Sull'amicizia

Il cortile interno ha poca luce., luce di bianchi e neri, degrado e aspetto vissuto, quell’aria retrò, anni 50, forse inizio secolo.


Là sul fondo, stretto ed oppresso fra le pareti verticali degli edifici che lo sovrastano, se ne sta ormai acquietato dal tempo che sembra essersi fermato..


La tettoia pericolante e arrugginita con il suo contenuto di ferraglie accartocciate, le pareti delle case scrostate con rattoppi di intonaco come cerotti, sul corpo di un ferito di guerra…. il prato..prato..ciuffi d’erba desolati, intervallati da chiazze di vecchi lastricati irregolari..


E il labirinto.


Gia. Il cortile è il centro, ma perimetralmente è tutto un susseguirsi di ingressi, su portici, su cantine, su garage, anfratti e tane segrete.


Tele di ragno come soffitto, portoni di legno divelti o basculanti di latta colorata sull’ingresso, topo cane e gatto in obbligata tregua, alla ricerca di  ristoro, rifugio, casa, come occupanti irregolari.


E gli abitanti.


La vita, le voci. (rare) più che altro rumori di sottofondo, di attività.


Esclusiva meta di annoiati pensionati anticipati, che vi trascorrono pomeriggi e sere e prime mattine, fuggiaschi da mogli senza ormai piu niente da dire, se non ripetuti e spazientiti richiami dal balcone all’ora del pasto, ore trascorse  fra effluvi di vini in fermentazione, esperimenti di alchimia alcolica, attrezzature agricole da manutentare a furia di accelerazioni, accensioni, scoppi di combustione, gas di scarico da centro città e rumori assordanti a lacerare i timpani della quiete fisica.


E all’apice di tutto questo, a completamento del quadro, il rito giornaliero.


Forse memori di giovanili piaceri, forse i brividi dell’aria fresca sulla pelle, il senso di libertà, troppo sfaticati per fare le anguste scale verso casa, il rito.


Sana pisciata nel tombino.


Mano nella tasca, fischiettando motivetti da coro di montagna, guardandosi attorno stupiti ed ammiranti, la testa che ruota a trecentosessanta gradi sul collo, inclinata verso l’alto, come ad osservare, dalla cima di una montagna, lo splendido paesaggio circostante.. orizzonte infinito e nitido, cime innevate o paesaggio marino.


Sento il loro minuto di distacco, pura estasi, rilassatezza estrema.


Viaggiano, mentre in realtà se ne stanno dentro un tombino, come quello che stanno annaffiando, scuro e profondo, con parete incrostate di ex vita e una grata fatta di cielo, lassù in lontananza, dal quale grazie a Dio, non piovono goccie dorate, ma a volte e casomai arrivassero sul fondo, piogge cupe e ritmate, tic toc tic toc sulla lamiera della tettoia.


 


Sopra questo mondo, sopra la città sotterranea, stavano il mio terrazzino e una domenica di fine settembre.


Le domeniche mattina possono risultare estremamente rilassanti a volte, quando riescono bene..


E questa era riuscita.


Bene.


Tecnicamente è la notte in cui dormo meno, ma meglio. A letto esclusivamente dopo le tre. La sveglia biologica, prima delle nove. Sei ore di sonno se va bene. Di più, se l’alcool ha stordito. Di meno, se l’adrenalina non si è acquietata.


La notte dentro al discopub, lo struscio dei corpi, scintille da ormoni in sfregamento, sensuale sentore di corpi accaldati, pelle rosa, perle di sudure…all’uscita, quattro gradi, gelo sulle emozioni, quattro macigni di stanchezza improvvisa, l’adrenalina si dissolve.


Tremare di freddo è estremamente rilassante se si esclude il freddo di per se.


Il corpo si scarica negli spasmi autonomi e incontrollabili, l’adrenalina scivola scaricandosi a terra, come fulmine estivo lungo il campanile. Ho tremato fino ad essere completamente svuotato..


Ho liberato calore e assunto la notte fredda. Tipo una stella.


Ho dormito sei ore.


Il bello delle domeniche mattine che riescono bene è che, seppur svegliandosi alle nove, si rimane a letto fino alle 11 e 50.


Due ore e cinquanta minuti.


Per riaddormentarsi e fare piccoli sogni.


Per stare svegli e fare grandi sogni.


Per ascoltare la house dentro le cuffie.


Per odiare le campane.


Per odiare la gente che va verso le campane.. chiaccherando..sotto la TUA finestra.


Per compiacersi delle erezioni mattutine.


Per aprire le finestre alle 11 e 30 e respirare l’aria fresca.


Per sostituire il calore del corpo con quello del sole.


Per riempire la camera con il riflesso bianco dell’edificio di fronte.


Per svegliarsi alle 11 e 50 e farsi la doccia.


 


Il bello delle domeniche mattina che riescono bene e sedersi a tavola alle 12 in punto, con l’acqua della doccia addosso non ben asciugata, jeans corto come minimo vestiario.


Sedersi sopra un piatto di filetto al pepe verde, le fette ordinate, i granelli verdi aromatici, le patate al forno a fettine disordinate una sopra all’altra, alcune croccanti altre tenere e il pane della domenica,riscaldato al forno che scotta le mani e il vapore caldo del cibo che appanna le lenti degli occhiali.


 


Ozio allo stato puro, 50 battiti massimo al minuto.


 


Lo squarcio di azzurro sopra il cortile interno era cielo.


Azzurro invernale e azzurro post pioggia. Nitido, delineato, silenzioso, assenza di filtri, vista a dieci decimi.


Nelle giornate in cui l’aria è tersa e pulita, o per il gran freddo o perché realmente disinfettata da una recente ed abbondante pioggia notturna, pare di vederci meglio.


Pare di vederci meglio perché gli occhi sono felici.


 


Dalla portafinestra del tutto aperta il riverbero del sole riscaldava, le sferzate di aria pungente sulla schiena nuda.


Erano circa le 14 del pomeriggio e stavo seduto sul pavimento del terrazzino.


Il fondo del cortile interno era all’ombra come sempre.


Vaghi effluvi di urina e di polvere stantia salivano dall’abisso oscuro per dissolversi nell’aria, appena oltrepassato il livello dei tetti.


Il fondo del cortile era silenzioso come mai.


Per occasionale rotta astronomica, in questi insperati estivi primi giorni d’autunno, il sole, nelle prime due ore del pomeriggio, si trovava a transitare dentro il cielo del cortile.


Me ne stavo seduto nel modo più compensante possibile, a compensare la limitatezza della superficie disponibile dove distendere le gambe, a compensare il riflesso accecante dei raggi sulle pagine bianche del libro, a trovare una posizione di compromesso tra comodità di massima e desiderio di approntare il corpo, al massimo assorbimento dei raggi solari.


Ero ormai quasi del tutto assorto, a parte brevi dormiveglia dentro il mondo televisivo che proveniva dalla cucina, ero del tutto quasi immedesimato..ero del tutto dentro il libro..


Alessandro Baricco  – City.


 


Ma gli amici, quella calda domenica di primo autunno, quella finta domenica di piena estate, avevano gia deciso il mio destino.


Gli A-M-I-C-I.


 


Da…”IL PROFETA” Gibran Kahlil


 


“E un giovane disse: Parlaci dell’Amicizia.


Ed egli rispose, dicendo:


Il vostro amico è i vostri bisogni esauditi.


È il vostro campo, che seminate con amore e che mietete con gratitudine.


Egli è la vostra mensa e l’angolino accanto al fuoco.


Perché vi recate da lui con la fame, e lo cercate per avere pace.


Se il vostro amico vi apre la mente, non temete il “no” nella vostra, né trattenete il vostro “sì”.


E se lo vedrete silenzioso, il vostro cuore non cessi d’ascoltare il suo cuore;


Perché senza parlare, nell’amicizia, tutti i pensieri, tutti i desideri, tutte le aspettazioni, nascono e sono condivisi con una gioia priva di clamori.


Non vi attristate, quando vi dividete dall’amico;


Perché le cose che amate di più in lui saranno più evidenti durante l’assenza, come la montagna a chi sale, che è più nitida dal piano.


E non vi sia altro scopo nell’amicizia che l’approfondimento dello spirito.


Perché l’amore che non cerca unicamente lo schiudersi del proprio mistero, non è amore, ma una rete che pesca soltanto cose inutili.


La parte migliore di voi sia per l’amico.


Se egli deve conoscere il deflusso della vostra marea, fate in modo che ne conosca anche il flusso.


Perché cos’è il vostro amico, se andate in cerca di lui per uccidere il tempo?


Cercatelo invece avendo tempo da vivere.


Perch’egli è lì per servire al vostro bisogno, non per riempire il vostro vuoto.


E nella soavità dell’amicizia fate che abbondino risa, e piaceri condivisi.


Perché è nella rugiada delle piccole cose che il cuore trova il suo mattino e si ristora.”


Era domenica pomeriggio, il sole invitava alla felicità, i miei amici avevano deciso la loro e con la loro anche la mia. Nell’ordine mi hanno aspettato:


Visita alla concessionaria BMW.


Visita alla concessionaria PEUGEOT.


Partita di calcio di Serie B Femminile.


          Il mio amico FB :”le donne dovrebbero rimanere a casa a fare calzini”


          Il mio amico FA : “le donne dovrebbero rimanere a casa a fare p………. (il mio amico FA è molto scurrile)


          Io : “le donne che giocano a calcio sono ragazzi bisognosi d’affetto”


 


Rituale pizza domenicale in nuovo locale


          Età media anni 60


 


 


Cristo!


Merda!


Sono messo davvero male.


 


Gli A-M-I-C-I


Che ho.


Quelli che vorrei.


Hai quali do.


Forse non ho.


Chiedo troppo?


 


 


 


 

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