NESSUN PIETRO IN PROVINCIA

La valle, quando la risali di notte dalla piana della città e i profili ti sono meno indigesti per via dell’oscurità calata sui colori, sembra ti accolga a gambe aperte.  Se non altro perché,  l’effetto visivo, è proprio quello. Due cosce assai lunghe e tornite, aperte alle ginocchia, che si uniscono all’orizzonte in un punto vagamente definito e dal riflesso bianco, che se non fosse il riverbero della luna sulla prima neve di qualche cima, diresti che potrebbe essere una sbirciata di mutanda. Uno slip senza pizzo per una donna senza seduzione ma abbastanza brava a letto per farti restare. Una mignotta ormai fuori corso, che esercita per tradizione.

La valle è casa tua e quando la vedi da lontano ti prende al naso con quel sapore familiare che non sa. Ne di mare, ne di fritto, ne di gas di scarico, ne di sudore cittadino. La valle odora di armadio vecchio, di ottusità, di adeguamento. Un mix di naftalina, polvere, etile e cannabinoidi.  La valle è zona industriale abbandonata, ma al profilo delle fabbriche, sostituisce il sorriso sdentato delle montagne.

Ha un caldo discinto addosso d’origine poco chiara che ti cattura per inebriamento e tentazione come quando infili una mano sotto la gonna, è non riesci più a ritrarla. Ma è solo stanchezza presa per eccitazione, il tepore di una cucina con le braci nel camino e di un letto rifatto da una madre in pensiero, confuso con il sudore salato di un petto generoso nel quale affondare il naso.

C’è l’ombra gobba dei lampioni inarcati, che procede sul ciglio e ti attraversa la strada. Carichi della fatica delle schiene dei vecchi sostenuti durante il giorno, sputano una luce fiacca da venti candele. La provincia a volte, per chilometri muore e lascia in eredità solo curve e rettilinei privi di vita, e boschi e campi a dir lamenti e litanie di rami spezzati e vento fra le fronde. Che dopo una svolta a sinistra e una a destra, dopo un affondo del pedale e un rettilineo che più di cento metri te lo sogni, potresti aspettarti di trovarti d’improvviso in bilico sul precipizio del mondo. In altalena sul vuoto, lì dove la terra si esaurisce. Stretto di Gibilterra. Stretta di chiappe. Solo che il pianeta è tondo, cosi dicono, e quindi non finisce mai. E’ una palla, e da questo punto di vista, per uno che abita in provincia, non si può che essere d’accordo. Una gran palla. Veramente. E sfiga sopra sfiga, tocca pure stare al piano di sopra. Che almeno a star di sotto, a testa in giù, a un tot di gente sarebbe venuto un po’ di sangue al cervello.

Mi domando se i canguri australiani hanno la zip sul marsupio per non perderne il contenuto.

Senza ombra di dubbio, nei tempi dei tempi, il mondo deve aver cappottato. Altrimenti non si spiegherebbe quassù, tutta questa gente che s’è svuotata anche l’anima.

La valle di notte ti prende per solitudine mentre le scivoli su per le calze smagliate. Mentre incespichi nei denari troppo radi. Ti tocca avere della musica sempre accesa e possibilmente di un gruppo ben nutrito, che ti faccia compagnia e ti bilanci il vuoto e il magone e le sensazioni sottovuoto. Oppure una tristezza di base adeguata, a livelli alti più del colesterolo, che non si accorga del mutare, che sia assuefatta allo stacco acceso-spento, sull’interruttore della vita.

La provincia notturna ha gli occhi gialli e i movimenti impauriti delle volpi sotto il guard rail. Ti guardano di traverso con la testa che gira a scatti, dubbiose se fuggire ancora, o farla finita e buttarsi sotto le ruote.

L’indecisione è il pane della Provincia. Gioca e si sfama sui dubbi di chi non sa, che sapore ha la vita, che rischio ha la vita e se vale la pena di giocarla così, con una mano di briscola anziché una di poker. E’ un cappotto di cemento, pesante sulle spalle e senza tasche nelle quali infilare le mani gelate, che ti copre la sicurezza di un domani perfettamente uguale all’oggi, dalle ventate di ambizione, prospettive e rischio, che soffian su dalla città.

La valle, quando parcheggi sotto casa, che anche i lampioni appesi a un filo fra due case scuotono la testa per l’ora tarda, ti sveglia i sogni ancor prima di iniziarli, con il canto di un gallo fuori orario, sintonizzato sul fuso di Taywan. O forse è solo che lui, ha davvero fretta di andare. E provare a svegliare qualcuno, è l’unico sistema che conosce. Forse dovrebbero amplificargli il canto. Da renderlo udibile ai più. Anche a quelli che già lo sentono. Quelli appena scesi da un automobile calda, con le mani affondate nei pantaloni, il bavero alzato.  Due feritoie negli occhi e una fetta di cielo annebbiato sopra la testa. Quelli che vorrebbero, ma che alla fine, al terzo canto del gallo, finiscono ancora una volta per andare a dormire.

5 Risposte a “NESSUN PIETRO IN PROVINCIA”

  1. no mart,sul certificato di malattia come reperibilità durante la malattia adesso metto l’indirizzo del lavoro,tanto sono sempre qui. una scopa nel culo no?

    ciao marrano!

    pista

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