U.S.A.! MA COSA USANO POI?




Marzo. Piove sopra gli ultimi accumuli invernali di neve: tenaci clochard infangati lungo il ciglio della strada. Nei profili delicati s’intravede ancora qualcosa dell’eleganza originaria. Per qualche minuto siamo stati senza macchia, bianchi sopra l’uomo e le sue proprietà. Ma siamo al corrente della vostra insofferenza verso ciò che è d’intralcio al vostro libero moto: calpestateci pure. Le calzature invernali vi fanno i piedi grossi, signorine. Prima della pioggia capisci che non nevicherà per via del cielo poco stirato. Ventri gonfi di birra alla mercé della forza di gravità, ci penzolano sulle teste. Alcune nuvole veleggiano ad altezza di campanile, in mezzo alla vallata. Una volta a queste quote ancora umane ci filavano certi caccia americani. Volo a bassa quota per impararsi all’evitare i radar. Da bambini i top gun ci parevano una ficata. Da bambini si è un sacco ignoranti perché la realtà non te la spiegano: per precauzione dicono, che il bambinello si spaventa, mi si incupisce. Il nonno è andato in cielo con gli angeli. Guarda cosa ti ha comprato la mamma! Una sorellina. L’inconsapevolezza forzata è la maglietta della salute del cervello. Ti ci costringono finché non te ne vai di casa. Stai coperto tesoro. Non è bello arrivare ai trenta e puzzare ancora di liquido amniotico. Sapere di aver fatto tutte quelle figure di merda per un ventennio, chi più chi meno. Se mi avessero istruito, col cazzo che sarei corso fuori sul poggiolo ogni volta che gli americani passavano. Al campetto poi, prima di iniziare a sbucciarci le ginocchia o ad inciderci l’arcata soppracciliare grazie ad una pallonata negli occhiali, si discutevano i dettagli. Erano tre. No quattro. Volavano più bassi di ieri. C’erano due piloti per ogni cabina! Quello davanti aveva su la maschera per l’aerosol. Stupido! E’ l’ossigeno, me lo ha detto mio zio. A me quelli del terzo mi hanno salutato. Uno aveva scritto usa sul casco. Ma va la, faranno i cento all’ora, non ti vedono neanche. Ti dico di si, c’era anche mia nonna nell’orto. Ah! E poi io ho visto che avevano le bombe attaccate sotto la pancia. Pensa che ridere se una gli casca sopra la scuola. Stiamo a casa una settimana. Io dopo mi scrivo usa sul diario. USA! Ma cosa usano poi?

Il 3 febbraio 1998 alle ore 15.13 un Grumman EA-6B Prowler, aereo militare statunitense del Corpo dei marines al comando del capitano Richard Ashby, decollato dalla base aerea di Aviano alle 14.36 per un volo di addestramento, tranciò il cavo della funivia del Cermis, in Val di Fiemme (TN). La cabina, al cui interno c’erano 20 persone, precipitò per circa 80 metri, schiantandosi al suolo. Il velivolo, danneggiato all’ala e alla coda, fu comunque in grado di far ritorno alla base. Nella strage morirono i 19 passeggeri ed il manovratore, tutti cittadini di Stati europei, tra i quali tre italiani, sette tedeschi, cinque belgi, due polacchi, due austriaci e un’olandese.

Quel pomeriggio avevo ventuno anni ancora molto inconsapevoli e mi trovavo in un’aula corsi di una società, a svolgere la mia prima attività lavorativa. Ricalcavo delle mappe catastali. Un’operazione davvero infantile, seppur eseguita con attrezzature da grandi. Al posto dei pastelli,  il pc ed un’programma di disegno. Stai attento a non uscire dai bordi, mi raccomandava il capo del progetto.

Un’collega più o meno coetaneo che abitava nella zona del disastro fu informato dell’accaduto per telefono dalla madre, quasi in tempo reale. Credo non ci fossero ancora i cellulari. Ruben, si chiamava. Mi raccontava che le ragazzine del paese gli mandavano le lettere d’amore via posta e io lo invidiavo molto. Con un nome così pensavo, ce la avrei avuta anch’io una fidanzatina. Rese pubblica la notizia e tutti ne furono naturalmente rattristati. Lui più degli altri. La funivia del Cermis e le relative piste da sci stanno a trenta minuti da casa mia. La loro esistenza ad allora, mi era del tutto sconosciuta: lo sci e i grandi spostamenti non erano lo sport di famiglia. Di quegli aerei invece ero perfettamente informato e ricordo, nel dibattito generale che subito insorse, fui – banderuola al vento e traditore –  tenace ed esperta parte accusatoria di quei miei eroi dalle ali insanguinate.

Dove tira il vento finché non impari ad espellere l’aria.

Una risposta a “U.S.A.! MA COSA USANO POI?”

  1. …ricordo di questo fatto, e di certo del come siano andate le faccende, poi, non fa proprio “onore” a questi U:S:A e getta.

    saluti Mart, a resistere si resiste 😉 anche se su splinder (ma anche in internet in generale) ormai si fa l’appello con poche righe del registro….

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