MAYBE (first love)

La camera di lei ha quel vago sentore napoleonico di drappi, tendaggi, pizzi, merletti e bustini e gonne vaporose e illuminazione a candelabri.

Nella notte è parecchio buia e illuminata solo dalla luce giallo arancio da tunnel, che entra in un fascio rettangolare dalla porta aperta sul corridoio.

Non riesco a distinguere i colori.

Cado all’indietro sulla schiena verso il letto sotto la sua spinta, in un precipitare che sembra infinito e con l’aria che mi manca via via nei polmoni, come in un senso di vuoto e sorpresa. Rimbalzo più volte come su un tappeto elastico da corpo libero di ginnastica artistica, prima di fermarmi come dentro un mare mosso di acqua così densa da mantenermi in superficie.

Le lenzuola sono scivolose e lisce e vellutate al tatto tanto che non riesco a stare fermo e temo di scivolare giù verso la voragine di lei, ferma ai piedi del letto.

Cerco appigli con le unghie come un gatto sul ghiaccio.

La sua figura mi sovrasta nera dall’alto, dentro i suoi vestiti neri e plastificati come corazza a scaglie di un serpente a sonagli.

La pelle visibile all’opposto, è bianchissima e lunare di una delicatezza e perfezione da neonato.

Solo una ferita rossa troppo intensa e sanguinante sulle labbra.

Un rossetto peccaminoso da prostituta d’alto bordo di metà secolo.

Posso sentirne il sapore carnoso e pulsante nella gola e la densità cremosa sul palato.

Ho paura.

Mi strappa la camicia senza aprirla e i bottoni si spargono sul pavimento come tante monetine oscillanti all’infinito sul loro asse prima della caduta.

Mi tappo le orecchie per non sentire quel frastuono di suoni disordinati.

Scivola sopra di me e la vedo terribilmente ingrandita e deforme, come attraverso il fondo spesso di una bottiglia.

Mi  sento infinitamente minuscolo e fragile.

Cerco di nascondermi ai suoi occhi troppo scrutatori, che mi fissano da sopra lampeggianti come le lucine di fondo del laser, durante la visita oculistica.

Il suo corpo è un macigno leggero che aderisce al mio come una ventosa a pressione, facendomi fondere e assorbendo la mia massa all’interno. Le unghie sono affilatissime lame rosse di spada che disegnano trame pungenti di brividi lungo la schiena.

Sento i suoi polpastrelli contarmi le ossa all’interno.

La sua bocca è calda ed ipnotica e lentamente inizia ad assorbirmi. Entro in un vortice di mulinelli inversi man mano sempre più stretti fino a trovarmi completamente dentro di lei, in circolo nel suo sangue, senza timone ne vela, in completa balia del rifluire del flusso.

Viaggio in balia, svuotato dell’energia vitale e spinto unicamente dalle forze di lei, finche lo sfinimento diventa prima una stanchezza impalpabile e poi un nulla sospeso e piacevole e infine lo stato puro e perfetto.

 

Sono svegliato a metà mattina dalla luce intensa e biancastra del sole attraverso le finestre aperte e le tende oscillanti al ritmo indolente dell’ aria pungente esterna. Inaspettatamente i colori della camera si svelano nel loro candore bianco di nuvola, diversamente dal rosso porporeo della notte ingannatrice.

Mi tiro a sedere.

Al mio fianco sta il mio corpo, affondato dentro la sua stessa sagoma nel materasso, come un orma dentro al neve.

Sul viso uno strano sorriso indefinibile, di timore da ignoto e quiete da scoperta.

E’ abbandonato dalla massa come se qualcuno ne avesse assorbito tutta la vita indifesa. C’è un foro di uscita a forma di labbra al centro del petto.

E’ di un rosso vivo e pulsante e in rilievo come di plastica.

Sulla schiena eleganti bassorilievi a caratteri egizi e stilizzate figure preistoriche, incisioni sottili e precise a fil di pelle.

Il corpo non ha forma fisica ma semplicemente un piano liscio e orizzontale, come da massa in fusione pressata.

Mi sento estremamente in forze e sicuro di me stesso.

Ritemprato. Certo. Convinto. Uomo. Dominante.

Cammino a piedi nudi sul pavimento freddo del corridoio.

Lascio la mia impronta calda di polpastrelli e talloni a segnare il percorso per pochi istanti, prima di evaporare.

Lei è in cucina, di spalle, in piedi davanti al tavolo.

La mia camicia addosso le copre le spalle fino all’attaccatura delle gambe dorate al colore del miele.

Scivolo silenzioso sulle punte alle sue spalle e cingendole i fianchi, la faccio ruotare come una ballerina in tutù del carillon con le braccia tese sopra la testa e le dita a toccarsi, finche non ho i suoi occhi davanti.

La camicia è allacciata con l’unico bottone salvato.

Sa di risveglio e di notte affannata, i capelli disordinati della frangia negli occhi rilassati, alla base del collo gli screzi arrossati delle pieghe delle lenzuola.

Mi sento estremamente in forze e sicuro di me stesso.

Ritemprato. Certo. Convinto. Uomo. Dominante.

La sollevo con vigore per i fianchi facendola sedere sul bordo del tavolo.

 

 

4 Risposte a “MAYBE (first love)”

  1. …c’è un sentore macabro in questo post.

    C’era un uomo sulla spiaggia e una donna che usciva dall’acqua dopo un bagno per andarlo a baciare. I capelli nerissimi e la bocca che sapeva di mare, come se fosse stata un mostro marino…dove l’ho letto? D’Annunzio- Alcyone? bho…comuque il post mi ha fatto lo stesso effetto…

    (e non ho fumato niente di strano..heheh)

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