IL PROFUMO DELLA VITA.

Ci son giorni che hai una gran voglia di scriverti, di tirare fuori qualcosa per raccontarti, per sentirti più leggero, per toglierti un peso, semplicemente per parlarti a qualcuno.

Ma la mente è secca e arida di idee, come una gola assetata.

Bloccata e difficile da mettere in moto come gli ingranaggi arrugginiti di un vecchio meccanismo.

Ti spolveri in superficie, alla ricerca di qualcosa di leggero, sotto l’impalpabile strato di polvere della memoria.

Ti scavi e picconi a fondo, a perforare qualcosa di prezioso, nei ricordi sotto pelle.

Niente. Non hai un passato.

Sei vissuto tutto, nelle ultime 24 ore.

E allora fai che ti resta il ricordo semplice, di una serata di vita.

Una vita, lunga una serata.

Una vita lieve, come tenuta in vita meccanicamente, da un respiratore automatizzato.

Una vita senza picchi di respiri. Una vita di battiti notturni compassati e regolari.

 

Una sera che vai in palestra, rincorso per le scale che portano nel  seminterrato sudato, da un aria crudele che ti secca la pelle, in piccole parti di puzzle. Ti aspira il sangue caldo, sostituendolo con un liquido sintetico, gelato e troppo spesso per scorrere.

Le sbatti la porta in faccia, e l’aria interna secca dei convettori, sa di foglie secche e marroni di ippocastani, frantumate nell’aria.

E X. è tornata.

Ingenua e provocante. Una donna minorenne. La frangia negli occhi scuri, i pantaloni a vita troppo bassa, praticamente una vita in coma, la esse strisciata nelle sue parole, le tettine di marmo all’insù, il trucco perfetto.

Forse se ne sta lì apposta a fare all’infinito quell’esercizio per l’interno coscia, aspettando che tu le dica qualcosa.

Il forse è una sensazione nello specchio.

E tu qualcosa lo dici. Riesci a mettere insieme tutte le banalità e le frasi di circostanza dell’intero lessico italiano.

Se non bastasse, ti si inceppa anche la lingua.

Le corde vocali si essicano all’istante, sibilando nell’aria con lo schiocco di un elastico rotto.

Lei che passeggia sul corridoio.

Mi riposo un pò ! Beh si certo! Come no!

Passeggia e la vedi con l’occhio laterale da pesce, sbirciare  nella sala mentre hai chili tra le braccia e quintali di pensieri nella testa.

Serie veloci, interrotte ed affannate per correre fuori a dirle qualcosa.

Ma lei è come un miraggio. Scomparsa.

Ci sarà un’altra volta. Si certo. Se non sarà troppo tardi.

Ci sarà un’altra volta con parole più sciolte e intelligenti. Certo si.

Ricorda di mettere il vino nella borraccia però.

Ti consoli perché qui hai comunque un buon numero di amici. Ti consoli perché ti dicono che stai venendo su bello grosso. Un pettorale da invidia. Sarà al passione per le tette, forse, a farlo crescere.

Ti guardi allo specchio e ti vedi sottile e esile come sempre.

Sarà l’abitudine a vedersi, sarà che gli amici son proprio amici e una bugia è una bugia a fin di bene o un complimento fatto per riceverne uno in contro cambio.

Sarà, ma con gli uomini non ti mancan certo le parole.

E vorresti fosse cosi, anche con X.

X, Y, e Z.

Loquace e sciolto in tutte le coordinate.

Finisce che, sotto la doccia, mentre un getto disordinato ti lava via il passato recente di qualche minuto, aggiungendoti piccole settimane di vita, in pillole di energia recuperata, finisci per parlare di depilazione con uno che si è appena fatto una ceretta al torace, ed ha ancora le lacrime all’occhio per il dolore fisico. E tu vai ancora di lametta, perché ti sono bastati dieci centimetri di super easy soft depil con il rasoietto per le gambe della sister, per farti cambiare idea.

Super easy soft depil un cazzo.

L’uomo sta cambiando, il maschio si vuole più bene. A cura di se. Una effemminizazione mentale. L’uomo si piace, tra gli sberleffi naftalinati dei simili preistorici con clava e paraocchi.

C’è una tecnica depilatoria con lampada. Quaranta euri e sessanta giorni di pelle assolutamente liscia al tatto. Buono a sapersi.

 

Stasera capita pure, che a fatica finita, ti tocchi la festa di compleanno di un amico sposato.

Ti tocchi, perché in realtà, quello che avresti voluto, non era altro che la consuetudine sicura  del silenzio accogliente della cucina, calda nella tarda sera, le bruschette con la bresaola, dadini di pomodoro, erbe aromatiche, philadelphia e grana e scaglie, qualcosa di fresco da bere, qualche pagina da leggere e poi il peso del piumone e le dirette dance alla radio, per sprofondare nel sonno.

Qualcosa di semplice e rodato.

E invece ti trovi li, in mezzo ai soliti amici, qualche genitore davvero arzillo, una tavola di dolci e bottiglie.

La schiena appoggiata contro il caminetto in ceramica.

Calde scariche elettriche ti pungolano le vertebre, risalendo fino alla base del collo.

Fiammelle di energia fluttuano nel sangue in circolo, mischiandosi alle particelle d’alcool del vino.

La torta alla frutta. Il tiramisù. Dell’altro vino. Si vede anche la partita.

Che si fa venerdì allora? E sabato? Domenica è deciso allora?

C’è un bell’ambiente leggero, goliardico. Questi vecchietti hanno lo spirito più giovane del nostro. Certo, hanno alzato il gomito. Tutto aiuta.

Il gatto di casa ci sta provando con la gattina. Si fa il tifo per lui, ovvio.

Lei si nega, fa la preziosa. Donne !! Tutte uguali. 

Lui l’accantona tenace in un angolo. Prova con la forza.

Lei sembra gradire.

Ma all’ultimo ci ripensa.

Sospiriamo ! Metafore della vita.

Grappa alla camomilla fatta in casa.

Mi si chiudono le serrande degli occhi.

Le percezioni sensoriali si dilatano, perdendo di precisione.

 

La macchina al ritorno si scalda quasi subito. La faccio viaggiare ad alti giri.

Passo della house con un giro di basso portentoso, una cassa martellante e degli strani flash di suoni futuristici che si rincorrono a vicenda a destra e poi a sinistra nelle mie orecchie. La passo ad un volume cosi alto che non sono le casse a essere distorte, ma la acustica dei miei timpani.

Muovo la testa ritmata avanti e indietro veloce, come il pendolo di un orologio da parete.

Le labbra arricciate a O. Le mani strette al volante ad ore nove e un quarto.

In un lampo di luce di lampione, un piccolo settore di giorno, una vecchietta ingobbita nota la mia danza nell’abitacolo.

Mi guarda sbigottita scrollando la testa. Si fa il segno della croce.

E che sono l’anticristo nonnetta?

Le mostro il dito medio.

 

Esco in strada e il silenzio della notte, è immenso e troppo sensibile, al cospetto dei decibel organizzati della musica, che ancora mi riecheggiano in corpo.

Il silenzio della notte, è il respiro flebile di un’altra ulteriore giornata, mantenuta in vita al minimo scopo di sopravvivere.

Aspiro l’aria solo per mischiarla al sangue e portarla al cervello.

Sa del profumo fisico, dolce e sensuale di X, impresso sulla panca in palestra.

Sa dell’aroma leggero della camomilla, dentro l’etile della grappa.

Sa dell’ambre magique alla vaniglia, penzolante dallo specchietto retrovisore.

Profumi semplici.

Dell’unica giornata di vita che ricordo.

 

6 Risposte a “IL PROFUMO DELLA VITA.”

  1. In palestra adoro “il lupo”, il tipo che non sbava dietro la più gnocca della sala, che fa i suoi esercizi in silenzio, che parcheggia la Mercedes lontanto per non farsi vedere con il macchinone (a proposito io Ferrari? eheh…magari). In palestra non ho il perizoma che sbuca dai pantajazz, sono vestita come quando faccio kick, un rudo. E mi strucco. Sono l’unica ridotta così. Ma il lupo mi guarda.

    C’è una morale sottile, in questo commento…

    un bacio, Mart che non ha parole con le ragazze dal vivo…(ma qua sei in internet..). Siren

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