UN ARGOMENTO LEGGERO. IL SUICIDIO DI MASSA.

Così ad occhio mi sono fatto l’idea che in giro ci siano meno suicidi di quanto si potrebbe prevedere, visto lo stato – infimo – della situazione. Rimaniamo una civiltà poco civile che in risposta al suo stesso malessere, preferisce uccidere, invece che levarsi personalmente di mezzo. In fondo ci posso anche capire. L’egoismo è sempre in voga, perfino una cosa utile se si tratta di dare alla pellaccia dell’ulteriore tempo d’attesa. La speranza di tempi migliori. Una botta di culo. O comunque, come dire, sempre meglio questa certa inutilità che l’insaputa post morte. Così gli amanti respinti, non si uccidono più per amore. Accoltellano l’amore. I poveri non si lasciano sopprimere dagli stenti. Assaltano le forniture. I falliti non falliscono, rubano maggiormente. Qui il romanticismo è andato a puttane. La sofferenza, l’angoscia, lo sporco fra le dita, il sangue e i vestiti logori, polvere e sudore non esistono più come valore. Non sono più il finale dell’esistenza. Ne sono solo un intermezzo causale. Quest’inutile attività che è la vita, maestra di sofferenze non lo è più. E’ un professorone di crudeltà. L’essere umano quindi lo posso anche capire. Gli fanno fermentare dentro l’ira, tenendolo rinchiuso in una barrique da cinquanta litri. Si fa un vino rosso sangue, solo alcolico, che da alla testa. Da ubriachi, si perde l’eleganza, un tempo non si perdeva il raziocinio, ora si. Stress sociale, vuoto indotto, control failure. Il suicidio è stanchezza non riposabile, è insofferenza non lenibile, è disinteresse puro. Mi domando come mai sia così di rado, curiosità. Ce ne andiamo sbattendo la porta, semplicemente stanchi degli interni ma non stuzzicati dall’attrattiva esterna. Il buio oltre non ha sufficiente fascino. Le lascive definizione religiose, non convincono. Di la sarà semmai la stessa merda. L’abitudine alla stabilità è oltremodo contagiosa, magari ci succhia semplicemente il midollo, ci leva le palle. L’assurda bellezza del vivere sta nel fatto che più peggiora, più affondiamo le unghie per mantenerci aggrappati. E’ la corsa per non perdere il tram che ci porta al lavoro. Dobbiamo passare due terzi della vita a lavorare e dormire. Poi ci sono i resti confusi di un pranzo su una tavola in penombra, un fascio di luce attraverso la finestra, un cane spelacchiato che rosica un osso sul tappeto, due paia di mutande lungo il corridoio. Strani gemiti e cigolii oltre una porta socchiusa. Gli orgasmi e la digestione possono essere fatali, per mantenerci in vita. L’appagamento fisico, tutto qui, questo è lo scopo, non avendo uno scopo. Il fine potrebbe essere la fama, ma novantanove su cento è evitare la fame. Mi stupisco di quanto teniamo duro. Forse la coscienza di avere avuto per le mani un gran giocattolo, mandato in frantumi. Forse l’attesa di un tecnico riparatore. Gattoniamo sul pavimento nel frattempo. Un gioco è bello quando dura poco. Un ottantina d’anni di media, d’attesa, si possono sopportare. Potrebbe essere una domanda. Si possono sopportare?

13 Risposte a “UN ARGOMENTO LEGGERO. IL SUICIDIO DI MASSA.”

  1. ti adoro quando scrivi così … e quanto sono vere le tue parole! il nobile gesto di autoeliminazione quasi eroica è deceduto assieme al rispetto per gli altri, che diventano l’oggetto distorto dell’ira.

Lascia un commento

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.