POTEVA ESSERE UNA STRAGE. QUANTO SEI BUONO MART!!

Il pedale dell’acceleratore affonda sotto la spinta del piede e il motore ruggisce forte lungo la strada in salita, che attraverso il bosco, porta all’ufficio. I raggi del sole basso della prima mattina, attraversano orizzontali la valle e si scompongono tra le fronde degli abeti, colpendo il parabrezza, screziato di aloni e moscerini, da svariate angolazioni, accecando così la vista dell’ignaro e ancora assonnato guidatore.

Marilyn Manson canta a squarciagola dal ciddì.

I like a big car, cause I’m a big star,

I make a big rock and roll hits.

I’d like to love you, but my heart is a sore,

I am, I am, I am so yours.

Ka-boom, ka-boom Ka-boom, ka-boom Ka-boom, ka-boom

I’d like to la la la la love you

Ka-boom, ka-boom Ka-boom, ka-boom Ka-boom, ka-boom.

Una voce stonata, lo segue dentro l’abitacolo, storpiando le parole, in un inglese maccheronico.

La canzone sembra una premonizione per quanto sta per succedere.

Boom!.

In cima alla salita, dove la strada scollina, svoltando repentinamente in discesa sulla destra, un allegra comitiva di scolaretti delle elementari, tronfia di felicità e spensieratezza da ultimo giorno di scuola, sta attraversando ignara, il solitamente desolato, nastro d’asfalto, nel corso di una passeggiata attraverso i boschi. La macchina si avvicina a pieni giri verso la svolta, con la visuale quasi del tutto occlusa, dalla soggettiva maligna del paesaggio.

La musica è ad un volume insopportabile. Il guidatore è distratto, coinvolto altrove in pensieri e canto.

L’inevitabile corre sul filo del rasoio.

Il bosco si immobilizza impietrito, trattenendo il respiro. Qualcuno volta le spalle, per non guardare.

Ma.

In lontananza degli strani cambiamenti di toni di colore e luce, al livello degli strati più bassi della boscaglia sul lato destro della carreggiata, insospettiscono l’autista.

Meglio essere prudenti e rallentare.

Fiuuuu! Appena in tempo.

Svoltata la curva, rimane giusto il tempo di arrestarsi del tutto.

Delle simpatiche e innocenti forme di vita, alte su per giù, due mele e poco più, zampettano nel loro abbigliamento estivo e vacanziero, fatto di gonnelline e pantaloncini corti, cappellini, treccine col fiocchetto rosa e cestino della merenda, attraverso la strada, sbucando dal lato inferiore del bosco per poi continuare l’ascesa, lungo un sentiero in selciato che si arrampica sui pendii a monte. Alcuni sono gia avanti, inghiottiti dalla vegetazione, altri saltellano, tenendo per mano l’amichetta o il compagno del cuore, in mezzo all’unica corsia. Gli ultimi stanno sbucando ora come funghi al mattino, dal sottobosco in compagnia delle maestre, poste in coda a chiudere il serpentone.

Sono fermo e mi appoggio al volante, attendendo che l’allegro ingorgo, si smaltisca.

Le due maestre mi notano e si guardano con aria divertita.

Già alcuni giorni fa, dietro una curva poco lontana, avevo incontrato l’allegra brigata in scampagnata, e per evitare di fare danni, mi ero buttato contromano sulla corsia opposta, suscitando la simpatia delle accompagnatrici e gli sguardi stupiti dei pollastri, per il mio veicolo colmo di pupazzi colorati.

Due volte in pochi giorni, mi sembra un segno del destino.

O devo dare un brusco contributo al decremento demografico, falciando qualcuno dei pupattoli, o mi devo trombare la maestra.

Considerando che mi scoccerebbe alquanto ammaccare e sporcare di sangue la macchina, con quel che costano i carrozzieri, opterei per la seconda ipotesi.

Tra l’altro, una delle due, non è affatto male. Fisico longilineo, jeans che le fanno un sederino, alto e tonico, canotta bianca con due tettine simpatiche incorporate, e capezzolo, che nel freddo ombroso della boscaglia, eh sì sì, spunta fuori che ci potrei attaccare la giacca, se solo ce l’avessi. Capelli ricci mossi dal vento e un sorriso spontaneo, ampio e bianco, addosso al quale, il sole riverbera come sopra un ghiacciaio immacolato d’alta quota.

Saranno la tenerezza e l’innocenza dei bambini, o la purezza incontaminata della natura, ma immediatamente nella mente, mi si materializzano un paio di fantasie selvagge e insane, da porre in atto, tra tronchi ruvidi, erbetta fresca e cespugli di bacche, con la suadente insegnante.

Lei accelera la camminata e invita le ultime marmaglie, a sgomberare, e cedermi il passo.

Faccio ripartire il motore, muovendomi lentamente e continuando a guardarla, fuori attraverso il parabrezza. I bambini non mi degnano di uno sguardo. Bel ringraziamento. Ormai anche i mocciosi hanno smarrito il senso della gratitudine. Ma non mi importa. Le mie attenzioni sono tutte per lei. Amplia se possibile ancor più il suo sorriso, e mi sussurra un grazie fra i denti. Le sorrido inclinando leggermente la testa di lato e accennando un saluto con la mano. Come sono buono. Come è bòna.

21 Risposte a “POTEVA ESSERE UNA STRAGE. QUANTO SEI BUONO MART!!”

  1. che bello: attreversi il bosco per andare al lavoro, ma chi sei, cappuccetto rosso??? 🙂 si sa del resto che questo è il periodo delle scolaresche migratorie e le maestrine sono più accattivanti a giugno … a parte oggi che sembra ottobre!

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