UNA STORIELLA SENZA MORALE, GRAZIEADDIO.

Considerato che l’abitante medio di questi luoghi impervi all’apertura mentale, è dotato di un discreto quantitativo di rigore morale standard, inteso come miscellanea delle idee civili e dei canoni di comportamento reprimenti di cui la crescita dota ogni essere umano che non riesca con un gran colpo di culo a sfuggirli, probabilmente questo resoconto farà storcere il naso a più di un illustre dei miei temporanei concittadini. Dei quali, tengo, a sottolineare, la sin qui squisita ospitalità.

Ero stato invitato al college di Reading City ad occupare la cattedra (corso pomeridiano facoltativo) di narrativa contemporanea, solamente grazie alla improvvisa fama datami nell’ambiente letterario del momento, dall’uscita e dall’immediato successo editoriale del mio primo romanzo “Is too easy for killers”, qualcosa del tipo “l’assassino ha vita facile”. Un libro che ironizzava su una società emotivamente morta nella quale un assassino aveva appunto. O forse non commetteva alcun delitto, in quanto. In più avevo infarcito il tutto con qualche capitolo di una storia d’amore, reale, capitatami e per me sconvolgente, che la critica aveva definito – la miglior storia d’amore del terzo millennio -. (Tale dichiarazione mi aveva provocato una notevole erezione poi dissoltasi in un violento attacco di sentimentalismo).

Sta di fatto che dopo un inverno irreale per quanto era reale, nel quale orari, date, luoghi e personaggi persero ogni possibilità di controllo da parte mia,  – passavo mattine e pomeriggi a promuovere il libro in ogni luogo, consono o meno che fosse, (ricordo almeno una decina di Mcdonalds, un circolo per anziani e un gran golf club reserve) e sere e notti a provare e sperimentare ogni sorta di possibilità – in genere tutte depravazioni – che soldi e notorietà mi permettevano, avevo proprio bisogno di tornare a qualcosa che più assomigliasse, alla precedente normalità. E questo mi sembrava assurdo, considerato quanto me ne ero in precedenza lamentato e quanto mi fossi, impegnato, per raggiungere il sospirato obiettivo.

Sei mesi erano bastati come periodo di prova per farmi recedere? Direi di no. Quel periodo di stacco doveva appunto essere tale. Una sorta di rifiatare. Avevo bisogno di dormire e respirare un po’ d’aria con percentuali di dollari, cannabis, umori femminili, coca e falsità perlomeno dentro il livello medio. La mia vita avrebbe messo le targhe alterne per il periodo necessario a risollevare le sorti di un ambiente decisamente inquinato.

Quando il mio agente mi telefonò per avvisarmi della possibilità di venire a Reading City – lo avevo gentilmente pregato di comunicarmi solo soluzioni che comportassero un alto quantitativo di relax quotidiano – è incredibile quanti ruoli ti sia improvvisamente permesso di ricoprire quando ti scoprono bravo in qualche cosa (le porte si aprivano arrapate come al passaggio di una puttana profumata) – erano le nove e ventuno di un giovedì mattina e stavo rientrando in albergo dopo una notte di orge e polverine trascorsa con un numero imprecisato di modelle e modelli in un altrettanto imprecisato super attico. Era incredibile, pensavo mentre inciampavo a ripetizione in cumuli di foglie secche, che visto il mio lavoro, stessi frequentando le uniche persone che dell’aspetto intellettivo, non facessero il minimo uso. Avevo trent’anni e negli ultimi duecento giorni della mia esistenza, avevo recuperato e ampliamente soddisfatto tutti gli arretrati precedentemente accumulati. La vita ha una straordinaria capacità di sintesi se la sai pagare bene.

Il primo pomeriggio di lezione, quando varcai con aria rilassata la soglia dell’aula, capii che tutto ciò che avevo prospettato, non si sarebbe mai realizzato. A parte un paio di timidi e brufolosi secchioni, il resto della classe era composto dalle più lascive e puttanelle ragazzine che avessi mai potuto immaginare. Mi preoccupai sono in altre circostanze di verificare se avessero più o meno varcato la soglia della maggiore età. La mia improvvisa notorietà tendeva a precedermi di svariate miglia e non rimaneva che prenderne atto. Mi ripromisi perlomeno, che per quei sei mesi a venire, avrei cercato di tenermi lontano dalle droghe pesanti, tanto per far si che quel periodo di disintossicazione, non andasse del tutto sprecato. A Reading City il clima era davvero mite quell’inizio primavera e si mantenne tale anche per i primi mesi estivi. Non ebbi quasi mai l’occasione di goderne i benefici se non per qualche compiaciuto sguardo dalla finestra dell’appartamento che mi era stato assegnato all’interno del campus. Per il resto le ragazzine si diedero il cambio di settimana in settimana per tenere occupato ogni momento libero della mia giornata, tarda mattinata o serata che fosse. Per il resto passavo la notte in compagnia di qualcuna della loro madri, della preside Rasberry, di alcune fra le colleghe del corpo docenti, e di Matilda, la ragazza punk delle pulizie che mi riforniva di alcolici e ottime sostanze illecite.

Il fatto che non vi fosse più possibilità di rientro, anche temporanea, dentro i vecchi binari della mia precedente esistenza, smise di preoccuparmi già a partire dal secondo giorno. Quando inizi a non porti più domande su che cosa è moralmente giusto o sbagliato, ma semplicemente lo fai, è il primo passo che fa si che la vita torni a fluirti nelle vene sotto forma di emozioni. Ne stavo parlando una tarda mattinata di maggio con Bettie, sicuramente la più attrezzata tra le mie alunne. Mi confidò che tra le ragazze, nell’aula, era in corso una competizione atta a verificare quale che, fra di loro, sarebbe riuscita a finire più volte nel mio letto.

Le chiesi quale riteneva fosse lo scopo ultimo di questa affermazione numerica.

La fama, mi disse. La volontà di potere di cui ci ha parlato e di cui parla Nietzsche. Lei è il nostro tramite, come il suo libro o le sue capacità letterarie sono stati il tramite per lei, professore. Siamo tutti destinati come scopo della vita a tentare di emergere, essere superiori. Con mezzi e metodi leciti o meno, con capacità proprie o per accostamento, tutti nel loro piccolo, nel loro grande, prima o poi cascano nella tentazione. Nonostante l’oppressione limitante di regole e controlli esterni anche in un piccolo anfratto della vita, ma per una volta, necessitiamo di dominare sopra qualcuno. E’ la regola avversa che rende impossibile l’ipotesi tanto sperata di un eguaglianza assoluta fra le persone. E’ la materia prima ad essere difettosa. Ma è così. Perseguire questa volontà è vivere, mentre l’annichilimento che la massa subisce è un annullamento dei valori che si tende a far passare per eguaglianza. Semplice e tremendo no?

Le sorrisi soddisfatto, e rinfrancato dal fatto che quello non si stava rivelando un semplice periodo amorale. ( preferirei usare la parola eticamente scorreto).

Poi mi impegnai perché Bettie potesse vincere la competizione.

 

M.T. Cronache postume per il News of the Day del 09/07/2009

19 Risposte a “UNA STORIELLA SENZA MORALE, GRAZIEADDIO.”

  1. ssssss si chiamano piantine, si chiamano, o forse erba gatta, pista le chiama così 😉 …ora ho un lavoro di grande responsabilità 🙁

    …tieni pronto Mart che oggi pomeriggio si ripropone l’esperimento che ieri è fallito

  2. marty, ma nn avevo visto che quando vai con il cursore sul mio…sul mio…sul mio comecazz’è viene fuori “BASTARD INSIDE!” e pure con il punto esclamativo. quando si dice la svegliezza 🙂

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