TRIS

Il cadavere, ricoperto di un leggero strato di brina notturna, era di per sé, più freddo del dovuto.

Il termometro, alle otto di mattina, segnava i consueti, per la stagione, meno dieci gradi.

Fottuto freddo umido, pensò l’ispettore Closet, versando nella gola una sorsata di wiskey dai toni ocra, dalla bottiglietta da sessanta centilitri che teneva abitualmente nel vano porta oggetti della sua vecchia utilitaria, prima di abbandonare controvoglia il caldo secco prodotto dall’impianto di riscaldamento, e uscire all’esterno, nel piazzale sterrato dell’edificio in costruzione.

L’impermeabile pastello che indossava abitudinariamente ai tempi del servizio a Miami, era evidentemente troppo leggero per i rigori invernali del clima londinese. Ma se ne guardava bene dall’abbandonarlo per qualcosa di più confortevole, così come, non evitava mai di indossare, in servizio, il doppiopetto gessato grigio, sopra la camicia rosa e la cravatta, inconfondibile, con la stampa della Union Jack.

Un segno di rispetto per il popolo ospitante era solito dire, giornalmente, quando lo sprovveduto di turno, se ne usciva con l’immancabile ottusa e scontata domanda.

Il morto, meglio dire, la morta, era stata composta, dall’assassino, dietro un accumulo di materiale di riporto, nell’angolo più estremo della palestra in costruzione.

L’edificio si presentava come una colata grigia e metallica di cemento. Spesse colonne ai lati, sostenevano ad un altezza di cinque o sei metri, una passerella perimetrale, che nell’intenzione del progettista, si suppone, dovesse fungere da tribuna d’osservazione per lo scarno previsto pubblico, formando una sorta di colonnato greco, dalle rigidità tipicamente fasciste.

Sulla sommità, spesse travi prefabbricate a ti rovesciata, creavano una copertura dai toni tipicamente industriali.

Sgranchitosi le ossa anchilosate dalle ore di viaggio autostradale ( quando alle cinque e venti della mattina o meglio, per lui erano della notte, il capo della polizia cittadina lo aveva tirato giù dal letto, si trovava in una non nota casa di campagna, in compagnia di una altrettanto non nota, per lui, certa ragazza di colore tale Mary Doppia V Preston detta Coscia Pressa) e asciugatosi con il dorso della mano un rivoletto di wiskey che gli era colato dall’angolo della bocca giù sul profilo sbarbato del mento, l’ispettore Closet si avviò all’interno dell’edificio, attraverso un tunnel più stretto, che conduceva, agli spazi più ampi, alti e luminosi, della palestra.

I primi flebili raggi di sole filtravano in alto, attraverso una fila di finestroni fissi disposti lungo i lati più corti, creando un effetto apprezzabile, di fasci luminosi regolari scomposti nell’aria polverosa che vorticava sotto il soffitto, mossa dalle correnti d’aria che si inseguivano fra le varie aperture sull’esterno.

Il terreno era un misto di macerie di demolizione e materiali di riporto e frantumati di fiume, nel quale, le impronte gommate dei mezzi d’opera, si erano impresse e poi solidificate al gelo, come orme nella neve.

Ne risultava una superficie sconnessa, sopra la quale le caviglie dell’ispettore, contenute nelle leggere e sensibili come un calzino, scarpe da tennis bianche, rischiarono più volte di cedere.

Quando videro la sua figura alta e ciondolante e così variopintamente vestita, fare l’ingresso sulla scena del crimine, i ragazzi in servizio, raggruppati nei pressi del cadavere nell’angolo opposto a quello d’ingresso, iniziarono una serie di sguardi di scherno, sorrisini sarcastici e gomitate nascoste ad attirare l’un l’altro l’attenzione.

In effetti, la notorietà dell’ispettore, soprattutto tra i livelli più bassi dell’Anticrimine, era più dovuta ai suoi modi bizzarri che alle comunque, innegabili, capacità investigative.

Il Capo della Polizia cittadina diversamente, quando lo vide arrivare, scavalcando con agilità il nastro delimitatore giallo, posto a quadrato attorno al luogo del delitto (o al luogo del ritrovamento sarebbe più ipotizzabile e corretto dire), gli si fece incontro a lunghe e nervose falcate. Era un tipo giovane e dal cervello sveglio, ma dopo quest’ultima serie di delitti in sequenza, la pressione della stampa e dei superiori per la mancanza di sviluppi, gli stavano facendo perdere lucidità e sonno.

La presa della mano dell’ispettore gli fece scricchiolare le ossa come sempre e una vampata di etile gli soffio le narici quando apri bocca per salutarlo.

:- Tenente Capo Mcfarley.

:- Chiamami Berry per favore Blood.

:- Va bene Tenente Capo Berry Mcfarley. Potresti mandare qualcuno ad accompagnare a casa la signora Mary Coscia  Pressa che sta fuori nella mia macchina? Dì che le diano anche le duecentocinquanta sterline del servizio.

:- Cazzo Blood. Mi farai licenziare. Te l’ho detto che non posso continuare a passare i compensi per le tue puttanelle come spese di trasferta. Giù in centrale stanno già iniziando a storcere il naso quelli dell’Amministrazione.

:- Mettila così Tenente Capo Berry Mcfarley. Quando la smetterai di buttarmi giù dal letto in piena notte, le potrò accompagnare a casa io con calma e allora metteremo i costi, nelle spese di rappresentanza. Su, ora datti da fare, che a quella fumavano le chiappe per la stizza.

:- Okkey okkey Blood. Ma te vedi di scoprire qualcosa. E’ gia la quarta ragazzina che ci fanno fuori questo mese. Se non do qualche sviluppo in centrale, a breve avrai tutto il tempo che vuoi per spassartela con Coscia Pressa e io tutto il tempo che vorrò per riaccompagnartela a casa.

:- Non sarebbe affatto male Tenente Capo Berry Mcfarley. Affatto male.

:- Vaffanculo Blood. Ho moglie e due figli.

 

 

 

L’ispettore Closet cavò di tasca la bottiglietta e si scolo un lungo sorso. Avvicinandosi al cadavere, chiese da accendere a uno dei ragazzi di pattuglia che erano arrivati per primi sul luogo del misfatto. Aspirò una lunga boccata aromatica dal sigaro, prima di buttare gli occhi sul cadavere.

Gran bella pupa pensò.

Il corpo era stato adagiato orizzontale, dietro un cumulo umido e dai toni vivacemente marroni, di sabbia e ghiaino.

Le braccia aperte a croce e le gambe oscenamente divaricate.

Nudo, se si escludono i due pezzi davvero raffinati di intimo nero in pizzo che stagliavano per risalto, sul bianco lattiginoso e naturale della pelle, un paio di scarpe laccate rosse dal tacco altissimo e lo smalto, sulle unghie.

Il trucco pesante difettava improponibile, con i lineamenti ingenui del volto, ovale e immaturo, racchiuso dentro una cascata di capelli rossi e lisci, raccolti a coda.

Il cadavere era integro, se si escludono le nove dita delle mani, tagliate all’estremità, all’altezza della seconda falange, e poi disposte, secondo uno schema regolare di file di tre, sulla pancia piatta della vittima.

All’unico dito rimasto attaccato, l’indice della mano destra, era legata con uno spago, la carta d’identità.

Le unghie delle dita disposte sopra la ragazza, erano smaltate di due colori diversi. Un rosso luccicante e dall’aspetto ancora fresco, con piccoli puntini luccicanti e un nero laccato e quasi riflettente. Le dita nere, erano state disposte, secondo una fila lineare di tre, lungo la diagonale della scacchiera.

Le falangi moncate, erano doviziosamente curate, con una notevole profusione di cerotti e garze sterili.

L’ispettore si inginocchiò, prendendo  e rigirando fra le dita, la tessera con i dati della ragazza.

Pauline Beauty.

Anni 19.

Sant. James Street 171/A – Chelsea P.A. – London.

 

 

Gran bel paio di tette figliola.

Peccato. Ci avrei fatto un pensierino.

Rimettendosi in piedi, si diede una sistemata alla patta dei pantaloni.

Quel contatto ravvicinato lo aveva abbastanza ringalluzzito, considerato che, nella notte, aveva dovuto interrompere a metà, la consueta attività, data la chiamata del Tenente Capo dalla centrale. E gli era rimasto un che di insoddisfazione.

:-Qualche idea ispettore? Gli chiese qualcuno.

:-La quarta in un mese è più che un idea. Tutte ragazzine timide con problemi a relazionarsi, probabilmente succubi di genitori troppo autoritari e possessivi, che impediscono qualsiasi contatto con l’esterno. Genitori ottusi e probabilmente dalle scarse possibilità economiche, sicuramente santi cristiani praticanti dall’animo represso. Credono che soffocare le figlie sia il modo migliore per tenerle a bada. E poi queste che ti fanno? Si infilano nella rete, beccano il tipo giusto, due paroline di apprezzamento, queste iniziano a fantasticare e annusano la libertà, un appuntamento di nascosto e zac…eccolo qua che il fottuto senso di protezione va a putttane…un lenzuolo bianco e una cassa di legno in cambio di una figlia casa e chiesa.

 

 

 

La signora Grimaldine Hamilton uscì dalla vasca da bagno che il pomeriggio andava oscurandosi, dopo più di un ora di immersione languida, ancora avvolta dai vapori speziati dei sali da bagno e ebbra dei fumi degli incensi che aveva lasciato bruciare. Le candele agli angoli della grande vasca ovale, avevano completato tutto il loro corso, spegnendosi infine e solidificando un ultimo strato di cera rossa, sul portacandele argentato.

Con i piedi nudi e bagnati che scricchiolavano sul pavimento in legno, lasciando delicate orme di dita e talloni che evaporavano poi, rapide, nel calore del camino accesso, coperta solo di un accappatoio nemmeno allacciato in vita, camminò attraverso il soggiorno mansardato del grande attico, fino ad affondare infine, nel divano in pelle nera, che avvampava dei riflessi delle fiamme, del camino posto di fronte.

La signora, anzi signorina Hamilton, era l’ultima di quattro figlie di una ricca, nota ed apprezzata, famiglia londinese dell’alta borghesia. Come spesso accade, in una famiglia perfetta, vi è sempre un elemento ribelle, che esce dagli schemi imposti, che tradisce le aspettative, che rema controcorrente.

Grimaldine aveva fatto di più.

Aveva capito sin da subito, che lo spirito di ribellione che le ardeva dentro, messo allo scoperto, le avrebbe creato un sacco di grane. Grane economiche diciamo. E a lei la comodità e la sicurezza, che i soldi del padre le potevano fornire, piacevano dannatamente.

E così, si era specializzata in una sorta di doppia esistenza.

Si era lasciata guidare dalle volontà del padre, che la fece studiare nelle università più prestigiose, per poi piazzarla gradualmente, tra una conoscenza e una bustarella e una raccomandazione, negli uffici più importante della City, fino al punto d’arrivo degli ultimi anni, il rettorato dell’esclusivo college femminile di Highbury Park, fiore all’occhiello della cultura inglese.

E aveva vissuto e continuava a vivere, i suo desideri più disinibiti e abilmente occultati, nelle pieghe nascoste, delle sue giornate e delle sue notti.

Ma se negli anni giovanili del praticantato e delle prime esperienze nei più rinomati uffici della Londra bene, non vi era stato imprenditore, politico, amministratore o personaggio ricco e noto in genere, che non fosse finito almeno una volta nel suo letto, dai tempi della sua nomina a preside della facoltà, i suoi gusti erano decisamente cambiati.

Ricordava lo sconvolgimento delle carni dei primi giorni di lavoro, quando, l’impatto con quei corpi perfetti di ventenni fintamente inesperte e innocenti, fasciate in abiti d’alta classe, che si sfidavano a colpi di bellezza esposta, in una gara di predominio  finanziata dalle ricche famiglie di appartenenza, le mandava in fibrillazione il corpo, squassato da fitte di piacere incontrollabile e sconvolto da pensieri lascivi.

La signorina Grimaldine Hamilton era evidentemente malata da questo punto di vista.

Dimostrabile dal fatto che, arrivata in perfetta ed invidiabile forma fisica alla soglia dei quarantatre anni, notevolmente ricca e con agganci e conoscenze di alto rango, assolutamente indicabile come uno dei migliori partiti dell’intera Inghilterra, nessuno dei, diciamo pure centinaia di uomini, che l’avevano avuta, aveva trovato poi forze o coraggio o resistenza, per rimanerle a fianco, più di una notte.

Sdraiata sul divano, con le caviglie appoggiate sul basso tavolino in cristallo, colmo di bottiglie di alcolici e bicchieri precedentemente usati, in parte alcuni ancora pieni, in parte alcuni con evidente tracce di rossetto sui bordi di cristallo, con la mano sinistra reggeva un vecchio quadernetto a quadretti di scuola, mentre con la destra, dopo aver tracciato due doppie righe verticali parallele, incrociate con due orizzontali, si esercitava veloce nello stupido gioco del tris.

Sin da bambina, annoiata dai lunghi pomeriggi trascorsi tra i saloni del castello residenza di famiglia, quello era stato il suo unico passatempo. Giocava da sola, riempiendo pagine e pagine di quaderni, come esattamente si trovava a fare ora.

La faceva rilassare in genere.

Ma stasera no.

La notte le aveva lasciato nuovamente quell’insoddisfazione fisica, che ora la rendeva nervosa e irritabile.

Ultimamente le sue ragazzine (era così che era solita chiamarle) la stavano deludendo parecchio.

Accettavano i suoi appuntamenti, apparentemente disposte a tutto per la loro padrona. Ma poi, arrivate al dunque, finivano sempre col farsi sorgere dubbi e paure e tentennamenti dell’ultim ora.

La disinibizione, i pensieri perversi, le fantasie dominatrici e le proposte sessuali esplicite che la signorina Hamilton proponeva loro, passo dopo passo, dopo averle adescate approfittando del potere che la figura di Rettrice le disponeva, trovavano risposte accondiscendenti e via via sempre maggior gradimento, tra quelle ragazzine in piena enfasi ormonale inappagata.

Ma spesso, le convinzioni certe dei contatti via mail e delle telefonate nascoste, diventavano dubbi, ripensamenti e folli paure, al momento di mettere materialmente piede, nel mondo perverso dell’attico della Rettrice.

E lei, quando le sue Serve non si attenevano ai suoi ordini, era costretta a punirle.

Così era stato anche quest’ultima notte, quando la rossa Pauline, si era dimostrata sì servizievole, ma assolutamente incapace di darle quel piacere, quell’obbedienza, nella quale si era impegnata.

Pauline in realtà, non era una delle studenti del college. Era una tipetta sempliciotta e sciatta alla quale un pomeriggio Grimaldine aveva dato un passaggio. Ne aveva capito le barriere fragili e l’assoluto bisogno di rapportarsi con qualcuno.

Era stata una preda facile da adescare.

E con gli indumenti giusti, quella notte, non aveva nulla da invidiare, alle ragazze bene, di Higbury.

Peccato che.

Troppo desiderio inappagato le ardeva ancora dentro e i suoi giochetti non riuscivano a distrarla. La mano scivolò più volte nervosa, dal ginocchio lungo la coscia.

La signorina Grimaldine Hamilton decise di uscire a cercare un uomo. Nessun uomo in particolare.

Il primo che avrebbe trovato. Non avrebbe fatto alcuna differenza.

 

 

 

Erano circa le venti e l’ispettore Blood Closet stava bevendo l’ennesimo Irish Wiskey delle ultime ore, appollaiato su uno degli sgabelli del bancone, nel pub che era rimasto semideserto per tutto il pomeriggio.

La mattina era stato costretto a una levataccia per motivi urgenti di lavoro ed ora non chiedeva altro che un po’ di tranquillità, dell’alcool e semmai più tardi, una puttanella, per riflettere con lucidità sul suo caso.

La porta si aprì e un avvenente signora sulla quarantina, fece il suo ingresso all’interno del locale.

:-Che mi prenda un accidente. Pensò l’ispettore Closet.

:-Per questa mi ci vorranno cinquecento sterline. E poi chi lo sente il Tenente Capo. Altro che spese di trasferta. Dovremo inventarci qualcosa d’altro questa volta.

La signora si mostrò estremamente disponibile e accetto di buon grado l’invito. Bevettero a lungo, chiacchierando di situazione politica ed economia in crisi e di un sacco di inutilità, che sembravano uscire naturalmente e senza sosta dai pensieri di uno e dell’altro, senza dare la possibilità all’ ispettore, di trovare un punto di svolta e portare il discorso su argomenti più proficui.

A questo punto, annoiato, troncò i preliminari.

Si tirò in piedi sistemandosi l’impermeabile beige alle spalle. Nonostante la copiosa bevuta, si reggeva agile sulle ginocchia come un ragazzino.

:-Senti pupa. Sussurrò all’orecchio dell’avvenente signora. :-sono un ispettore di polizia e mi andrebbe volentieri un indagine fra le tue cosce. Posso procedere?

Di solito a questo punto, queste avevano sempre qualcosa da ridire.

:-Assolutamente sì. Mi porta in centrale o andiamo da me?

:- Cristo pensò l’ispettore Closet. Sta diventando troppo semplice con queste troiette. Bisogna che un giorno o l’altro mi dedichi a una donna vera.

 

 

 

:-Qualche indagine interessante ultimamente ispettore Closet?

:-Interessante quanto può esserlo un maniaco che taglia le dita a graziose figliole.

:-Si versi qualcosa da bere e si metta a sedere, mentre mi metto comoda.

Niente male la bicocca pensò Closet. Al giorno d’oggi queste qua fan più soldi dì un industriale d’armi.

E qua abbiamo il re dei sovvenzionatori, aggiunse ridendo fra se e se.

Fece un giretto per l’ampio soggiorno fino in cucina, cercando qualcosa da mettere sotto i denti e del fuoco per accendersi il sigaro.

La cucina, rispetto al resto della casa, sembrava un villaggio di pescatori sulla spiaggia, rovesciato da un qualche uragano.

Un coltello da carne sporco sul tagliere in legno, boccette di smalto, trucchi, garze sterili sparse sul piano cucina…e tutt’attorno..

:-Non badi al disordine, ultimamente sono sempre di fretta.

La signorina Hamilton si era messa comoda (completamente nuda si ipotizza dovesse essere comoda) ed ora se ne stava sdraiata su un fianco, lungo il divano in pelle. Con una matita tracciava dei segni veloci su un quadernetto a quadretti di scuola.

:-Pro memoria per il lavoro? Chiese l’ispettore Closet avvicinandosi.

:- No no, un semplice passatempo rilassante, rispose lei, porgendogli nel contempo, il quadernetto da osservare.

Quelle serie ordinate a tre a tre di crocette e pallini, che in alcuni casi, ed in altri no, erano ordinati, tra le due e parallele, righe orizzontali e verticali, in modo da formare una serie consecutiva di tre, gli ricordavano qualcosa.

:- Si ma cosa? Stava pensando fra se e se l’ispettore.

Cercò di fare mente locale, concentrandosi su una serie di immagini, che in flashback, gli rimbalzavano negli occhi. Ma ogni tentativo, di accostare quelle serie grafiche semplici, a qualcosa di reale, si interrompeva nel tragitto nebbioso, occhi-mente.

Poi Grimaldine fu improvvisamente in ginocchio davanti a lui e il quadernetto ed i pensieri allegati, finirono spiegazzati sul pavimento, come cartaccia inutile trasportata dal vento assieme alle foglie rossastre, lungo un viale alberato autunnale.

 

 

 

Era circa mezzanotte quando il telefono dell’ispettore Closet iniziò a suonare. Era a letto, sdraiato su un fianco.

Naturalmente era il Tenente Capo Berry Mcfarley

Considerato che aveva la mano sinistra impegnata a tenere a bada gli ossessivi e frenetici movimenti di bacino della signorina Hamilton, mentre il braccio destro, appoggiato su un cuscino col gomito, era impegnato a sorreggere, l’equilibrio precario e il sigaro fumante, ci mise un po’ a rispondere.

:-Blood. Disturbo?

:-No figurati Tenente Capo Berry Mcfarley. Ero quasi in ansia non sentendoti.

:-Allora novità? Giù alla centrale mi stanno alle costole come se fossi l’assassino.

Grimaldine aumentò il ritmo delle spinte, gemendo. Nella frenesia del movimento, i capelli neri finirono a solleticare il naso dell’ispettore. Alcuni gli si appiccicarono nella bocca aperta.

:-Sicuro che non disturbo Blood?Scusami, ma è proprio che questa tensione non la reggo.

:-Ti ho detto di no. Ma senti Berry. Ora vai a casa e spassatela un po’ con quel incanto della tua mogliettina. O se preferisci fatti un giro giù a Soho.

:- Cazzo Blood!Non mi sembra proprio il momento.

:-Fidati.

:-Gli sono addosso.

Credo che l’assassino, possa sentire il mio fiato sul collo.

In quel momento cinse il fianco della signorina Hamilton tirandola a se, affondando un ultimo colpo deciso.

Una fitta folle di piacere attraversò da testa a piedi Griamaldine, scaricandosi in un tremito liberatorio.

 

 

 

Grandissimo figlio di puttana pensò il Tenente Capo Berry Mcfarley riattaccando.

Grandissimo figlio di buona donna.

 

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