Pesce Secondo Luca.

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Passo la mia attuale vita impiegatizia al telefono, nel demotivante compito, affidatomi per tacita procura, di tenere buoni i creditori aziendali. Nell’occasione, ascolto la mia voce appositamente pacata ma ancora ricca di cadenza, nell’eco delle cabine a gettoni, degli uffici col mobilio all’asta, dei Suv con le rate scadute. Mi trovo meno fastidioso di un tempo, ma per la voce cupa e graffiante che desidererei ho avuto decisamente troppe poche dipendenze.
Il resto del tempo lo investo cercando di rientrare col debito affettivo accumulato, prima che la moneta vada definitivamente fuori corso, prima che sia io ad essere soppiantato dal dollaro zimbabwiano. I risultati sono a dir poco sconfortanti e i continui bocconi amari serrano il nodo alla gola come in un continuo remake dell’opera originale del 1948. Se fossi proprietario di un felino e di un pesciolino rosso, in questi ultimi giorni sarebbero sicuramente morti. Ho quella presenza lì, di uno che ha perso un affetto non bipede, almeno ai miei occhi, anche se ormai troppo miopi e abitudinari nel giudicarmi. Ma ho pulito la specchiera col Vetril dai puntini del dentifricio senza lasciare nemmeno un alone, cosicché mi vedo, nitido, certo, radiografato, vistato a lutto. Agli sguardi altrui non saprei: ti alleni così tanto a fingere e a mimetizzarti con lo sfondo che disimpari la tua versione originale e la percezione della realtà. So di non sapere e di non aver fatto una copia della chiave. A forza di tingerti di beige finisce che la gente si rende conto che è un colore privo di qualsiasi chakra, vìola il divieto di affissione e ti riempie di puntine da disegno e colla spray. Forse è esattamente così che sta funzionando, forse a forza di simulare normalità e benessere hai finito per stomacare perfino Inzaghi. Finirai anche per essere tanti inutili orgasmini, espressi battendo le palpebre a dispetto del partner tutto intento a controllare l’attività delle tue dita dei piedi.
Non sono mai stato particolarmente fortunato coi pesci rossi. Probabilmente si partiva già con il piede sbagliato: un intero fine settimana a farsi prendere a pallate al luna park da mocciosi pieni di amorevoli propositi di cura, per essere infine comprati in contanti da padri compassionevoli e a loro volta privi di capacità balistiche. Così sono sempre durati davvero poco: il tempo dell’ascesa ai monti, mille curve e manco una spiaggia, un tramonto, due figliole in costume. Il tempo dell’allestimento della boccia con quattro sassi di fortuna e della prima notte. Quanto basta per decidere di farla finita, gentili assai da non lasciarti il tempo dell’affezione e del conseguente e lacrimoso senso di perdita.
Solo il pesce Secondo Luca è durato ad oltranza, perché non era un comunista mangia mangime ma un salmerino di lago, svezzato e forgiato all’esistenza nelle acque profonde e gelide di un laghetto di montagna e catturato nell’unico momento di distrazione, in una pozza vicino alla riva, durante la bassa marea. Il pesce Secondo Luca veniva dal lago Santo, aveva di conseguenza un manto bianco panna patinato come quello del papa nelle feste grosse, era lungo e affusolato e ovviamente ben contento di stare in una casa dove la domenica si guardava la messa alla televisione: quella ufficiale della Rai, mica quelle di Rete Quattro girate a Poggibonsi o a Montetocco degli Abruzzi. Ha vissuto così per un numero enne d’anni, bighellonando dentro la boccia come un gesù prima dei trenta, la sua vita da morigerato pesce credente, tutto osservanza e buonismo, fino al martirio finale. Sì, perché un certo giorno, lo stesso uomo che lo aveva raccolto nel palmo della mano dalle fresche acque del lago, forse a causa di un ictus in più, forse per semplice disattenzione, lo ha infine lessato inavvertitamente, in un acquario riempito d’acqua calda, come la più fresca delle aragoste nel più rinomato ristorante di pesce. Secondo Luca è rimasto per un paio di giorni a filo della superficie, inclinato su un fianco come una Costa Concordia, boccheggiando in girotondo lento, trasportato da non si sa quale corrente, senza la possibilità di deriva. Non ricordo come prendemmo l’evento, forse era già subentrata la disaffezione, forse non si capiva che intenzioni avesse e sembrava indecoroso sbilanciarsi. Date le sue origini forse speravamo in una miracolosa guarigione, ma non fu così. Non sono mai stato particolarmente fortunato coi pesci e neanche con gli altri segni: a Secondo Luca, qualcuno, infine, considerato il suo elemento naturale, diede degna sepoltura nel cesso.

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