NATE STORTE

Era un serata di quelle nate storte, di quelle che il buonumore se lo scordano già dalla mattina, perché è rimasto a ronfare sotto le coperte o perché lo si è chiuso inavvertitamente in bagno, attardato sulla tazza a finire il Topolino. Bell’amico. E bello stronzo.

Ma non gli si può dare questa gran colpa, se da una vita te ne vai in giro con una pessima faccia, che davvero, proprio davvero, a volte farebbe cascare le braccia, anche al più inguaribile degli ottimisti. Ma come si sa, ormai trovano un rimedio a tutto. Siamo nel terzo millennio.

A dirla tutta, faccia a parte, la colpa era in gran parte del tempo.

Ormai da un buon paio di sere, avevano accoltellato il sole sul tardo pomeriggio, più o meno al solito angolo tra le due montagne, giù a ovest.

Lui, per la verità, non molto furbo a fare tutti i giorni la stessa strada.

Ovvio che quelli poi, sapessero dove aspettarlo.

Gli avevano tirato un paio di fendenti, probabile anche una schioppettata, a giudicare da quanto rosso sporco di sangue, c’èra in giro quella sera.

Si era accasciato al suolo con la solita lentezza, decisamente in modo sin troppo teatrale. L’effetto luce non era stato male (di solito se ne andava con un bianco da sessanta watt) e la gente, che a quell’ora come a tutte le altre non aveva nulla da fare, si era affacciata alle finestre, ad osservare le strane tinte pastello che si smorzavano sul paesello.

Le vecchine sulla strada per la chiesa, si segnavano atterrite, preveggendo la fine dei mondi.

I bulli in motorino, sulla strada per la chiesa, scippavano le vecchine, preveggendo grandi acquisti di fumo.

Un tale suonato, il fotoreporter del paese, aveva tirato fuori la telecamera ed era corso in collina a filmare quel tramonto di fuoco.

Inutile dire. Gli venne sfuocato.

Sta di fatto, che da quella sera, il sole non s’era più visto. Aveva iniziato a scendere acqua, acqua su acqua, e in breve tempo, quel filo di colore che sembrava essersi assorbito dentro ognuno, era stato lavato via, a  fondo, fino alla prima pelle.

Ed era rimasto solo pessimo umore, l’uva che marciva sui filari e i vecchi sotto le gronde che puzzavano di cane bagnato.

Era uno schifo di paese, e non gli si poteva dare torto, che la mattina, il giorno avesse pochi motivi di sentirsi allegro.

Gli ci vollero buoni trenta minuti, solo per decidere se accorciare i capelli, dagli attuali duevirgolacinque millimetri all’unovirgolasei che avrebbe potuto fare la differenza nelle ore sucessive. In effetti, in un martedì sera di provincia, vi era sempre la possibilità di imbattersi in una ragazza che girava armata di un micron per misurazioni di precisione. Quindi meglio non correre rischi. Li tagliò.

Taglio anche la barba, quella era scontato, in quanto proliferava sulla sua pelle da ben trenta ore. Una vera infamia.

Una doccia calda, sembrò restituirgli un paio di giorni di gioventù e un paio di grammi di allegria ben tagliata. Ma lo specchio, una volta sbucato dal banco di nebbia che lo separava dall’altra metà del bagno, lo attendeva impietoso.

Incredibile quanto riesca a crescere la peluria, in un mese. La prossima volta avrebbe usato la falciatrice. Certo, avrebbe stretto i denti e si sarebbe goduto almeno tre settimane di quell’incanto liscio. Oppure doveva pur esserci. Una soluzione definitiva. Una colata di cemento, una disinfestazione con del diserbante, una tutina di pelle femminile.

Ma i suoi problemi erano altri.

Non si ricordava di aver mangiato un anguria intera per cena. E nemmeno di essere incinto. Si ricordava della sua pancia piatta, raro vanto tra i suoi limiti. Ma Cristo, anche quella aveva abbandonato il tetto coniugale. Probabile ora se la stesse spassando con tutta quella profusione di vini, cocktail, dolci e grassi, dei quali aveva fatto conoscenza nell’ultimo mese. Non c’era che dire. La sua pancia era una vera zoccola.

Decise che per quella sera e fino a quando non si fosse rimesso in forma (perché si sarebbe rimesso in forma potete starne certi), era meglio abbandonare la sua maglietta aderente preferita, e optare per una più occultante camicia. C’era già in giro gente a sufficienza che si rendeva ridicola sfoggiando forme fuori luogo e fuori misura, dentro capi taglia esse, più aderenti di una seconda pelle, che finivano per strizzare tutto l’eccedente, nei punti più svariati e insospettabili.

No. lui non si sarebbe abbassato a tanto.

Avrebbe semplicemente vestito una camicia, calzante al punto giusto. Ci vollero altri trenta minuti per sceglierla tra un nutrito numero di quattro. Minuti al termine dei quali, dopo una serie infinita di cambi d’abito, combinazioni scarpa-pantalone falliti e defilè lungo il corridoio con l’armadio caricato in spalla, optò infine per la sua maglietta aderente preferita.

In fondo se la poteva ancora permettere e poi non era la serata adatta per questo tipo di esperimenti. Meglio andare sul sicuro.

Ora era quasi pronto. Profumato e con la pelle idratata si diede l’ultimo ritocco davanti allo specchio. Sarebbe stata necessaria una faccia di riserva. Quindi evitò l’ultimo ritocco. Raccolse le ultime cose prima di uscire.

Portafoglio ben rimpinguato, orologio, chiavi, telefono. Lo schermo acceso attirò la sua attenzione. Bene. Un messaggio che risaliva a qualche ora prima.

La vestizione aveva i suoi tempi tecnici e i minuti erano volati.

Peccato fossero un centinaio di minuti. Peccato che nel frattempo l’uscita fosse saltata.

Lo colse un leggero imbarazzo. Lo colse un sospiro di sollievo.

Guardò il buonumore che sonnecchiava nel suo letto. Questi fece spallucce e lo osservò complice con l’aria di chi si deve mettere il cuore in pace.

Si infilò a letto, vestito com’era.

Era martedì e non era il giorno adatto per affrontare il mondo.

 

16 Risposte a “NATE STORTE”

Lascia un commento

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.