My friend, Adriano Pappalardo.

Dato che non sono per nulla orgoglioso, avevo smesso di scrivere dopo la sonora stroncatura dell’ultima mia fatica letteraria. Il ciclo della vita ha di buono la capacità di trovare sempre la maniera più o meno velata di farti capire che la direzione non è esattamente quella corretta. Se costruisci troppo vicino ad un fiume, a volte è un inondazione, se frequenti un corso di scrittura, è sempre un intellettuale di sinistra. L’importante è farsi capire. Ma siccome non sono per nulla orgoglioso, ma bensì dell’ariete, causa ed effetto non possono che essere additati alla costellazione, scagionando le giacche di tweed e i loro portatori. Siamo creativi, con gran capo ma senza coda. Non portiamo a compimento una beata madonna,  siamo come degli alpinisti impegnati ad aprire nuove vie verso la vetta, ma che a metà parete si buttano di sotto. Ho cercato più volte di dare una motivazione a questo comportamento e l’idea più plausibile a cui sono arrivato è di una sorta di menefreghismo, di noncuranza, verso l’arrivismo e la realizzazione. E’ come se  ci si accontentasse della soddisfazione provata ed accumulata nel sapere di poter fare  quella determinata cosa, ma senza la necessità di dimostrare a qualcuno e a se stessi, quanto si possa essere capaci e performanti nel suo completo compimento.
Molto più probabilmente, sono inguaribilmente esistenzialista.
Quando la vita da il meglio di se per deprimerti, hai due scelte: o vai in un locale trendy a fare un aperitivo, o per una volta, prendi l’occasione per un po’ di riposo e ti lasci travolgere. Abbassare la serranda, mettere lo spirito in folle, staccare la spina, finire sul fondo e resistere sul fondo. Escludersi è il modo migliore per escludere e snellire la procedura, trovarsi soli con se stessi al solstizio d’estate è la tecnica infallibile per testare la propria qualità.
Ho chiuso con un sacco di gente con la soluzione inodore del silenzio.
E’ incredibile come affetti e conoscenze si disperdano nell’ambiente appena smetti di segnalare la tua presenza. Areate il soggiorno e soggiornatevi.
Resistete alle tentazioni del deserto.
Ad esperimento finito, vi rimetterete in moto più preparati, con un bagaglio più leggero, dell’amaro in bocca e qualche quesito.  Se eravate fari nella nebbia o allarmi nella notte non vi è dato di sapere. Eravate utili, piacevoli, abitudine, fastidio? Per la scena finale cambia poco, al massimo solo la tonalità dell’ultimo sospiro emesso. Ai fini dell’amor proprio, forse è meglio non sapere. Spingete pure la mano sul fondo della vostra cassetta postale, controllate fra la spam, richiamate il numero sconosciuto. Ma non vi avrà cercato nessuno.

2 Risposte a “My friend, Adriano Pappalardo.”

  1. ..tipo: io ho passato la notte di capodanno a casa, sul divano, in tranquilla solitudine, mangiando sushi e guardando il castello errante di Howl. Ma è perché sono un po’ depressa.. 😉

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