UN BIGAMO SENTIMENTALE

Dopo che, con l’alba alle porte, si furono salutati attraverso gli occhi, o forse erano i finestrini, appannati delle rispettive automobili, e dopo che lui le ebbe mandato un bacio soffiato dalle punte delle dita della mano destra, la Signorina Jennifer Luise Alliston, chiamiamola Jenny,  credette che avrebbe dovuto baciarlo. Pensò che avrebbe voluto. In effetti lo desiderava ardentemente.

Anche lui, lui era l’ingegnere  Gianni Maria Pozzi, italiano d’importazione, desiderò averlo fatto. Ma per una serie di pensieri ed eventi incrociati e sovrapposti, solo il pomeriggio dopo, mentre se ne stava bocconi sul suo letto ad ascoltare Barry White e cercare di tamponare la sua faccia con qualche ora di sonno, il pensiero lo sovvenne con un intensità tale, da fargli mancare il respiro.

E si trovò con le labbra sul cuscino, a boccheggiare come un pesce, cercando il suo respiro, probabilmente caldo di fragola o speziato di fumo, che gli riempisse quel vuoto d’aria e desiderio, che a distanza d’ore lo aveva colto.

La Signorina Jenny lo aveva guardato allontanarsi con la sua automobile, più adatta ad un giovinastro che all’uomo che ormai era, sospirando pesante dentro il petto gia abbondante di suo.

Avrebbe potuto prendere l’iniziativa, tirarlo a se e semplicemente baciarlo, contravvenendo alle più classiche regole dell’approccio.

D’altronde lui glielo aveva detto più che chiaramente.

Lui. Lui che tipo improvvisamente eccezionale. Un totale e puro inesperto pratico. Ma di una consumata riveduta e corretta esperienza mentale.

Erano stati così bene e il tempo che era volato ne era la dimostrazione e pure le distanze, che seppur fosse solo il secondo appuntamento, si erano presto annullate.

Chissà perché lei aveva cercato quel contatto fisico.

Quella storia del solletico non si ricordava da dove avesse tratto origine. Ma poi quello sue unghie finte sul suo fianco destro lo avevano fatto trasalire e gli avevano mandato certe scosse dritte lì. Al cervello si intende.

Si tirò a sedere sul letto e si mise a immaginare l’espressione, sicuramente buffa, che doveva avere, mentre la fissava senza dire niente a due palmi di naso. Lei aveva chiesto a che pensava. Le aveva risposto in effetti una grossa bugia. Non stava affatto pensando a niente. Lei lo aveva capito e voleva probabilmente sentirselo dire.

Ogni donna vorrebbe sentirselo dire.

Lei non era del tutto certa. La situazione aveva preso quella piega lì, con una certa, incontrollata velocità. Probabilmente entrambi non erano pronti. Nemmeno sapevano se lo volevano. 

Sta di fatto che lui stava semplicemente per la prima volta fissando una donna negli occhi e i suoi, di occhi, pensavano troppo velocemente per poterne decifrare e trascrivere le intenzioni. Il giorno dopo ci furono momenti in cui lui desiderò che fosse il giorno prima. 

Aveva alcune varianti da dare alla serata.

Innanzi tutto l’avrebbe baciata. A quel semaforo. Era così chiaramente disposta.

Stupido, stupido, stupido. Baciò il cuscino riempiendosi il petto di aromi di fiori di lavanda. Usava un ottimo ammorbidente.  Per un attimo pensò pure di scriverglielo. Non che usava un ottimo ammorbidente si intende. Poi pensò che in fondo, l’avrebbe rivista presto. Sarebbe riuscito ad aspettare?

Lei pensò più o meno le stesse cose. Ma le mancavano un tot di certezze. In questi casi l’impazienza è un moto perpetuo tendente all’accelerazione. L’attesa della prossima occasione le sembrava uno spreco di tempo. Provò ad immaginarsi come sarebbe stata la giornata, con i cambiamenti che lei avrebbe apportato alla serata precedente.

Innanzi tutto lo avrebbe baciato.  Al semaforo? Qualsiasi posto sarebbe andato bene.

Era così stupido, stupido, stupido. Una stupidissima ed ingenua, originale e dolce inesperienza.

In parziale recupero delle occasioni perdute, gli mandò dei messaggi carini ed abbastanza accondiscendenti. Più di quanto non avesse mai fatto prima. Lui fece altrettanto. Li lesse e gli rispose per le rime mentre era fuori per shopping, con la signorina Breston Mary Natalie. Chiamiamola Naty.

Era passato a prenderla tre ore dopo essere rincasato dal precedente appuntamento.

Niente da nascondere per la verità, ma per prudenza aveva restaurato la sua faccia, con un barattolo di cremina tonificante, ringiovanente e rinvigorente. Aveva appeso le palpebre con del nastro adesivo per tenerle aperte.

In effetti la sera precedente lui avrebbe dovuto. Certo. Una cena di lavoro e poi fuori con. Oddio. Erano i clienti o gli amici? Per ulteriore prudenza, passò a prenderla con una rosa. Aveva anche aperto un ambre magique al mentolo. Jenny aveva un profumo divino. Gli pareva di sentirlo ovunque. Fortunatamente avevano lo stesso colore di capelli. Questo gli evitò di alzarsi, o praticamente di non andare nemmeno a letto, per eseguire una pulizia scientifica dell’abitacolo.

Per essere agli inizi, la cosa non era nemmeno così complicata.

Lo sarebbe divenuta?

Naty si coccolò le sue parole brillanti della prima mattina durante tutto il tragitto e si disse davvero fortunata.

Lui. Lui. Che tipo improvvisamente eccezionale. Un totale e puro inesperto pratico. Ma di una consumata riveduta e corretta esperienza mentale.

Uscito così dal nulla la aveva fatta sciogliere per tutta quella serie di cose per cui di solito, un uomo ti fa al massimo sudare le ascelle. Gentilezza, dolcezza, insicurezza, timidezza, assoluta inesperienza, un certo rigore morale, una fantasia illimitata, un ottimo controllo delle argomentazioni, una simpatia innata, una volontaria sottovalutazione di se stesso, il credo nelle proprie potenzialità. Tutto sommato era anche carino. Forse non della bellezza classica. Ma di una qualche altra epoca artistica sottovalutata nei millenni solo per motivi pubblicitari e di rendiconto televisivo.

Era di una bellezza preistorica. Molto curata considerate le scarse disponibilità.

Non si erano ancora baciati. Quello era il loro secondo appuntamento.

La signorina Breston Mary Natalie si chiedeva quando sarebbe successo. Lo desiderava ardentemente. Semplicemente anche ora che lo stava attendendo fuori dalla toilette maschile.

Sapeva che lui non era il tipo da fare il primo passo. Lui sarebbe rimasto lì immobile in attesa che qualcosa lo investisse, o che arrivasse almeno il furgoncino della rimozione forzata a trascinarlo altrove. Probabilmente dentro un auto recuperi, considerato che allora, sarebbe stato, vecchio, solo ed inutilizzabile a furia di attendere.

Uscì dal bagno (nelle tre ore tra un appuntamento e l’altro aveva per forza di cose dovuto tralasciare l’esecuzione di alcuni atti fondamentali all’umana sopravvivenza) e la vide di spalle, intenta ad osservare la vetrina di una gioielleria.

Aveva la testa inclinata verso la spalla sinistra e i capelli le lasciavano scoperta, nella particolare postura, la base del collo. Pensò di raggiungerla silenziosamente da dietro, cingerle i fianchi, poggiare le sue labbra su quel colo flessuoso e sussurarle

:-Tesoro, ti stai specchiando?

Gli parve un idea brillante e si disse che  era la cosa che più voleva al mondo.

Era incantevole anche vista di spalle e avvicinandosi, si perse centimetro dopo centimetro, dalle caviglie ai capelli, dentro il suo profilo.  Quando le fu a fianco, ad una certa distanza, guardo la vetrina e le disse

:-Meraviglioso quello orologio di CK. Credo che per natale mi farò un bel regalo.

I loro occhi si incontrarono tra le luci riflesse della vetrina e sembrarono tutti e quattro prendere un grosso respiro. L’indecisione e la voglia di certezze regnavano nell’aria satura di pensieri elettrici e scariche d’adrenalina. Il loro segnale era decisamente disturbato dalla loro stessa attrazione gravitazionale, seppur fosse sintonizzato sulla medesima frequenza.

Era ormai mezzogiorno e l’ingegnere Gianni Maria Pozzi si aggirava per i corridoi luminosi del centro ai lati dei quali le vetrine si mostravano spregiudicate come delle puttane commerciali con tutta la loro mercanzia in bella mostra. Era carico di pacchi, pacchetti e confezioni.

Si godeva la vicinanza fisica di Naty,  quella mentale di Jenny e gli sguardi furtivi che più d’una, gli lanciava.

Era un periodo nuovo, entrato così dentro al sua vita, appena lui s’era aperto un po’. Appena aveva avuto la possibilità di farsi vedere. Ed era arrivato un certo, inaspettato, inebriante, successo in quel campo che fino ad allora, era stata terra bruciata.

La cosa gli piaceva e non avrebbe voluto darle limiti.

Ma lui era un tipo preciso, più che altro motorizzato romantico.

E la sua sensibilità, nonostante il periodo e le precedenti attese invitassero alla più bieca prostituzione sentimentale, lo costringeva a comportarsi da galant’uomo.

Due sarebbero state più che sufficienti, pensò. Due era il numero perfetto.

Avrebbe avuto tutto il tempo, per dedicarsi ad entrambe, senza trascurare ogni minimo dettaglio o necessità, assicurando la propria piena presenza e disponibilità.

Cercò di convincersi sciolinando a se stesso queste valide rassicurazioni, ma in cuor suo ben sapeva che il problema, la causa del particolare momento era un’altra.

Non era in grado di fare una scelta. Non vi era possibilità di fuga. Era caduto preda. Era stato fuggiasco per troppo tempo. 

Una volta catturato, ora non chiedeva altro che rimanere lì, a riprender fiato. Pur per quante fossero.

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