UNO SPORCO NEGRO

Robert non era mai uscito dal quartiere. D’altronde perché uscirne? Non c’era posto peggiore ed era il massimo che poteva permettersi. Robert era nero. Nero come il carbone. Nero come il più negativo dei periodi. Un periodo che stava durando una vita e non ne voleva saperne di smetterla. Nero come la rabbia che ti montava dentro davanti all’impotenza sul futuro. Nero come lo sporco sulla pelle. Robert faceva il netturbino. Ovviamente non ufficialmente. Aveva tredici anni. Raccoglieva rifiuti per conto di una certa società, anche se in realtà era alle dipendenze di uno zio e del fratello maggiore. Robert aveva anche un padre. Il problema era capire chi era. Nel quartiere vi era una certa flessibilità. Molto era concesso, entro o fuori il limite della normale legislazione. Governava la disperazione e le regole le dettava lo spirito di sopravvivenza. E difficilmente quest’ultimo, è d’animo gentile. C’era istinto animale nell’aria e tra le vie anche troppo larghe e le pareti degli edifici troppo lisce e regolari per l’uso che se ne doveva fare. Che era quello di nascondersi, correre, trovare rifugio, occultare, sperare, respirare affannosamente, trovare motivazioni per non mollare, guardare su l’orizzonte alto e sperare che per un giorno, non fosse violaceo e liscio come un ematoma.

Robert che era il più piccolo dei tre, era l’incaricato per la spazzatura sfusa. Tutto quello che traboccava dai sacchi. Lo zio sollevava la roba più pesante. Carlos svuotava i cestini.

I turni di giorno erano i peggiori. Si spostavano appesi a sbalzo sul retro del camion facendo resistenza alla velocità a forza di braccia. La cappa di caldo umido diurna faceva ribollire i rifiuti ed evaporarne i sentimenti. Ti riempivano le narici e ti ricoprivano la pelle, annullando ogni diversa percezione. Alla sera niente aveva più odore o sapore. Tutto era compostaggio. Tutto era bolo alimentare predigerito.

Robert non aveva mai visto un uomo bianco. Gli uomini bianchi non entravano mai nel quartiere. D’altronde perché entrarci? Non c’era posto peggiore e potevano permettersi molto di meglio.

Per quanto strofinasse, il sapone non aveva mai effetto. La pelle restava scura e lo sporco e l’odore chimico dei sacchi, banana cartacce pannolini barattoli di fagioli lattine imballaggi avanzi di pasto – no avanzi di pasto no, si mangiava tutto nel quartiere – sesso consumato ormoni muscoli sudore urina violenza povertà sacrificio illusioni disillusioni bocconi amari lacrime – no lacrime no, non si piangeva mai nel quartiere – nero nero nero sopra nero non volevano saperne di abbandonare quella sua faccia e quelle sue braccia.

Chissà a quale strato di profondità avrebbe trovato il pulito.

Chissà. Intanto continuava a strofinare ma ogni volta che gli sembrava di essere a buon punto, ogni volta era l’ora di ricominciare. Altri sacchi, altre giri appesi al camion con il lezzo sulla faccia, altro sporco sulla vita.

Ah, quanto avrebbe voluto una giostra profumata sulla quale ruotare, ruotare, ruotare fino a prendere il volo. Essere scaraventato lontano da li. In alto o di lato non era importante. I colori primari in sequenza fatti ruotare rapidamente, danno il bianco.

Colore da bianco. Nero da nero.

Gli uomini bianchi erano veramente diversi. Erano sorridenti tra di loro, con vestiti eleganti e senza pieghe e sapevano tutti di fiore, cannella, detergenti, spezie, bucato, sicurezza, supponenza, denaro, prepotenza, abitudine, ristorazione, cure mediche, grandi magazzini, sigarette e sentimenti senza passione.

Robert era uscito dal quartiere. Aveva trovato il giorno prima un biglietto non obliterato sotto il cestino alla fermata. Pagato per una corsa intera. La domenica era il suo giorno libero e così era salito sull’autobus. All’inizio era vuoto. Poi allontanandosi dal quartiere, aveva preso a riempirsi. Tutte pelli bianche. C’era un eccessiva luminosità su quel mezzo.

Iniziava a sentirsi a disagio. Fastidio agli occhi. Come riverbero. Come guardare il sole.

:-Sporco negro fammi posto.

E lui si alzava. Li capiva. Era nero ed era sporco. Per quanto strofinasse, era indelebile e pregno.

:-Sporco negro, levati dal cazzo.

Quei bianchi non erano molto gentili. Forse pensò, avrebbe fatto meglio rimanere a casa e continuare a passare il sapone. Non gli restava che sperare che il capolinea arrivasse presto.

Ma il capolinea tarda ancora ad arrivare..

9 Risposte a “UNO SPORCO NEGRO”

  1. sono sinceramente e di cuore contenta per te che mi sia sbagliata e che tutto va a meraviglia

    buoni giorni di vacanza

    e buon tutto pure per te

    e chi ti sta a cuore

    ciao

    auguri che vanno via come il pane bis

    Xa

Lascia un commento

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.