SONO UN TIPO NERVOSO MA E’ COLPA DELLA SOCIETA’. QUESTA MATTINA ERANO FINITI I DECAFFEINATI.

Lo osservo nello specchietto retrovisore, mentre la macchina si ostina a non ripartire, (cazzo, cazzo, merda, vaiafareinculo) – non entrano più le marce e il semaforo, come se si fosse strafatto di clorofilla, diventa sempre più verde di secondo in secondo – sbracciarsi nervoso e imprecare, a disagio tra le lamiere dell’abitacolo come dentro una camicia di due taglie troppo piccola. Potrei leggerne il labiale ed offendermi per gli insulti a mia madre, alla mia automobile – che diciamo, se li può anche  meritare –, alla mia testa di pisello,  – che molto rosa lo è -. Diversamente, impassibile, la mia attenzione è attratta dal profilo fisionomico del personaggio. Struttura scheletrica medio ampia, collo incassato, cranio regolare ma con una certo sbordo all’esterno all’altezza della mascella (quelle che si potrebbero definire due guance paffute da moccioso ora decadenti sotto il peso di zigomi stanchi).Una faccia a pera. Lo sguardo non è accigliato alla maniera del pensieroso,  ma alla maniera dell’astioso-iroso. Occhio a feritoia, con palpebra semi abbassata come una serranda in pausa pranzo. Roba da uno che preferisce non guardare, perché osservando potrebbe notare qualcosa che lo fa incazzare. Le persone irose sono anche però per opposto, capaci di fissarti senza batter ciglio per minuti e poi chiederti cosa cazzo hai da guardare. Sono predatrici. Quando noto la barba, non semplicemente incolta, ma di quelle barbe costanti che  durano una vita, inizio a fregarmi le mani. Si. Quello era il classico individuo che picchiava la moglie. Avrei fatto un opera di bene. Ci sono delle espressioni fisiche costanti assunte nel tempo e derivate dal profilo psicologico del soggetto, che sono un identikit sociale. Questa è la logica degli idioti che vi hanno insegnato. Osservate le persone per farvi un impressione e poi cercate di conoscerle per essere smentiti. 

Così apro il vano porta oggetti sul lato passeggero ed estraggo il vecchio Sportnews del quattordici luglio novantasei. La carta comincia a sfibrarsi sotto l’azione del tempo e frammenti di inutili parole mi si trasferiscono per impressione sui palmi delle mani. Se una veggente le leggesse ora, potrebbe indovinare qualche colpo di calcio mercato di quella noiosa estate. Sceso fuori sulla corsia – che la mia auto in panne stava bloccando -, le altre due corsie per la svolta a destra continuano a sfrecciarmi accanto, cariche di veicoli caldi e fumanti. Nessuno sembra però badare a un tizio alto e longilineo avvolto in un trench color ocra che procede verso l’auto che lo segue brandendo un poco rassicurante cannone calibro quarantacinque. In effetti li posso anche capire. La gente in macchina ha sempre una meta da raggiungere in tempi e modalità improcrastinabili. E poi, cosa vi sentireste di dire a un tizio simile? Scusa, hai da accendere?

Il cannone è un po’ esuberante per dimensioni ed efficacia, ma d’altronde se vuoi spaventare, dare una lezione o anche semplicemente far capire dei concetti a qualcuno, mica lo puoi fare esibendo un matterello. Un po’ come voler sentirsi dire “basta ti prego” da una femmina, avendo un pisello da quindici centimetri. Al massimo vi chiederà quando cominciate. In ogni modo le vedo, le espressioni sulla faccia del tizio, cambiare in sequenza, come le combinazioni di frutta su una slot machine sfortunata. Niente triple tre ciliegine per lui oggi. Gli vedo scorrere su quella facciadimmerda da iroso violento, perplessità, dubbio, sorpresa, molta sorpresa, preoccupazione, ansia, paura, rammarico, maledizione, maledetta coincidenza, giorno sfortunato, resa dei conti, disperazione. Mentre mi avvicino a lunghe falcate elaborate, lo vedo alzare le mani – le alza in un modo patetico come se avesse due moncherini mossi dal burattinaio – come se si stesse proteggendo da uno che gli fa il solletico. Gli picchietto con le nocche sul finestrino e, accompagnando il tutto con il più ampio sorriso che mi riesca, gli faccio cenno con la canna della pistola, di abbassare il finestrino. Non so perché, ma obbedisce. Adesso mi aspetterei che da vero codardo inizi a biascicare una serie di scuse bofonchiate. Ma è troppo impegnato a coprirsi il pacco. Vergognoso. Al saputello qui si sono rotte le acque.

:-Ehi, vescica fragile, gli faccio. Anche lei nervosetto oggi eh! Cos’è, non hai avuto il tempo di picchiare la mogliettina per sfogarti stamattina?

Ci mette un po’ a rispondermi e non mi guarda negli occhi preferendo tenerli abbassati su un punto inesistente ma molto umido, localizzabile fra le sue gambe.

:-S-s-s-s-soooonoooo gggggay e pu-pu-pu-puresingle, riesce finalmente a dirmi.

Dio Cristo. Non posso non ammettere che la dichiarazione  mi colga di sorpresa. Dannazione. Devo essermi sbagliato. Mi gratto un punto imprecisato della testa che mi prude con la canna della quarantacinque, mentre penso il da farsi. Certo non posso mica fare fuori un diverso e passare per xenofobo o quelle robe li.

:-Sicuro che non hai mai tirato un pugno, che ne so, neanche a tua cugina, gli chiedo?

Fa segno – no-no – con la testa. Cazzo. Devo proprio essermi sbagliato. La cosa mi fa innervosire. Non posso permettermi una figura di merda simile.

Decido che questo è un buon motivo per farlo fuori.

 

Mi sono sempre chiesto che sensazioni si provino in una morte violenta.

Momenti di coscienza, percezione del dolore, flashback, mantenimento sensoriale, rilassatezza, buio totale immediato?

Bè vi diro.

La morte violenta ti coglie essenzialmente proprio di sorpresa. Il tempo di dire.

Uhm, ca… (….zzo succede). 

Poi mi sono ritrovato all’interno di un vortice bianco che sprofondava verso il basso. Le pareti erano decorate delle immagini dell’ultima scena, riprodotte all’infinito come dentro un gioco di specchi. In lontananza credo di aver sentire un tale che diceva.

Ecco fatto. Mi son sempre stati sulle palle i pelati.

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