FINESTRA SUL FUTURO

La sensazione era opprimente nell’aria. Come una puzzetta dentro l’ascensore. La mente vi ritornava suo malgrado, più volte durante la giornata. Come calamitata da un polo estremamente negativo.

Questi momenti, sono lo spettro di una relazione. L’ostacolo sul cammino, o peggio ancora, il segnale di strada senza uscita. Quello che tutti fuggono, che naturalmente si augurano di evitare. Quello che alla partenza, focalizzi solo come una impossibile istantanea, rassicurandoti.

No, a noi non succederà.

Ma poi il momento arriva per i più, improvviso e devastante, o preannunciato come il più ovvio dei pronostici. Oppure come nel mio caso, materializzandosi, prendendo forme e sembianze delineate, in un arco di tempo senza coordinate e tempo. Come una malattia incurabile.

Dopo anni di convivenza, i cedimenti nell’unione, erano appena evidenti, come la tonicità che andava lentamente smarrendosi sulle sue curve. Era solo il naturale lento sfumarsi dei sentimenti, l’ovvio adattarsi a una quotidianità ormai troppo statica di novità e interesse reciproco.

Ma come in un vestito troppo indossato, mi aspettavo uno smarrimento dei colori, un leggero sfibrarsi del tessuto. Invece alla porta, vedo ora prospettarsi, il più irricucibile degli strappi.

Da alcuni giorni Lei non riesce più a sostenere il mio sguardo. La vedo sfuggente, poche parole soffiate fra i denti, gli occhi sempre bassi.

Non ci posso credere che l’abbia fatto. A noi non doveva capitare.Cazzo, cazzo, cazzo. 

Okkey, non sono più, quello di qualche anno fa, che l’aveva conquistata in pochi attimi. Forse mi son lasciato un po’ andare. La vetta raggiunta, toglie gli stimoli. Da lì, sembra tutta discesa.

Dannazione. Tutti quegli straordinari in ufficio, avrebbero dovuto allertarmi. E le uscite a tarda sera per i corsi in palestra, mettermi sull’attenti. E la sempre minor cura per le faccende domestiche. E tutto quel truccarsi. Parrucchiera, estetista, creme di bellezza. E’ ovvio. La sua testa è altrove.

Stupido, stupido. Come hai potuto non capire? Cristo Santo, lo ha fatto, lo ha fatto sicuramente. Sono fottuto.

Questa sera dobbiamo parlare.

Ce lo eravamo promessi fin dall’inizio. Niente segreti fra di noi, nessun pensiero a riempirci la testa di cianfrusaglie. Tutto fuori, e subito. Parlare, parlare, confidarsi e spiegarsi, sarà la nostra ricetta contro l’incomprensione. Non possiamo andare avanti così. Col dubbio attanagliante alle costole. Questa non è vita. La mia vita. E nemmeno la sua. Successo quel che sia successo, non sopporto di vederla in quello stato frustato.

Esco dall’ufficio, con fisso nella mente, il mio bel discorsetto. Sarò gentile ma irreprensibile. Se ha sbagliato, pagherà. Niente mezze vie. Solo la soluzione estrema. Anche su questo, siamo sempre stati d’accordo.

Mentre mi ripasso mentalmente le parole da dire, faccio un salto all’ alimentari all’angolo, a prendere un paio di lattine di birra. C’è la possibilità che stasera ci sia bisogno di bere per dimenticare. Ne tolgo una dalla confezione da sei che tengo sospesa tre medio e indice e me la apro portandola alla bocca.

Ne tiro un paio di sorsate avide lungo il tragitto verso casa. Scivola fresca nella gola e lungo il mento. L’asciugo con il dorso della mano. Salendo le scale di casa, noto la macchia di ketchup, risaltante e facile all’occhio nell’azzurro della camicia, come un isola dispersa, nel turchese dell’oceano.

Lei è in cucina, china sul piano cottura. Sta tagliuzzando nervosamente con scatti secchi del coltello, delle verdure.

:-Amore sono a casa. Le dico.

Appoggio la confezione di birre sul tavolo e col pugno destro, accartoccio la lattina ormai scolata e poi mi metto in posizione.

Tiro da tre punti, verso il contenitore della raccolta differenziata.

Nell’enfasi della concentrazione, mi sfugge un rutto.

Tiro corto sul ferro. La lattina rimbalza col suo rumore metallico leggero di alluminio, e si ferma in mezzo al pavimento.

La vedo scuotere la testa sconsolata.

Mi avvicino mentre Lei mi da ancora le spalle indifferente. Le sposto con un dito i capelli, per baciarla alla base del collo.

Ma lei si scosta indispettita.

Allora le cingo i fianchi, tentando di stringerla a me, cercando il contatto.

Ma la pancia che è cresciuta arrembante prendendo il posto degli addominali giovanili, mi impedisce di avvicinarla più di un tot.

Si, in effetti forse mi sono trascurato un po’ nell’ultimo periodo.

La faccio roteare tra le mani, come una ballerina del carillon, finché non ce l’ho dritta di fronte a me.

La osservo. Strano abbigliamento per una che sta preparando la cena. Più che da casalinga, è vestita da casalingua. Veramente in gran tiro.

Le sollevo il mento con l’indice verso l’alto, costringendola, dopo giorni, a fissarmi.

Ha gli occhi lucidi.

Credo sia arrivato il momento. Sputa il rospo pupa. Se lo hai fatto, lo hai fatto. Non si può tornare indietro. Ora fuori il dente, fuori il dolore. E viviamoci ognuno le conseguenze. Le tengo le mani leggere con le punta delle dita.

:-Cara, mi pare evidente che qualcosa non va. Dimmi! Non sopporto di vederti in questo stato. E non riesco nemmeno a vivere col dubbio che mi ronza tutto il giorno nella testa. Se è successo qualcosa, se ci sono problemi, parliamone. Non siamo più i ragazzini dispettosi con le marachelle da nascondere con il silenzio o la negazione. La confidenza è la base della nostra unione.

Allora, che c’è?

Lei si allontana di lato.

Tento di trattenerla stringendole le mani con le mani. E quando le nostre braccia sono ormai stese orizzontali a misurare la distanza, poche parole le sfuggono sibilando come una lingua di serpente, fra il labbro inferiore e gli incisivi piantati nella carne, come lame bianche.

Prova a trattenere il pianto.

:-Ho un altro.

Poi si gira e si abbandona in singhiozzi, tremante di nervi, contro la parete.

Tiro un sospiro di sollievo, che è mentale quanto fisico, e faccio uscire il più bianco dei miei sorrisi.

:-Porca troia amore, che strizza mi hai fatto prendere. Per un po’ ho creduto ti fossi dimenticata di rinnovare l’abbonamento a Sky Sport.

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