ROSSO BLOB

Splich, sploch, splich, sploch, gniiiich. Finalmente fuori di qui. Le scarpe da tennis hanno lasciato nettissime impronte rosso porpora sul pavimento. Si riesce a vedere che la suola è maggiormente usurata sull’esterno delle punte e sul tallone. Ma in modo particolare solo su quello sinistro. Cristo! Ma quanto sangue contiene un corpo umano? Ma non eravamo fatti all’ottanta per cento d’acqua? A questo punto almeno l’ufficio sarebbe allagato. E non insanguinato. Bè forse però, è allagato di sangue. Un giusto compromesso. A lavoro compiuto ora ho voglia di una sigaretta rilassante. Dimentico. Io non fumo. Dannazione. Però il mio collega si. Ex collega, scusate. No, non si è licenziato. E’ solo che non è più in vita. Mi gratto la testa con le nocche della mano destra. Non c’è verso. Mi tocca tornare dentro. Finirò per sporcarmi le scarpe bianche.Tra tutte le cose che mi sono portato per l’occasione, ho dimenticato gli stivali da pesca di mio padre. Stamane, quando puntuale alle sette e cinquantotto minuti sono arrivato in ufficio, indossavo una tuta cerata intera giallo limone, una mascherina antipolvere, guanti in lattice e un ghigno perverso. Nessuno ha notato nulla e la cosa mi ancor più ferito. Va bene essere indifferenti, ma almeno un filo sospettosi, cristo! C’è da dire a loro discolpa, che gli strumenti di lavoro, essendo io un tipo preciso e ordinato, li avevo occultati nella mia scrivania personale, nelle giornate precedenti, disponendoli per ordine di intenzione d’uso. Quindi l’ascia da legna, necessaria per il lavoro grezzo iniziale, veniva prima del seghetto elettrico a batteria, che a sua volta aveva la precedenza sul set di coltelli da precisione.

Mi tocca proprio entrare dentro nuovamente. Splich, sploch, splich, sploch. Bè devo dire che rispetto all’usuale odore rancido del mio titolare poco incline all’igiene personale, l’aria metallica dell’ emoglobina, fa la sua porca figura nell’ambiente. Peccato che sono raffreddato e ho un pessimo olfatto di questi tempi. Diavolo, chissà dove il mio collega teneva  le sigarette. Suppongo nella tasca interna dei jeans, anche se, scroccone e tirchio com’era, comincio a nutrire dubbi sul fatto che troverò qualcosa di utile alla mia causa.

Il problema è che non ricordo più dove ho messo la sua parte inferiore, quella che va dal bacino alle ginocchia.

Forse nell’armadio degli appalti pubblici? Uhm, no, questa mi sembra tanto…, vediamo, da che parte di osserva? Che diavolo è?

Non ci crederete, ma un corpo umano scomposto non è proprio facile da riassemblare. Ti tocca osservarlo da svariate angolazioni. In ogni modo qua niente sigarette, questo credo sia solo il busto della moglie del capo. Che devo dire per quanto si vestisse davvero rozzamente, suppongo con i primi abiti che al mattino le capitavano a tiro, sotto sotto si manteneva ancora tonica. Complimenti postumi la mia signora. Sa, magari con un filo di femminilità in più, le avrei fatto un pensierino. Certo che con quella voce da trans però. Ammetto di essermi fatto le mie ghignate quando la scambiavano per il titolare, al telefono. Sono davvero spiacente. Ma credo non accadrà più. Ne sono quasi certo.

Vediamo. Allora. Le teste sono tutte infilzate sull’appendi abiti. Le gambe dalle ginocchia ai piedi, sono infilate nei cestini, ad esclusione di quelle del capo, al quale, dopo avergli piantato l’ascia in mezzo al cranio, operazione accompagnata da un lugubre e spettrale eco di vuoto, ho subito amputato entrambi i piedi, per potermi finalmente liberare di quella nauseante puzza di formaggio, che si portava costantemente appresso. Le mani con gli avambracci, sono al loro posto sopra le tastiere. E’ necessario che qualcuno continui a lavorare se voglio che la mia buona uscita sia liquidata. Quelle del capo però, credo di averle macinate nel trita documenti. D’altronde lui il pc non lo sapeva nemmeno accendere.

Scovo finalmente l’agognata porzione del mio collega, nel cassetto A3 della fotocopiatrice. Manca dell’organo sessuale, che ho provveduto ad amputare, fotografare, uplodare e spedire via mail alle amichette di chat che importunava a periodi alterni, con richieste e quesiti sessuali, evidentemente, suppongo, insoddisfatto di quanto ricavato dalla vita coniugale.

Ma non voglio infierire. Credo non ce ne sarebbe ulteriormente modo tra l’altro. E d’altronde anche io ho passato le mie buone ore fra siti porno e chat line. Ma io non ho una moglie e due figli al seguito. Sta di fatto che gli frego una sigaretta, facciamo tutto il pacchetto, comunque un’unica sigaretta, e esco nuovamente fuori all’aria aperta.

Ho fatto un bel macello di impronte che rovinano un po’ l’eleganza del lago di sangue, che placido si distende fra le vallate delle scrivanie. Dio Bono, di che sensibilità sopraffina sono stato dotato. Ora, quella pozza rossa si allunga e  si ritrae fra invisibili lingue di terra, insenature, golfi, penisole e anfratti. Il tutto mi ricorda la macchia di leopardo e il perimetro ubriaco delle scure e profonde acque del lago di Lugano. Mi accendo questa benedetta sigaretta appoggiato allo stipite della porta d’ingresso. Sono rilassato come non mai e mi passo una mano fra i capelli, la folta chioma che sette anni in quest’ufficio mi hanno fatto del tutto precipitare sul pavimento, assieme alle palle. Ma ora è tutto okkey, ho cinquantatre battiti al minuto, un respiro ampio e profondo e nessun cerchio alla testa. Senza impegno, riesco a non pensare a nulla. Mi domando solo se vi sia un qualche tipo di violenza lecita, indolore e incolore. Temo il mondo ne abbia estremo bisogno. Credo che l’impossibilità di esplodere della parte negativa di ognuno, o meglio, la continua repressione alla quale è costretta, la faccia ribollire ed espandersi a tal punto, da andare a contaminare anche il lato positivo, provocandone sconquassi, via via più quotidiani. Suppongo tutti abbiano un lato oscuro non infallibile, probabile di dimensioni variabili in base a che ne so. Un infanzia infelice? Gli insuccessi nella vita precedente? Un naso storto? Una pubertà satura di acne? Probabile un cammino lindo nel tempo, comporti l’installazione di una valvola di sfogo che scarichi in automatico, gocce di male in scia, come una perdita d’olio di indifferente entità. Ma quanti possono vantare una bianca esistenza? Molte vite, nelle quali un giorno è semplicemente più sfigato di quello precedente,  al posto della valvola troppo pieno, si trovano un tappo nel sedere. Troppo tardi. Prima o poi qualcosa o qualcuno deve esplodere.

La violenza è una dinamo caricata a piccole tensioni al chilometro. Un contatto fastidioso che ti struscia sul fianco, producendo elettricità. Una carica positiva di elettrodi impazziti. Qualcuno riesce ad utilizzarla per illuminare il percorso dinanzi a se. Altri la usano come innesco per autoesplodere. Bummm!

Ho scordato di scollegare il cavo della connessione internet dalla borchia. Non vorrei che qualcuno si lamentasse al solito, dei costi eccessivi in bolletta.

Ma poi guardo il pavimento rosso. E chi si lamenta più.

18 Risposte a “ROSSO BLOB”

  1. Quando i nervi sfiorano la pelle, bevo un caffè. nulla mi rilassa di più. Qualcuno beve thè al gelsomino, a me fa accaponare la pelle più di un film o di un racconto horror.

  2. Ecco un racconto che fa iniziare bene la giornata. senti mi potresti prestare l’ascia? A volte sono indecisa fra l’ascia e la motosega elettrica, tu che mi consigli?

  3. Io più che i Rammstein ci vedrei qualcosa di classico ma piuttosto inquietante, come il Trillo del Diavolo, di Giuseppe Tartini.

    I Rammstein sono troppo tamarri per una scena precisa e misurata come questa, secondo me.

  4. le riflessioni finali sono eccezionali, molto palahniuk. ci starebbe bene un bel sottofondo musicale tipo rammstein. una cosa soltanto: credo si scriva “agognata”, non “agoniata”.

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