VECCHI NOTTAMBULI SENZA VECCHIE BALDRACCHE.




Il termostato elettronico di casa è impostato sulle temperature e sugli orari dei miei vecchi ritmi di vita. Mica anni fa, al massimo qualche mese. Avevo programmato temperature miti nelle ore di presunta assenza e climi caldi per i rientri a tarda notte. Cose così. Non solo risparmio energetico. A questo serve la tecnologia. Per rendere più moderne la stabilità e la ripetitività delle azioni. Il tempo corre avanti veloce e noi ne guadagniamo in colori più vivaci, maggior risoluzione e più velocità di controllo. Tutto il resto diversamente, ciò che è carne, sembra peggiorare.

Ho passato tre degli ultimi quattro sabati sera sul divano. Qualche film, dei documentari della tv pubblica, dei libri. E a letto presto. Tutto questo fino all’estate mi sarebbe sembrato abominevole: ricordati di santificare le feste, era il mio comandamento preferito. Non mi ero perso un’uscita, sin lì. Seppur stessero scadendo nella noia e nel claudicare più insopportabili, avevo tenuto duro: c’è sempre tempo per prendere delle distanze sociali, mi dicevo, rimani visibile. Frequento i luoghi pubblici del divertimento e dell’incontro da una quindicina d’anni: tempi sufficienti per ricevere una discreta pensione, in questo campo, decisamente.

E’ presto detto che il rendiconto di questo lungo presenzialismo è decisamente in rosso: il gruppo con cui si è iniziato si è definitivamente sfaldato con gli ultimi accoppiamenti. Allontanamenti volontari, casi da chi l’ha visto, prepensionamenti, begli stronzi. Le integrazioni periodiche di personale si sono dimostrate insufficienti e poco utili alla causa. Stendiamo un velo sulle le botte e via, sulle femmine, sulle amiche, sulla tua donna. Sopravvivremo nei ricordi di qualche barista, al massimo.

Le rimanenze stanno nelle tasche bucate della mente, di tanto in tanto senti scivolare cinquanta centesimi freddi lungo una gamba e ti ricordi che non sei del tutto povero. Che ti è rimasto qualcosa, ci bevi, ma non ci fai un buon pasto. Così sono i ricordi di una dozzina abbondante d’anni: niente di indimenticabile.

Capita infine. Maturi come una mela sotto una lampadina. Finisci per rivalutare – o scendere a compromessi – con serate casalinghe e solitarie. Una coperta calda al posto di una scollatura di passaggio, silenzi ovattati in sostituzione di movimenti muti di labbra lucide. Luoghi e modi differenti in cui sentirsi soli allo stesso modo, senza particolare peso, senza particolari drammi. La buona compagnia rimane una necessità sia quando sei solo, sia quando sei circondato da numerose nullità. La ricerca della qualità prevede selezione e la selezione comporta l’eliminazione del superfluo.

Verso le ventidue, dato che la casa non prevedeva la mia presenza, l’ambiente buttava decisamente sul fresco. Freddo e un’acustica vuota. Davvero un’impressione. Mi sono sentito come un intruso, un visitatore ammesso dietro le quinte prima o dopo la scena. Ho lasciato la padrona di casa alle sue convinzioni. Che aspetti pure il mio rientro a notte inoltrata, noia e alcol in circolo, occhi cadenti, gambe nervose. Mi preparasse il bagno bello caldo, lei. Convinta com’è che anche stavolta mi laverò i denti e mi metterò bello e nudo, prima di infilarmi a letto. Io a letto ci  sto già ora, ventidue e quarantacinque del sabato sera. Sembra di stare disteso dentro una tela cerata, fredda e plastica, più che sopra un materasso. Ma in posizione fetale la superficie di contatto è minima. Strofino le gambe sulle lenzuola per scaldarle, prima di allungarle definitivamente.

Durante la notte mi sveglio che non ho quasi più sonno, da tanto ho già dormito. Sento i circuiti del riscaldamento gorgogliare sotto i pavimenti fin dentro i radiatori. Fa caldo che sembra di stare in spiaggia. Guardo la sveglia. Stiamo fra le tre e le quattro, l’orario di quando si tornava dai night clubs. Ugualmente soli, la mutanda gonfia, il portafoglio leggero. La camicia indecentemente profumata dalla pelle di una qualche facile amante.

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