando poi di tanto in tanto Otto Frederich rompeva col materasso e si concedeva un uscita, eravamo in tre e le cose non miglioravano affatto. Si poteva solo sperare che Otto durante la settimana fosse stato al sud per le consegne e allora si aveva di che parlare. Lavoro, luoghi, ristoranti, disavventure. Ma per lo più Otto non era di grande compagnia e anzi, vista la sua proverbiale irascibilità, era più facile mandasse in malora la serata intera per la più idiota delle motivazioni. Degli altri non c’era ormai traccia da mesi. Kascakof si era dato all’attività sportiva (al podismo precisamente) con tutto se stesso e dalle notizie che ricevevamo pareva fosse ormai impegnato ogni santa domenica in corse e manifestazioni, alla rincorsa di se stesso. Il resto del tempo libero lo passava quindi ad allenarsi o a prepararsi psicologicamente alle competizioni, chiuso in casa con quella pettegola della vecchia madre. Quando hai trent’anni e tua madre è la tua unica confidente io dico sempre: meglio una bella malattia venerea. Kascakof un tempo era un simpatico ciccione di cento chili e passa; ad avercelo compagno di banco un po’ puzzava e i suoi denti non erano per nulla puliti, ma era tutt’un’altra persona. Poi qualcuno o qualcosa (ma noi dubitavamo qualcuna) lo aveva condizionato e convinto a mettersi a dieta. Dieta e sport. Certo tenersi in salute non era affatto deprecabile ma da li a perdere un mezzo quintale in due anni nutrendosi di verdure bollite ce ne passava. Il problema è che quando si è affamati e stanchi il buon umore va un po’ a puttane: così Vassili (Kascakof) ce lo eravamo giocati abbastanza repentinamente, prima con presenze sempre più mute, poi con assenze altrettanto silenziose. L’ultimo ricordo che avevamo di lui era la confidenza di una tipa fuori provincia conosciuta chissà dove, da portare come primo appuntamento su una pista di atletica per un allenamento. Io di donne non ne capivo molto ma quella mi era parsa da subito una grossa cazzata. I risultati mi diedero ragione. Quanto a Boldroni ormai attendevamo tristemente la sua chiamata per le nozze. Questa volta la vecchia ce lo aveva fregato per sempre. Io avevo sempre sospettato di un chitarrista rock nonché grosso bevitore che portasse ancora il taglio a funghetto e i golfini. E ci azzeccai ancora. Alla prima occasione se l’era svignata, il maledetto. Peccato perché era sicuramente il più sveglio fra quelli del gruppo. Uno che nasce in città ha nei cromosomi sempre quella goccia di aperitivo che non guasta; peccato a lui l’avessero fatto un tantino annacquato mi sa. Quella sua collega di un decennio più vecchia alla fine lo aveva convinto e se lo era riportato a ritroso nel tempo, più o meno all’epoca di Love Boat e delle prime produzioni a colori. E’ una brutta fine, ma molta gente è convinta che nella ricerca dell’amore, il primo rosso che passa è meglio accalappiarselo. Anche se è un semaforo. L’amore, se proprio vogliamo fare che esista, non è quello di cui scrivono, nemmeno quello di cui sogniamo. E’ un antidoto alla solitudine che prevede di rimanere soli in due. Gli altri si erano sposati da tempo e alimentavano il proficuo mercato degli omogeneizzati e dei blockbuster. E dei calzolai per le pantofole. Il più vecchio del gruppo iniziale, Palsini, era ormai un grasso imprenditore edile dentro la sua grassa berlina fiammante. Aveva l’erre moscia e un giorno si era fratturato il bacino sul lavoro. Quella gli era parsa un ottima scusa per ritirarsi dal tempo libero. Non si era fatto più vedere. Così eravamo rimasti in due, a volte in tre, dopo dieci anni, non eravamo riusciti a rimpolpare il gruppo con nessuna entrata fissa. Anzi, stavamo dissanguando naturalmente, ormai privi di argomenti nuovi, quelli vecchi fregati dalla memoria. Capitavano sere buone, si beveva comunque troppo poco, altre che non vedevi l’ora di filartela a letto. Eugenij continuava ad essere completamente astemio, una vera disdetta. Gestiva un attività famigliare di lavorazione del ferro. Non c’era da aspettarsi molta finezza già al solo vederlo, lui non faceva nulla per smentirti. A volte era imbarazzante, faceva delle puzze terrificanti. L’ultima volta in un locale pienissimo molto in voga, attorno a lui si era creato uno spazio vuoto che ci si poteva parcheggiare. Io fingevo di essere li da solo, sorseggiando il mio drink in apnea. Due bionde imbellettate e impomatate si erano allontanate indignate. Non troverai mai delle fiche finché ti accompagnerai a Van Dick mi aveva detto un giorno un tale. Probabile non avesse tutti i torti ma a me non importava un granché. Più volte mi chiesi che ci facessi li quindi. Era una bella alternativa alla solitudine supponevo. Tutto sommato nel tempo avevamo conosciuto qualche ragazza, ma per lo più cameriere e bariste, quel settore di umanità che era costretto a rivolgerti la parola per professione. Questo tipo di ragazze aveva i suoi pro e i suoi contro. Sapevi sempre dove trovarle e non si aveva alcun imbarazzo a rivolgere loro la parola. Il problema era invitarle ad uscire o incontrarle in un luogo diverso, fuori da quell’ambito. Avevano sempre la scusa buona per il no. Le bariste e le cameriere del weekend erano libere al lunedì, quando i locali erano chiusi e non si sapeva dove portarle. Io in genere me ne stavo zitto, dentro il mio sguardo corrucciato, l’aria non so quanto fintemente disinteressata, quanto realmente. Lasciavo che fosse Eugenij a provvedere all’intrattenimento. Non nutrivo in lui alcuna speranza e quindi tutto il ricavato mi sembrava un successo. A volte se avevo bevuto parecchio e mi sentivo particolarmente loquace partecipavo al dialogo ma nell’arco di poche battute mi trovavo subito banale, annoiando me per primo. Ma le ragazze avevano solo in tempo dell’ordine e della consegna e per i discorsi non c’era tempo. Solo battute e risposte brevi, come in un testo teatrale. Come in un tele quiz. Toccava beccare la risposta giusta ed eravamo molto impreparati. Tra un ordine e l’altro capitava che su di noi scendesse una sorta di tregua silenziosa. Mi piacevano quei momenti senza necessità di dialogo e se  nel locale c’era una bella tizia, riprendevo col mio sguardo distante.

3 Risposte a “(MEMORIE.) L’EVOLUZIONE DEL GRUPPO ORIGINARIO.”

  1. …ma è lo stesso Kascakof che incontro alle 19:30 quando rientro a casa sul derelitto andante e lui in tutina ultra-tech parte a scheggia nel fare jogging…

    un giorno lo fermo e gli chiedo quale potente molla …oltre l’amore s’intende… lo porta a queste scelte estreme

    …bel locale questo, per me un Gin Fizz :)))) saluti cari, mastro Mart

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