UN TIZIO SCONTROSO

Se ne girava, strascicando le suole svogliatamente sull’asfalto e di tanto in tanto dando qualche calcio vuoto a mezz’aria alle foglie secche, con le mani e le braccia affondate dentro le tasche dei pantaloni.

Dovevano essere un bel po’ profonde a giudicare da quanto avambraccio vi ci sprofondava all’interno.

Allo stesso tempo aveva anche degli arti superiori un bel po’ lunghi, sempre a vederlo così fuori dalla scena, perché usando come appoggio il fondo delle tasche, spingeva le spalle in alto e in largo tanto che la testa vi scompariva, ciondolante verso l’avanti, all’interno.

Le labbra tirate sulla guancia sinistra in una smorfia sconsolata, il mento  dubbioso raggruppato su se stesso, la fronte corrucciata in rughe alte un dito.

Aveva l’aria di uno con un tot di pensieri in circolo. Ma anche l’aspetto di uno che i pensieri li ha capiti, e la camminata di chi però, non gli va nemmeno di risolverli.

Era semplicemente così probabile, un prendere atto della situazione e non farne un dramma.

In effetti camminava troppo sciolto per avere delle grosse grane. Metteva un piede davanti l’altro, sulla stessa linea, sfregando le cosce ad ogni passo. Passi lunghi e gambe secche, le mani aderenti al tronco che rotavano col busto. Spalla destra avanti, spalla sinistra avanti. Alternate.

Si, a vederlo bene, o simulava distacco con efficacia, o aveva voglia di prendere la vita alla leggera.

In entrambe le circostanze, doveva essere uno in gamba per poterlo fare.

La vita pesa il suo peso specifico, più tutto il caricato nel tempo.

Dalla faccia di lui, dal profilo spigoloso e dagli occhi sottili come feritoie, si poteva tranquillamente capire che di roba a far peso, bè ne doveva aver presa su un certo quantitativo.

Si vedeva dall’ombra di stanchezza, sul fondo degli occhi e dei denti. Aveva il ghigno irriverente di uno giovane, che si diletta per sport, ma campa sottopelle, tra insoddisfazione e tormento.

Ci sono menti arroventate che stemperano calore spacciando qualunquismo. Che disperdono pensieri nocivi sputando vita quotidiana. Ma dentro ribollono di espressione inutilizzabile tenuta buona col freno a mano.

Lui guardo quel tizio che lo scrutava dal bordo strada. Non sapeva se gli piaceva essere osservato.

A osservare la gente non fai niente di male se non cerchi anche di capirla. In tal caso la fregatura è sempre in agguato.

Ma di quei tempi non gli importava nemmeno delle fregature.

Si era messo addosso una certa svogliatezza generale, un egoismo salutare e la decisione di andare per qualche chilometro solo per la sua strada, fregandosene dei terzi e dei secondi. Si era sbattuto da sempre per la gente che aveva appresso e poi quest’ultima finiva sempre per levarsi di torno.

Era quello il cruccio del giorno. Non gli sarebbe dispiaciuto capire dove stava il marcio.

Dentro di lui o addosso agli altri?

Uno, pensò, può anche non rendersi conto, di com’è stare con se stesso. Certo, uno che non si guarda mai allo specchio può fare errori di questo genere. Ma lui, lui si controllava con dovizia. E allora. Dove stava? Forse proprio nell’eccessiva minuzia? Alla gente piacciono le imperfezioni? Bha, al diavolo, potevano sempre essere gli altri a non andare. Perché tutta quest’autocritica? Si ma così tanti? Sarà un caso. Forse frequentava gente sbagliata. Capitavano tutti a lui. Tipi eclettici, gente da una botta e via, smidollati, incostanti, superficiali, egoisti, accattoni. Facce a cui piace prendere, gente che si stufa troppo in fretta, prostitute a tempo perso.

L’essere indifferente lo terrorizzava, ma anche no. In fondo erano gli altri a rimetterci. Bè non ci posso fare niente se mi piace essere osservato. E’ che vorrei anche essere capito, pensò. Il tizio lì mi guarda. Che vuoi vecchio? Che ti saluti? Salutami prima tu per una volta.

Diede un calcio più nervoso dei precedenti a un crocchio di foglie vociferanti a bordo strada.

Doveva prenderla alla leggera questa faccenda. Se lo era ripromesso.

Le foglie si fecero da parte disordinate nella loro consistenza inerme. Ecco. Leggero come delle foglie secche. Un calcio in culo e ti trovi da parte. Aveva dei gran brutti nervi e l’amaro in bocca. Ma non voleva darlo a vedere.

Il tizio, bè quello non lo salutò.

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