Umberto Tozzi aveva ragione.

A livello personale c’è una cosa assai peggiore del vedere, ad esempio, il prematuro autunno dei tuoi capelli o l’improvvisa gravidanza della tua pancia dopo una sola birra. E’ la perdita della capacità di attirare e mantenere l’attenzione delle persone. Tecnicamente e socialmente, potrebbe essere un problema del tutto irrilevante dal punto di vista individuale, se come la gran maggioranza dei trentenni e qualcosa del paesone, tu avessi preso moglie da tempo immemore e già ti ritrovassi in casa, figli che fanno le impennate col motorino o passano sospette mezz’ore in bagno a cercare sneakers colorate sul Postalmarket.
Che ti frega di dover accalappiare nuove ed interessanti conoscenze quando la mucca della Milka ti sta  ruminando da anni e non senti alcun fastidio per potertene accorgere?
E’ l’ultima cosa a cui pensi: evitarti il fastidio di vedere qualcuno di cui non sai le coordinate gps, è il massimo che ti possa capitare. Magari tifa Inter ed ha l’obiettività tipica di uno juventino. E’ anche impagabile non dover sentire tua moglie dire “Quella stronza mi ha passato allo scanner da testa a piedi.”  Al paesone l’eventuale  insorgere di incontrollabili esigenze di ritinteggiatura degli interni, si risolve con un altro figlio o abbonandosi a Sky. Ultimamente c’è gente che si è messa a fare il footing e questo è davvero un grande passo avanti, a parte quando si mettono a correre tutti vestiti in nero, di notte sulla statale. (Per la suddivisione dello sforzo intellettivo su due funzioni contemporanee ci stiamo organizzando.)
Se sei un tipo esigente che ha delle pretese nei confronti dalla vitaccia,  – un pretendere un certo ritorno a fronte del continuo dare, –  tutto quanto sopra va naturalmente a remengo. La zitella over quaranta che ai tempi si impalmò il mio miglior amico non ancora trentenne, un giorno mi disse: dovresti imparare ad accontentarti. Mi sono sempre chiesto che cosa abbia fatto lei fino a quel giorno, ma evitai di farglielo notare.
Il baffuto Friedrich diceva: ok, è evidente non ci sia questo granché di scopo, e quindi viviamola al massimo. Bè,  – il massimo –  è dell’evidente sarcasmo niceliano, ma quel che conta è il concetto. Mi pare indiscutibile che al di là dell’impegno personale, una buona parte della riuscita dell’impresa possa essere data dal rapporto di collaborazione ed interazione con le persone con cui scegliamo di circondarci. Peccato le persone non paiano essere molto propense alla condivisione ultimamente, se non di qualche nota di facebook parecchio divertente.
Umberto Tozzi aveva ragione. Siamo gente di mare, che se ne va.
Un popolo di ipotetici santi e marinai, tutti in chiesa alla domenica mattina e il resto dei giorni su sette banchine diverse, per non farci ritrovare dall’illusa di turno, per non rischiare malattie veneree sempre dalla stessa signora. E’ un po’ così, questa nuova epoca dei social a larga banda, credi di essere non peggiorato, maturato se non altro nella tecnica, sgamato  e più consapevole (anche del fallimento). E invece niente, è come fare l’autostop durante il gran premio di Monza, al massimo ti raccoglie il netturbino al lunedì all’alba, con i capelli scompigliati dallo spostamento d’aria e il pollice non più eretto. Non riesco ad andare oltre la seconda mail, oltre i quattro mi piace, oltre un commento che pareva brillante ed invece è più fuori tema di un compito di italiano di seconda liceo, in cui hai confuso Il Leopardi con un felino. Le persone non si fermano ed è indifferente se sia il disinteresse, l’essere in overdose o la ricchezza di proposte del mercato libero. La ricerca della risposta ti aiuta solo ad occupare il tempo che non hai avuto la possibilità di spendere diversamente. Ti senti un po’ come una prostituta a fine carriera, impossibilitata a vendersi ancora, ma imparata a fare solo quello. E’ un Viale del Tramonto al contrario, un remake senza bianco e nero e gran scalinata, in cui, come una moderna Norma Desmond, ti tocca prendertela con il nuovo che avanza, il passaggio-ritorno dal parlato, al film muto.

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