SOLO CON UN CANE

Che razza di cane mi sono trovato! Era un esclamazione. Non un interrogarsi sulle caratteristiche fisiche dell’animale, tra l’altro alquanto indecifrabili.

Il Sig. Buchler  soleva ripetere l’espressione ogni qualvolta gli occhi cadevano su quell’ammasso di pelo sbadigliante color pozzanghera.

Bed, così lo aveva chiamato in quanto passava gran parte della sua esistenza a dormire, era il fratello gemello del Sig. Buchler.

Separati alla nascita, si erano incontrati qualche mese prima, il giorno in cui Linda se ne era andata. Strani ricorsi del destino.

Linda in effetti non era nemmeno mai arrivata.

Ma molte cose avevano fatto intuire a Rigan, e altre palesemente le aveva fatte trapelare lei, che sì, era amore e gli mancava solo il tempo di organizzarsi e arrivare.

Ma per mettere in piedi un fraintendimento, poi si sa, basta sbagliare l’interpretazione di due parole. Ed è inspiegabile, come pur parlando la stessa lingua e non correndo rischi sul filo di traduzioni, gesti e segnali motori, poi si finisca per intuire, dello stesso raggruppamento ordinato di lettere svelate dentro un detto non detto, significati che si possono semmai scontrare, ma agli opposti.

Per Il Sig. Buchler e Linda era successo così.

Si erano trovati in un mezzogiorno radioso e chiaramente a parole, si erano dati appuntamento alle sei. Si sarebbero incontrati e come dentro un copione già scritto, avrebbero dovuto. Che ne so. Baciarsi, abbracciarsi, amarsi. Un cazzo di lieto fine insomma.

Solo che Rigan aveva proseguito in senso orario, mentre lei, bhe cristo, lei aveva fatto inspiegabilmente un passo indietro nel tempo. Aveva viaggiato all’indietro, in antiorario. Si era fatta l’alba poi notte poi tramonto poi metà pomeriggio.

Ma il Sig. Buchler, a quell’ora, aveva già capito ed aveva dentro lo stomaco, quel vuoto d’aria e i cocci della gabbia d’ossa sfondata, come se qualcuno gli avesse piantato un cazzotto ben assestato, come se lo avessero per bene derubato.

E sinceramente, non gli importava più niente che lei fosse arrivata, prima o poi, con tutta quella sua ostentata gentilezza d’animo, indifferente al ritardo e casta delle sue buone intenzioni.

Le sei sono le sei, ma i modi per arrivarci per una donna, possono essere molteplici e tutti giustificabili dentro la parola stessa.

Le illusioni sono figlie dei bisogni. Nutrono, saziano e colmano i vuoti da riempire, creandone altri in un ciclo continuo e diabolico.

Le illusioni sono pane all’aria e gratis, che da senso di sazietà, ebbrezza e non nausea, non ingrassa, non nutre.

E’ un lenitivo temporaneo per la mente. Un placebo sentimentale.

Un uomo illuso può costruire castelli sul pianerottolo di casa.

Figuriamoci poi, se lei si rimbocca le maniche e te la trovi a fianco a passarti i mattoni.

Il Sig. Buchler si accorse di star prendendo un granchio quando il muro di cinta non era ancora troppo alto da essere scavalcato, e il fossato non ancora riempito d’acqua per annegarci sul fondo.

Riuscì a svignarsela.

Ridotto a uno straccio, piegato in due a sputare i polmoni, a respirare il sollievo di chi l’ha scampata bella.

Lei arriverà, dodici ore di ritardo, convinta della sua puntualità. Convinta che tutto vada bene.

Lui è un tipo a posto. Per nulla a posto ad essere normali. Farà finta di niente, accuserà il colpo con discrezione, un sorriso a un paio di denti. Lui è un gran contenitore. Un incassatore coi fiocchi.

Solo mi domando che faranno.

Il suo copione prevedeva baci da lieto fine. E vissero felici e contenti.

Il suo di lei. Vallo a sapere.

Rigan avrebbe proprio voluto buttarci un occhio. Probabile ci sarebbero state scritte le stesse cose sue.

Solo lei, bhe cazzo, lei, mica lo aveva letto. Era dovuta andare dal parrucchiere.

Così andarono, andranno, stanno andando le cose.

Lei non arriverà mai come lui l’aspettava. Per lui lei è già andata. Certo arriverà e rimarrà. Ma lo troverà lì con quello stupido cane a continuare a recitare la sua parte. Ci si era calato a tal punto, con determinata convinzione, entusiasmo e prospettive, che ora non gli costa nulla continuare l’esibizione. Lo fa per lei.

A lei quella recita piace, a lui lo avrebbe ucciso.

Ma adesso riesce a sopportarla. E’ solo una ferita leggermente sanguinante. Probabile, un giorno sarà così debole e sfibrato, che la prenderà da parte e le dirà come stanno le cose. Ma quel giorno è abbastanza lontano o forse non arriverà mai. Lui non è un granché coraggioso e adesso con il cane, riesce a sopportare le cose molto più facilmente.

Bed era disteso sul divano letto e guardava i talk show del pomeriggio, sbadigliando annoiato. Rigan era sdraiato sul tappeto e guardava i talk show del pomeriggio sbadigliando annoiato. I croccantini di Bed crocchiavano nella ciotola. Le patatine del Sig. Buchler crocchiavano sul fondo del sacchetto.

Entrambi guardavano quel programma perché entrambi avevano un debole per la bionda conduttrice. Rigan era certo che a Bed la tipa interessasse per via del pelo biondo. Probabile nella sua razza (ma che razza di cane si era trovato?) quella tonalità fosse abbastanza rara. Bed invece era certissimo che il padrone fosse ammaliato da quelle due pronunciate protuberanze che la conduttrice portava davanti sul petto. Aveva notato, durante le loro passeggiate pomeridiane, che Rigan, incontrando ora qua ora la rappresentanti dello stesso genere della conduttrice, non riuscisse a resistere e finisse sempre per far cadere gli occhi lì sopra.

:-Ehi Bed, ti andrebbe mica di fare un salto in enoteca?

Essendo un solitario per natura, e andata buca pure con Linda, il Sig. Buchler aveva trovato nel cane un ottima scusante per uscire da solo e frequentare un qual si voglia locale.

Prima la cosa gli risultava insopportabile. Veder entrar qualcuno da solo dentro un locale, era lo spot della solitudine a suo dire.

Lui era solo per scelta, ma la gente avrebbe potuto fraintendere.

Ora pur essendo sempre umanamente solo, aveva però la scusa di accompagnare Bed qua e la per due passi.

E Bed, rendendosi conto della situazione, era ben felice di portare fuori il suo padrone per pisciarlo.

Non c’era che dire. Si erano proprio trovati. Una coppia complementare.

Le ombre lunghe dell’autunno penzolavano da sinistra verso destra sopra il viale, allungandosi bavose da un marciapiede all’altro.

Il Sig. Buchler, fiaccato dalla sedentarietà, camminava caracollando al centro dello stradone con la lingua a penzoloni e il respiro corto. Si fermava ogni tot metri, tra un ombra allungata e l’altra, a riscaldarsi al pallido sole.

Bed lo seguiva qualche passo più indietro, il pelo lungo della fronte che gli penzolava sugli occhi come la frangia bionda della conduttrice di Canal Four e il collare quasi del tutto allentato. Rigan era un padrone tranquillo e non vi era il rischio che desse fastidio a qualcuno.

La signorina Lisemary che abitava in cima alla via al numero trentasette, arrivò in quel momento accostando la macchina sul lato destro.

Si fermarono a guardarla scendere. Era sicuramente la ragazza più carina del quartiere.

Il signor Buchler si tirò su il colletto della giacca nera di pelle e porto la sigaretta all’angolo delle labbra.

Bed si diede una scrollatina generale per ravvivare il pelo ed emise un latrato baritonale molto impostato.

Rigan lo guardo all’indietro come a dire. Vecchio marpione.

Lei lì aspettò mentre risalivano la salita e si accucciò a scompigliare il pelo al cane.

Il Sig. Buchler ne approfittò per buttare l’occhio dentro la profonda scollatura.

Bed che non era interessato alle tette, si concentrò sul pelo biondo che la signorina Lisemary portava raccolto in strane acconciature sopra la testa. 

Poi guardo Rigan.

Con la scusa di accarezzarlo a sua volta, si era accucciato sull’altro suo fianco e stava a momenti infilando il naso dentro la maglietta di lei.

Che razza di padrone mi sono trovato? Era una domanda. Un interrogarsi sulle caratteristiche fisiche dell’uomo, tra l’altro alquanto indecifrabili.

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